lunedì 17 novembre 2008
Il Papa ed il dono dei talenti: la responsabilità dell’uomo di fronte alla vita propria e altrui (Sir)
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BENEDETTO XVI - Il dono dei talenti
La responsabilità dell’uomo di fronte alla vita propria e altrui
Fabio Zavattaro
La vita, la salute, le nostre forze sono doni di Dio che in qualche modo ci sono solo prestati. Doni che non sono un credito da tener celato o fermo, ma da investire per “rendere l’amore di Dio visibile e comprensibile in questo mondo”.
Papa Benedetto all’Angelus legge la parabola dei talenti, l’antica moneta romana di grande valore – circa 6 mila denari, cioè l’equivalente al salario di 6 mila giornate lavorative in epoca romana – “diventata sinonimo – ricorda il Papa – di dote personale, che ciascuno è chiamato a fruttificare”. Una parabola che in questo tempo liturgico ci ricorda l’essere vigilanti e operosi, l’attesa del ritorno del Signore alla fine dei tempi. Parla, il Papa, di quell’uomo che, chiamati i servi, consegnò loro i suoi beni. Dice Benedetto XVI: “L’uomo della parabola rappresenta Cristo stesso, i servi sono i discepoli e i talenti sono i doni che Gesù affida loro. Perciò tali doni, oltre alle qualità naturali, rappresentano le ricchezze che il Signore Gesù ci ha lasciato in eredità, perché le facciamo fruttificare: la sua Parola, depositata nel santo Vangelo; il Battesimo, che ci rinnova nello Spirito Santo; la preghiera – il Padre nostro – che eleviamo a Dio come figli uniti nel Figlio; il suo perdono, che ha comandato di portare a tutti; il sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato. In una parola: il Regno di Dio, che è Lui stesso, presente e vivo in mezzo a noi”.
È interessante cogliere questa parabola nella sequenza evangelica che in Matteo è il discorso sugli ultimi tempi, Gesù che annuncia distruzioni e persecuzioni, la fine di Gerusalemme colta nella prospettiva della fine del mondo. E la venuta del Figlio dell’uomo, quel vegliare nell’attesa non sapendo il giorno; quell’andare con le lampade accese, chi con l’olio chi, stoltamente scrive l’evangelista, senza le ampolle per alimentare la fiamma: “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”, scrive Matteo. È qui che troviamo l’uomo della parabola dei talenti e il tesoro “che Gesù ha affidato ai suoi amici, al termine della sua breve esistenza terrena”.
Dono in nome di un amore che non conosce confini, che sa premiare l’attesa. Perché Dio è amore, ricorda Benedetto XVI nella sua enciclica. E questo amore è un grande dono offerto a tutti, anche ai non cristiani, ricordava Enzo Bianchi il priore della comunità di Bose, commentando proprio la “Deus caritas es”: “L’amore riguarda tutti e meditare sull’amore significa interrogarsi su ciò che per noi uomini dà o non dà senso, ciò che tiene in piedi o distrugge le nostre vite. Quando l’uomo vuole fare storia, quando vuole edificare una comunità, quando cerca la felicità, deve infatti confrontarsi con la propria esperienza di essere amato e di amare”.
Accogliere, allora, questo dono significa non avere paura, come ci ricordava papa Giovanni Paolo II nella sua prima omelia, il giorno d’inizio pontificato. Atteggiamento sbagliato quello della paura, perché, afferma papa Benedetto: “Il servo che ha paura del suo padrone e ne teme il ritorno, nasconde la moneta sotto terra ed essa non produce alcun frutto. Questo accade, per esempio, a chi avendo ricevuto il Battesimo, la Comunione, la Cresima seppellisce poi tali doni sotto una coltre di pregiudizi, sotto una falsa immagine di Dio che paralizza la fede e le opere, così da tradire le attese del Signore”.
La paura, la coltre di pregiudizi, i talenti sepolti, da un lato; i frutti portati dai servi buoni e fedeli, dall’altro,“felici per il dono ricevuto, non l’hanno tenuto nascosto con timore e gelosia, ma l’hanno fatto fruttificare, condividendolo, partecipandolo”. Il messaggio che il Papa propone ai fedeli in questa domenica, la penultima dell’anno liturgico, è semplice e, nello stesso tempo, impegnativo: ciò che abbiamo ricevuto in dono si moltiplica donando. Ciò che abbiamo ricevuto è un tesoro fatto per essere “speso, investito, condiviso con tutti, come ci insegna quel grande amministratore dei talenti di Gesù che è l’apostolo Paolo”. L’insegnamento evangelico “ha inciso anche sul piano storico-sociale, promuovendo nelle popolazioni cristiane una mentalità attiva e intraprendente”. Ma è un insegnamento che ha un messaggio che riguarda “lo spirito di responsabilità con cui accogliere il Regno di Dio: responsabilità verso Dio e verso l’umanità”. Messaggio, ricorda infine il Papa, che è incarnato nell’atteggiamento di Maria “che, ricevendo il più prezioso tra i doni, Gesù stesso, lo ha offerto al mondo con immenso amore”.
Ed è ancora a Maria che il Papa guarda in questa domenica, giornata che l’Onu ha voluto dedicare alle vittime della strada. A lei chiede di “condurci con sicurezza lungo le strade e autostrade del mondo”. Con lei prega per il riposo eterno di quanti sono morti in seguito a un incidente stradale; prega per la consolazione delle famiglie che soffrono per la perdita di un loro caro. Infine, il Papa implora “guidatori, passeggeri e pedoni a prendere attentamente sul serio le parole di san Paolo nella liturgia della Parola di oggi: state sobri e allerta. Il nostro comportamento sulle strade deve essere caratterizzato da responsabilità, considerazione e rispetto per gli altri”, ha così concluso il Papa.
E cosa c’è di più grande del dono della vita, che ci è stato consegnato ma di cui non disponiamo. Dono da accogliere, proteggere, far crescere, donare; come i talenti della parabola.
© Copyright Sir
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