giovedì 13 novembre 2008

Caso Englaro, appello di Avvenire: "Signori giudici, pensateci" (Rondoni)


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SIGNORI GIUDICI, PENSATECI

AVREMO LA PRIMA CONDANNA A MORTE REPUBBLICANA?

DAVIDE RONDONI

Ai Signori Giudici chiediamo solo una cosa: non dateci una condanna a morte.
La pri­ma condanna a morte dell’Italia repubblicana. Un genere di condanna che l’Italia ripudia – van­tandosene dinanzi al mondo – e che mai nessun motivo di rivalsa, di odio, di giustizialismo ha in­trodotto sarà invece inaugurata in nome di una malintesa idea di pietà? È quasi sempre in nome del bene che gli uomini compiono qualcosa di o­scuramente cattivo. Se la Corte darà il via libera alla volontà del padre di staccare l’alimentazio­ne per Eluana e se egli troverà qualche centro medico disposto a farlo, avrà luogo l’esecuzione e l’inizio della pubblica estenuante agonia.
Ai Signori della Corte chiediamo di considerare tutto questo: a una ragazza inerme, che non può né esprimere né difendere le sue reali, attuali vo­lontà, si cesserà di dare alimento. A una ragazza, avvolta sì in un silenzio misterioso, ma non ari­da dentro, tanto da affrontare un’estenuante e­morragia come le è capitato alcune settimane fa, si vorrebbe ora dare quella morte da cui ella con le sue sole forze si è invece tirata fuori. E questo perché qualcuno - a differenza di altri - non sop­porta più questa dura, triste condizione. Il padre in coscienza ha voluto combattere questa stra­na battaglia perché sua figlia muoia. Non ce la fa­ceva più. È comprensibile. Meno comprensibile l’accanirsi non perché le cure e la pazienza di al­tri sopportino la pena e le premure, bensì per la sua morte. Per toglierla di torno. Anche se non dà nessun fastidio, e già ci sono le voci di chi, come le suore che l’accudiscono, dice: la teniamo noi. Il problema, ora che i magistrati hanno scelto di occuparsi di questa faccenda, non è più, per così dire una dramma­tica faccenda privata tra il signor Englaro e sua figlia. È una faccenda di diritto. E il diritto italia­no non contempla la condanna a morte. Per nessuno. Neppure per chi compie la strage o lo stupro più efferato. Vo­gliamo cominciare da una ragazza?
Il dilemma ora è: uno può chiedere e ottenere che un altro muoia? A meno che non si consi­deri Eluana già morta. Pensate a lei così, Signori della Corte? La medi­cina, secondo i protocolli internazionali, non classifica Eluana tra i morti. E nemmeno tra co­loro che sono tenuti in vita con inutile accani­mento. Voi la condannerete a morte? O la consi­dererete come già morta? E siete certi che la sue condizioni siano davvero 'irreversibili', come lo stesso Pg della Cassazione ieri è sembrato chie­dervi?
Bisognerà dunque avvisare tutti coloro che han­no parenti e amici in condizioni simili, e non so­no pochi. Dire a loro: la Suprema Corte li consi­dera già morti, o condannabili. Il nostro è un appello senza potere e senza alcun velo politico. Abbiamo solo voglia che in Italia non si condanni a morte alcuno. Tanto meno u­na ragazza inerme. Nel tenerla in vita, secondo le condizioni che il destino ha misteriosamente riservato a lei, non si fa torto a nessuno. Nem­meno a lei, poiché nessuno può comunque ar­rogarsi il diritto di interpretare ora la volontà di Eluana. Le persone cambiano. La vita, lo sap­piamo, ci modella, a volte radicalmente. Ma se si dà il via libera alla esecuzione allora si stabilisce che in Italia, a determinate condizioni, c’è la pe­na di morte. E che tali condizioni non sono d’es­ser assassini o stupratori, o terroristi. Ma la con­dizione è d’esser inerme, 'inutile', insopporta­bile, e nelle mani degli altri. Io non credo che i Signori della Corte siano fa­vorevoli alla pena di morte. Non lo voglio crede­re. Magari lasciassero sospesa la vicenda, incal­zando piuttosto il Parlamento a fare leggi chiare, a cui tutti attenersi e non variabili da giudice a giu­dice, da medico a medico. Non si sta 'solamen­te' discutendo di una ragazza, a cui certo tutti au­guriamo un corso sereno del suo oscuro destino, ma di un caso le cui conseguenze varranno per tutti. Il suo povero corpo, la sua persona, che sem­brano valere più niente, secondo la visione di chi la vede già come morta, potrebbero essere inve­ce quelli di un’incredibile eroina. L’ultima muta barriera, la estrema insurrezione contro una stra­na volontà di introdurre nella nostra già feritis­sima Italia l’uso della condanna a morte.

© Copyright Avvenire, 12 novembre 2008

2 commenti:

euge ha detto...

Condivido pienamente l'appello di Avvenire e vorrei sottolineare che se i giudici decideranno di interoompere l'alimentazione e l'idratazione ad Emanuela, in coscienza non mi sentirò assolutamente complice di una condanna a morte. Peraltro una condanna che produrrà effetti atroci su Emanuela; morire di fame e di sete non si augura neanche ad un animale figuriamoci ad un essere umano; perchè di un essere umano che stiamo parlando.

Anonimo ha detto...

I signori giudici ci hanno pensato......... ed hanno decretato la fine di un essere umano! L'arroganza umana è riuscita ad arrivare anche a decretare la fine di una vita!

Non ci sono parole!