venerdì 7 novembre 2008
Il Papa: basta violenze nel nome di Dio (Bobbio)
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Il Papa: basta violenze nel nome di Dio
Dichiarazione congiunta con leader religiosi musulmani «Garantire la libertà di culto. Tutelare i diritti delle donne»
nostro servizio
Alberto Bobbio
Città del Vaticano
La dichiarazione finale è impegnativa e in alcuni punti dice cose clamorose. L'hanno firmata prelati della Santa Sede e dignitari musulmani, sunniti e sciiti, al termine di due giorni di lavori a porte chiuse del primo seminario del Forum cattolico-musulmano, creato l'anno scorso dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e dalla Delegazione dei 138 religiosi e intellettuali musulmani, che avevano scritto al Papa, dopo il discorso di Ratisbona. Dice che bisogna «garantire» agli uomini e alle donne «dignità» e «rispetto» su «base paritaria», che «individui e comunità» hanno il diritto «di praticare la propria religione in privato e in pubblico», che il diritto va esteso anche i «luoghi di culto, le loro figure e i solo simboli fondanti», i quali «non dovrebbero subire alcuna forma di scherno e irrisione».
Chiese proibite in molti paesi
Sono parole impegnative perché in molti Paesi musulmani non si possono costruire chiese, oppure il permesso viene dato a patto che non alzino campanili con sopra la croce. Ma riguarda anche alcuni Paesi di tradizione cristiana dove si guarda con sospetto alle moschee.
La dignità della donna è un altro argomento scivoloso nei Paesi di tradizione islamica, come anche la possibilità di praticare, seppur privatamente un culto diverso da quello islamico. Invece la Dichiarazione afferma che «nessuna religione né i suoi seguaci dovrebbero essere esclusi dalla società». È l'uso del condizionale che dimostra con chiarezza che molto cammino va ancora fatto in questa direzione. Per questo occorre «promuovere un'attenta informazione sulla religione dell'altro», soprattutto tra i giovani, che «vivranno sempre più in comunità multiculturali e multireligiose».
La Dichiarazione precisa che la «pluralità di culture, civiltà, lingue, popoli», risultato della «creazione di Dio», «non dovrebbe divenire causa di tensione e di conflitto». Per questo motivo cattolici e musulmani devono rinunciare a «qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione», per sostenere invece «il principio di giustizia per tutti». Il testo esorta anche tutti i credenti ad operare per «un sistema finanziario etico» a favore «dei poveri» e si rivolge in particolare ai «privilegiati del mondo», perché considerino chi è stato colpito «più gravemente dall'attuale crisi nella produzione e nella distribuzione alimentare».
E dice con chiarezza che la «vita umana è un dono preziosissimo di Dio a ogni persona», che «deve essere quindi preservata e onorata in tutte le sue fasi». La Dichiarazione congiunta è stata pubblicata ieri pomeriggio dall'Osservatore Romano, dopo che in mattinata il Papa aveva ricevuto nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico i partecipanti al Forum. Ratzinger non ha nascosto i problemi, le differenti visioni teologiche e, soprattutto antropologiche, di cristianesimo e Islam. Ha chiesto «buona volontà per «superare i pregiudizi del passato» e per «correggere l'immagine spesso distorta dell'altro che ancora può creare difficoltà nei nostri rapporti»: «Le differenze siano pacificamente affrontate e sia neutralizzato il potere devastante delle ideologie».
Ratzinger ha inviato ad ascoltarsi senza pregiudizi, con stima e rispetto, cercando ciò che avvicina e rilevando che «il messaggio delle nostre religioni è indubbiamente un messaggio di armonia e di comprensione reciproca». Esso, ha spiegato, si può dimostrare nell'amore per il prossimo e proprio nell'«impegno pratico a servire i più bisognosi» cristiani e musulmani possono trovare «un terreno comune per costruire un mondo più fraterno».
«Troppe persecuzioni»
Benedetto XVI ha sottolineato che i diritti umani fondamentali vanno tutelati dai «leader politici e religiosi», i quali hanno il dovere di assicurarli nel «pieno rispetto della libertà di coscienza e di religione di ciascuno». E ha aggiunto che le «persecuzioni, spesso violente», che i credenti sperimentano in tutto il mondo «sono atti inaccettabili e ingiustificabili, tanto più gravi e deplorevoli quando vengono compiuti in nome di Dio». Il «nome di Dio» invece «può essere solo un nome di pace e fratellanza, giustizia e amore». Poi ha detto che tutti noi siamo chiamati «a dimostrarlo con le parole e soprattutto con i fatti», per «evitare di minare la credibilità non solo del nostro dialogo, ma anche delle nostre stesse religioni».
Il membri del Forum hanno deciso di tenere un secondo seminario entro due anni in un Paese a maggioranza musulmana.
© Copyright Eco di Bergamo, 7 novembre 2008
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