venerdì 21 novembre 2008
L'ex Presidente della Corte Costituzionale, Chieppa: «Eluana, sentenza con effetti devastanti» (Grasso)
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ETICA E GIUSTIZIA
«Non escluderei che dopo la morte della donna un giudice incrimini chi l’ha provocata.
Qui non ci sono spine da staccare»
Il presidente emerito della Corte Costituzionale: in questo caso c’è un padre offuscato dall’affetto Ma se in futuro ci fossero parenti che chiedono di accelerare un decesso magari per l’eredità?
«Eluana, sentenza con effetti devastanti»
Chieppa: si afferma l’idea che il diritto alla vita non riguarda la collettività ma il privato
DA ROMA GIOVANNI GRASSO
«Sul caso Englaro si sono dette e sostenute cose molto diverse, facendo spesso confusione. E debbo aggiungere che, con il massimo rispetto per la Corte di Cassazione, la sua sentenza, probabilmente al di là delle intenzioni stesse, apre la strada a conseguenze ed effetti devastanti. Perché con essa si afferma l’idea che il diritto alla vita, che è un valore fondante della democrazia, previsto dalla Costituzione e da tutti i trattati internazionali, non è più questione che riguardi la collettività, lo Stato, ma diventa un fatto privato».
Il presidente emerito della Corte Costituzionale Riccardo Chieppa è preoccupato degli sviluppi giuridici e sociali del caso Eluana.
E spiega: «Se la vita è un diritto fondamentale e indisponibile, come si può di fatto autorizzare qualcuno a compiere un atto, quello di togliere la vita appunto, che è normalmente considerato un reato? E chi è semmai il soggetto depositario del potere di decidere la morte o la sopravvivenza?»
Lei parla di conseguenze devastanti: in che senso?
Il caso di Eluana è molto triste, c’è un padre offuscato dalla sofferenza che, per il grande affetto per la figlia, vuole mettere la parola fine a una storia penosa. Ma chi può escludere, in futuro, che ci siano, ad esempio, parenti intenzionati ad accelerare la morte di un soggetto in stato di coma per prendersi l’eredità? E si delegherà a loro la scelta? Quando si tratta di principi così delicati, come quelli che riguardano il diritto alla vita, bisogna andare con i piedi di piombo e non limitarsi solo alla impressione da singoli casi umani.
Il fatto sembra particolarmente grave perché in questa fattispecie non si tratta di rinunciare, sia pure per interposta persona, alle cure…
Qui è il nocciolo della questione. Non si tratta di dire di no a un accanimento terapeutico, ed il no è una cosa del tutto legittima, né tantomeno di rifiutare le cure per motivi religiosi, morali, personali o familiari. E non si tratta, come pure si è erroneamente affermato, di staccare la spina, perché Eluana non è attaccata a una macchina che le permette di respirare. Ma piuttosto di mettere in atto un comportamento, quello di non provvedere all’idratazione e alla nutrizione, con l’intenzione di provocare la morte del soggetto. Se si stacca un respiratore ci può essere la possibilità, sia pure remota, che l’organismo reagisca, ma se tolgo l’acqua la fine è sicura. Non si può nemmeno escludere che qualche giudice finisca per incriminare qualcuno dopo la morte di Eluana.
Non è un caso che i familiari stiano incontrando delle difficoltà a trovare un centro sanitario disposto a interrompere l’idratazione: oltre ai motivi morali, nessuno se la sente di rischiare l’accusa di omicidio volontario.
Si è parlato molto della volontà espressa dalla Englaro prima di finire in stato di incoscienza e della necessità di rispettare queste indicazioni.
Intanto: una dichiarazione del genere, riportata da altri e in un contesto non ufficiale, non può avere un valore giuridico. Se una persona in tribunale sostiene che il defunto gli aveva detto, un giorno, che gli avrebbe lasciato tutti i suoi averi, ma non c’è il testamento, questa testimonianza non ha alcun valore.
E allora se non ha valore per dei beni materiali, dovrebbe averlo per una vita umana?
Diverso sarebbe, e qui dovrebbe intervenire il legislatore, se una volontà del genere fosse affermata davanti a un’istituzione legittimata a raccoglierla come un notaio, un pubblico ufficiale o con altra formalità prestabilita in modo da avere rappresentazione ed informazione delle conseguenze. Ma anche qui, il caso Eluana non c’entra. Perché davanti all’organo eventualmente preposto si potrà affermare la volontà di rinunciare alle cure, all’accanimento terapeutico, ma non certo di ricorrere a forme mascherate di eutanasia o suicidio assistito.
Ci sono della associazioni che si sono rivolte alla corte di Giustizia europea chiedendo di sospendere l’esecuzione della sentenza di morte per Eluana.
Alla Corte europea dei diritti dell’uomo e alla relativa Commissione si possono normalmente rivolgere rispettivamente i singoli Stati-parte contraente, e ogni persona fisica o organizzazione non governativa o gruppi di privati (comprese persone giuridiche o soggetti privati in rappresentanza di interessi collettivi) quali vittime di violazioni dopo l’esaurimento dei ricorsi nazionali. Non so se queste associazioni siano state rappresentate nei procedimenti avvenuti in Italia. Dovranno però dimostrare in qualche modo di rappresentare la titolarità del diritto leso di Eluana. E non nascondo che, dal punto di vista procedurale, non sarà un’impresa del tutto scontata, anche se dal punto di vista etico e giuridico sostanziale le ragioni di violazione sono preponderanti; ma vale sicuramente la pena tentare.
In ogni caso ciascuno di noi, come appartenente ad una collettività che rischia di perdere il senso della vita ed il rispetto dei più deboli, non può fare a meno di ricordare ogni giorno Eluana e i familiari tutti in una preghiera di solidarietà: che il Signore La protegga ed illumini coloro che Le sono accanto.
© Copyright Avvenire, 21 novembre 2008
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