lunedì 18 maggio 2009
Alle radici dei genocidi europei. Dove e come nasce l'odio (Osservatore Romano)
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Alle radici dei genocidi europei
Dove e come nasce l'odio
di Oddone Camerana
Che la giudeofobia e l'antigiudaismo siano sentimenti dell'Occidente è un fatto sul quale non ci sono dubbi. Ma l'ostilità rivolta a Israele da molti Paesi di fede islamica, arabi e non, ci dice che quei sentimenti, ancorché nei riguardi di uno Stato e motivati dalla difesa dei fratelli palestinesi, vanno oltre i tradizionali confini occidentali. Giudeofobia e antigiudaismo sono dunque forme di un odio, di un bisogno che stanno e si formano altrove. La Russia zarista, e poi sovietica, si è macchiata anch'essa di stermini di ebrei, ma anche di non ebrei. Lo stesso dicasi per alcuni Stati africani, orientali e medio-orientali responsabili di genocidi, ma non di ebrei. Del resto il Vecchio Testamento ci fa presente come la "caduta" - letta come il peccato di farsi misura del bene e del male e di approfittarne per sentirsi autorizzati a colpire il prossimo - non appartiene al popolo ebreo, la cui storia antica è quella di chi è stato invece vittima della caduta stessa.
Questi accennati non sono pensieri alla base di Genocidio. Una passione europea di Georges Bensoussan (Venezia, Marsilio, 2009, pagine 396, euro 21), ma sorgono alla lettura del suo testo, concentrato - come dice il titolo - sui genocidi europei, di cui ha sofferto il popolo ebreo soprattutto, apparso il più idoneo a subire un destino ingiusto.
La centralità dell'ebreo nel subire un odio costante e insistente è un fenomeno al quale il libro di Bensoussan aggiunge pagine interessanti anche per il lettore non specializzato. Come quelle dedicate all'antigiudaismo capace di bloccare una società a partire dagli strati più bassi a quelli più alti, concordi nella ricerca di una purezza del sangue, soprattutto quando questa purezza non c'è. O quelle che descrivono la figura dell'ebreo come soggetto da incolpare o il cui ripudio è funzionale all'economia psichica di un popolo.
Dal punto di vista terminologico non ci sono dubbi sul fatto che igiene razziale, eugenetica, pogrom, sterminio, genocidio siano alcune delle parole - antiche e nuove e di applicazione universale - che nei fatti trovano nell'antigiudaismo la loro espressione temporalmente più lunga, geograficamente più estesa, culturalmente più radicata, umanamente più ingiusta e sadicamente più ripetuta.
Ma le cose cambiano se l'antigiudaismo cristiano viene considerato alla stregua degli altri antigiudaismi: quello ariano, quello social-darwinista, quello razziale, quello nazionalista o fascista o biologico: le principali fedi antigiudaiche cresciute nel corso del xix secolo ed esplose nel successivo.
All'antigiudaismo cristiano Bensoussan dedica molte pagine che ricorrono sovente nel libro. Un capitolo specifico è riservato all'antigiudaismo sviluppatosi nella Spagna cattolica ossessionata dalla conservazione della purezza del sangue.
Tra i motivi giudeofobici, l'accusa rivolta agli ebrei di deicidio non è peraltro una novità. Lo è invece l'aver Bensoussan cucito una nuova veste di antigiudaismo fatta indossare alla svolta cristiana del xii secolo, svolta per descrivere la quale l'autore risale all'opera di Marcel Gauchet La condition historique dove quest'ultimo "spiega che il miracolo della storia cristiana in Occidente fu una lenta emancipazione dell'ordine temporale rispetto all'ordine divino".
"Quando il mondo terreno era in sé una finalità - continua poco dopo Bensoussan rifacendosi sempre a Gauchet - l'umanità lavorava per la propria sussistenza. Quando però, verso l'anno Mille e un po' oltre, il mondo terreno non è più esclusivamente un mezzo per la vita eterna e quando la vita quaggiù è anch'essa dotata di senso, nasce allora la necessità di un'istituzione ecclesiale che faccia da intercessione tra il quaggiù e il lassù spirituale. È solo allora che il potere della Chiesa si rafforza per formare un potente apparato temporale la cui emergenza è strettamente legata all'emarginazione di gruppi minoritari". Il principale dei quali, a parte gli eretici, è quello costituito dal "popolo testimone", gli ebrei, condannati a diventare dei "residui della storia" in vista anche della concorrenza rappresentata dalla concomitante nascita de "l'Occidente dei borghi e delle città in una economia sempre più basata sul denaro".
Tutto bene, ma il risultato della svolta descritta in cui "fa la sua apparizione "la prima burocrazia occidentale" carica di "senso"", è che l'antigiudaismo perde l'unicità della motivazione deicida assumendo quella di un'ostilità fatta di gelosia culturale, ostilità che colloca il cattolicesimo in una posizione collaterale ai successivi antigiudaismi terreni e mondani nati con la Riforma, le guerre di religione, l'illuminismo. Il che risponde bene a un progetto relativistico nel quale la tradizione giudeofobica cristiana è, se così si può dire, svilita a un protagonismo ordinario nella storia.
Sennonché Bensoussan cita più volte René Girard e conosce l'ipotesi formulata da quest'ultimo sul fondamento culturale del meurtre fondateur, denunciato dall'antropologia evangelica. Il fatto è che Bensoussan non tiene poi conto di come la lettura antisacrificale dei Vangeli, proposta sempre da Girard, abbia svincolato la Chiesa dalla tradizione del cristianesimo storico abitato da un Dio che punisce. Il lògos giovanneo della rinuncia alla violenza è infatti sufficiente a riservare alla tradizione cristiana e alla Chiesa l'eccezionalità di un posto, al di fuori della storia, di custodi del sacro, questa volta nella sua forma non violenta e non punitiva. Posto conteso, ancorché nella forma tradizionale del sacro violento, dai totalitarismi del XX secolo, aspiranti anch'essi a veder loro riconosciuto un posto fuori della storia nell'ordine divino.
Non è andata così, bisogna prenderne atto, i totalitarismi restano quello che sono. Ciononostante i tentativi comparativistici proposti dalla cultura di porre Gesù sullo stesso piano di Dioniso, di non vedere la differenza tra il Giuseppe dell'Antico Testamento e l'Edipo del mito, e di non cogliere il senso anticipatore del sacro non violento nella rinuncia da parte della vera madre del bimbo nell'episodio del giudizio di Salomone, continuano.
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
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