lunedì 18 maggio 2009
L'idea di Terra Santa nella cultura cristiana anteriore a Costantino (Osservatore Romano)
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L'idea di Terra Santa nella cultura cristiana anteriore a Costantino
Il popolo che non cercava una patria terrena
Pubblichiamo stralci di una delle relazioni tenute durante il convegno "Ad ulteriores gentes. I cristiani nelle terre d'Oriente" svoltosi a Roma nell'ambito del Forum delle Università.
di Michel Tardieu
Collège de France
La rappresentazione della Palestina come Terra Santa è assente nella letteratura cristiana anteriore a Costantino il Grande. Per due motivi. Il primo è che la bipartizione biblica (Antico Testamento e Nuovo Testamento) non si è imposta tutta d'un tratto. I riferimenti cronologici della storia della regione concernono un particolarismo etnico e religioso. C'è voluto del tempo perché tali riferimenti fossero integrati nella cultura teologica della nuova religione.
D'altro canto, se si può comprendere che l'instabilità geografica e storica degli Ebrei ha necessariamente prodotto il topocentrismo caratteristico della loro religione e della loro cultura - terra promessa, terre sante dell'esilio, città santa, Sion - ciò non significa granché per le popolazioni cristianizzate d'Oriente e d'Occidente, estranee alle migrazioni continue.
Gli autori cristiani primitivi non attribuiscono alcun ruolo nello sviluppo dei loro rispettivi discorsi alla Giudea o Palestina, come d'altronde a nessun'altra regione del mondo. L'idea che possa esistere una terra privilegiata e santificata, terra a parte, alla quale si sarebbe uniti da vincoli affettivi rafforzati da credenze religiose e nella quale si desidererebbe essere inumati, appare solo all'interno di una corrente cristiana eterodossa, il montanismo, che vide la luce e fu percepito dall'eresiografia antica e anche dalla storiografia moderna (forse in modo esagerato) come cristianità "frigia".
L'interpretazione letterale delle scritture, la sacralità della propria terra, il possesso del suolo, gli specchi identitari (la terra, la nazione, il sangue, la parentela, la filiazione), tutti questi aspetti che alimentano i fondamentalismi di oggi esistevano anche nelle epoche antiche. Li si ritrova nelle componenti di tutti i mutamenti, compreso il cristianesimo.
L'esperienza cristiana primitiva è consistita però, per una parte essenziale, nel liberarsi da questa cultura della propria terra per pensarsi come teologia e nei termini originali di una teologia della redenzione. Ciò durò quasi quattro secoli.
L'invenzione propriamente cristiana della Terra santa e della santa città di Gerusalemme deriva da una decisione politica. L'ideologia imperiale bizantina, che scopre il luogo in cui si trovava la croce e gli altri luoghi santi, fa del territorio "santo", ossia sacralizzato dal sacrificio e dagli oracoli (profeti e rivelazioni), l'ambito protetto del sovrano e il fondamento dello Stato.
Il mosaico topografico della basilica di Madaba in Giordania (vi secolo) mostra che l'antica terra promessa agli ebrei, definita dalla ripartizione delle dodici tribù d'Israele, è ora una terra la cui santità è riconoscibile attraverso le chiese, i pellegrinaggi, i monasteri e una nuova toponimia.
Due secoli prima di Madaba san Girolamo si è fatto ardente promotore di questa visione delle cose: vi sviluppa il monachesimo femminile, esorta al turismo biblico e riconsidera l'esegesi attraverso l'archeologia. La sua Lettera a Marcella è ben nota. Lo è meno la Prefazione al Commento delle Cronache, di cui cito l'inizio: "Come si comprende meglio la storia greca se si è vista Atene, e il terzo libro di Virgilio se, partiti dalla Troade (Troia) si è navigato oltre Leucate e gli Acrocerauni fino alla Sicilia, e da lì fino alla foce del Tevere, allo stesso modo si ha una comprensione più profonda della Scrittura se si è vista con i propri occhi la Giudea e preso conoscenza delle storie memorabili (memorias) delle sue antiche città e anche della terminologia dei nomi propri di luogo, che siano gli stessi o che siano cambiati. È la ragione per cui ci siamo presi cura di eseguire questo lavoro (il commento delle Cronache) con i più eruditi fra gli ebrei, al fine di percorrere da un angolo all'altro (circumiremus) la provincia che tutte le Chiese celebrano".
Il cristianesimo antico pre-costantiniano si caratterizza, come ho già detto, per la non rivendicazione di una terra particolare che sarebbe una terra di "cristiani", escludendo un'altra religione, sul modello della terra promessa del giudaismo.
Per far capire bene il rifiuto cristiano del primato attribuito a una terra particolare, prenderò come esempio l'esegesi dell'episodio evangelico relativo alle lacrime di Gesù su Gerusalemme. Il passaggio è di Luca (19, 41-44). È preceduto dal racconto delle palme (19, 29-40) ed è seguito da episodi che si svolgono nel tempio: la cacciata dei mercanti (45-46), l'insegnamento pubblico di Gesù (19, 47-48 e 20, 1-8), la parabola del signore della vigna e dei contadini omicidi (20, 9-16), la pietra scartata dai costruttori (20, 17-19), la tassa dovuta a Cesare (20, 20-26). Marcione nel suo Vangelo non tiene conto di nessuno di questi episodi, salvo l'ultimo: la tassa dovuta a Cesare. Ora noi sappiamo attraverso Epifanio di Salamina, nel suo Ancoratus (XXXI, p. 123, 20-26 Dindorf), che negli esemplari evangelici non corretti utilizzati nella Chiesa (tà adiòrthota antìgrapha), vale a dire nei manoscritti non eretici, figurava chiaramente che Gesù aveva pianto su Gerusalemme, ma che in altri esemplari della Chiesa comune "alcuni ortodossi avevano soppresso questo versetto (Luca, 19, 41) perché erano spaventati (phobethèntes)".
Richard Simon pensava che questa correzione per eliminazione non poteva che provenire "da alcuni superstiziosi, che credevano che Gesù Cristo non sarebbe mai caduto in una debolezza così grande". Indegnità delle lacrime, ben testimoniate però in occasione della morte di Lazzaro (Giovanni, 11, 35). Un'altra interpretazione è che le lacrime di Gesù conferiscono in modo simbolico un valore eterno a una realtà fuggevole o spregevole: una città in cui era stata programmata la sua morte. Questi copisti ortodossi non hanno compreso, prosegue Epifanio, l'oggetto e il senso molto forte del versetto evangelico (tò tèlos kài tò iskhuròtaton). Questo senso e questo oggetto sono noti a Origene. Verosimilmente si tratta della città e del santuario che tutti conoscono, Gerusalemme: "L'esercito romano l'ha assediata e devastata fino allo sterminio, e verrà un tempo in cui non resterà di essa che pietra su pietra. Non nego - continua Origene - che quella Gerusalemme sia stata distrutta a causa dei crimini dei suoi abitanti, ma mi chiedo se per caso queste lacrime non si confacciano anche alla nostra Gerusalemme. Noi siamo in effetti la Gerusalemme su cui Gesù ha pianto" (nos enim sumus Hierusalem, quae defletur).
L'altro aspetto dell'esegesi è fornito nel Commento su Matteo (frammento 365 dell'edizione di Erich Klostermann). Origene avvicina e combina in maniera perfetta tre episodi evangelici cronologicamente indipendenti: il racconto della Trasfigurazione nei sinottici, la scena delle lacrime su Gerusalemme, riportata solo da Luca, e la sequenza, propria di Matteo, riguardante l'apertura dei sepolcri e la risurrezione dei santi nel momento preciso in cui muore Gesù e il velo del tempio si squarcia.
In base alla spiegazione che Origene fornisce, "secondo il senso ovvio del termine", precisa, Mosè ed Elia, dopo essere apparsi nella gloria e aver conversato con Gesù (cfr. Luca, 9, 30-31) sulla montagna, erano ripartiti da dove erano venuti (cfr. Matteo, 17, 8), in altre parole nel mondo divino.
La geografia religiosa dell'idea di Terra Santa, che sottende l'esegesi origeniana, è quella di un mondo divenuto un'immagine. Riformulo questo concetto utilizzando la terminologia di Platone. La carne del corpo che è il mondo sensibile è un'anima, terra o città fisica, Gerusalemme terrestre o di quaggiù, quella che è la causa delle lacrime. Suo antitipo nella trascendenza è la Città veramente Santa, Gerusalemme di lassù sulla quale Gesù non piange, Terra nuova, Paradiso. Quella città, "non è situata né in fondo a una valle né in basso, ma costruita su una montagna e circondata da montagne". Vi sale e vi entra solo l'anima.
(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)
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