sabato 16 maggio 2009

Il Papa in Medio Oriente: quelle differenze devono avvicinarsi (Casavola)


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Il Papa in Medio Oriente

QUELLE DIFFERENZE DEVONO AVVICINARSI

di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

BENEDETTO XVI ha terminato il viaggio in Terrasanta, pellegrino di preghiera e di pace, come si era definito e quale è stato. Lo abbiamo seguito sugli schermi televisivi, tappa per tappa, in ogni incontro con l’umanità che abita la Palestina, cristiana, musulmana, israeliana, con le rispettive rappresentanze politiche, religiose, culturali, negli atti di culto compiuti tra poche presenze o celebrati dinanzi a moltitudini, nella suggestione di monumenti e di paesaggi che conservano l’eco millenaria di una storia sacra e profana insieme, che costringe le nostre parole a salire a significati simbolici.
Quante volte sarà stata, in questa settimana, pronunciata la parola “pace”? Avrà avuto in una terra che alterna lo scontro militare e terroristico ad un permanente conflitto politico, il valore di un impegno per le volontà di quanti hanno in quell’era la responsabilità di destini collettivi.
Un impegno riproposto dinanzi ad un testimone d’eccezione, quale il Papa di Roma, e suo tramite dinanzi alla comunità internazionale. Il pellegrino di pace deve aver verificato la sincerità e la forza di un tale proposito, che corrisponde alla necessità di vita di quei popoli, se ne ha ricavato la convinzione di “qui la pace è possibile”. Egli ha solo suggerito che occorrono due Stati per due popoli, dando voce alla ragione umana, che è identica oltre ogni civiltà e religione. Ma “pace”, nell’augurio di pace ch’egli ha voluto pronunciare in arabo alla Messa dei cinquantamila nell’anfiteatro di Nazaret, va ben oltre la pace tra Stato. E’ l pace nei cuori, nelle relazioni tra gli esseri umani, nelle famiglie, tra le classi sociali, oltre le etnie e le lingue e le tradizioni. Questa pace in terra, che gli angeli di Betlemme promisero agli uomini amati da Dio, diventa oggi una consegna indirizzata agli uomini delle religioni. La fede nel Dio di Abramo dovrebbe unificare in un comune cammino verso la pace interiore cristiani, ebrei, musulmani. Ma quante diversità, nel contesto delle fedi, vanno messe a confronto!
La sola minoranza cristiana in Terrasanta annovera cattolici latini, maroniti, melchiti, armeni, siriaci, caldei, copti, ortodossi, evangelici. Le varianti delle professioni religiose esprimono la storia delle comunità umane in cerca di autoidentificazione, distinguendosi o addirittura separandosi anche dinanzi all’unico Dio.
La pace deve non reprimere ma promuovere queste storie diverse, come nella metafora uata da Benedetto XVI, dei rami dello stesso ulivo, che devono avvicinarsi, “nutriti dalle stesse radici ed uniti da amore fraterno”. A dimostrazione della scelta della buona strada, il Papa ha ricordato i suoi predecessori, Paolo VI che incontrò il patriarca Athenagora, e Giovanni Paolo II il patriarca Diodoros. Egli ha avuto modo, visitando il memoriale dell’Olocausto, di misurare quanto accade senza Dio e contro di lui, ricordando i tanti Ebrei, madri, padri, mariti, mogli, fratelli, sorelle, amici, brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio, che propagava un’ideologia di antisemitismo e di odio. Ma ancora più in alto della storia la religione chiama al mistero di Dio, che nasce tra gli uomini, si fa da loro uccidere in croce e rinasce dalla morte nella gloria del Padre. La visita del Papa al sepolcro di Gesù ha fatto riflettere sul monito dell’Angelo alle donne spaventate dalla tomba vuota: “Non abbiate paura”. Fu questo anche il primo ammonimento del pontificato di Giovanni Paolo II. Forse abbiamo paura del Risorto, più che della nostra fine. Cerchiamo di comprendere quanto drammatica sia oggi per noi la linea di partenza.

© Copyright Il Messaggero, 16 maggio 2009 consultabile online anche qui.

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