venerdì 15 maggio 2009

Il coraggio di Benedetto XVI (Bobbio)


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Su segnalazione del nostro Gianniz leggiamo questo articolo di Alberto Bobbio che contiene spunti davvero interessanti.
Mi dispiace non avere pubblicato altri articoli di Bobbio in questi giorni ma purtroppo l'amica che me li passa e' in vacanza :-)
Speriamo li abbia conservati in modo da leggerli al suo ritorno
.
R.

IL CORAGGIO DI BENEDETTO XVI

di Alberto Bobbio

La missione di Benedetto XVI in Terra Santa ha riaperto tutti i dossier del Medio Oriente.
Negli ultimi mesi, dopo la guerra a Gaza, le elezioni in Israele e soprattutto quelle americane, tutti gli attori di questa complicata scena si erano affrettati a chiuderli, per evitare che la partita diventasse globale e quindi più esposta al giudizio interno e internazionale. Joseph Ratzinger, in Giordania e in Israele, ha rimesso tutto sul tavolo invitando il mondo a sedersi attorno. Quella supplica fatta a Tel Aviv e ripetuta a Betlemme potrà cambiare qualcosa?
Il Papa ha detto una cosa che il solito club della paura, che governa le cose in Medio Oriente, non vuole sentirsi dire, e cioè che per la pace occorre il coraggio che non si trova mai. Ratzinger ha proposto un punto di vista che è morale prima che politico, intrecciato attorno a diritti fondamentali: libertà, indipendenza, sicurezza. Praticamente ha posto il tema del diritto alla vita. Qualcuno adesso comincerà con le solite domande.
Il Papa è stato poco religioso e troppo politico? Filo-palestinese, oppure filo-israeliano? Le parole forti di Betlemme saranno naturalmente passate al setaccio, ma c’è già chi fa notare lo squilibrio rispetto al silenzio sulle minacce iraniane a Israele. La missione di Ratzinger non aveva questo scopo. Se uno decide di andare ad riaprire tutti i dossier è quasi naturale che scontenterà qualcuno, provocando precisazioni e reazioni. In Medio Oriente nessuno si mette di fronte la complessità della situazione. Di solito si propongono soluzioni facili a questioni complesse.
L’esempio del Muro è una di queste: ha fatto aumentare la rabbia. E quando il Papa ha detto che i muri si possono abbattere, come è avvenuto a Berlino, è venuto giù il cielo in Israele e il solito club della paura si è rimesso in moto.
Ma anche ad Hamas non è piaciuta la giornata del Papa a Betlemme, perché ha parlato di conflitto e non di guerra e ha evitato il termine occupazione. Allo Yad Vashem non è piaciuto il criterio universale di analisi della memoria dell’Olocausto, quasi che Ratzinger sia venuto per scipparla agli ebrei.
Il problema è che ogni visione, anche quelle strategiche, da queste parti è sempre troppo corta, povera di sforzo corale. Così falliscono. Il fatto che il Papa lo abbia detto ha dato fastidio. Allora è scattato il parallelo con Wojtyla, nel senso che Giovanni Paolo, lui sì, si è comportato bene. Al Muro del Pianto ha posato la sua mano tremante sulle pietre. A Betlemme parlò esplicitamente di diritto al ritorno. Ratzinger ha invece sbagliato tutto. A chi stima il giochetto si può far notare la scelta della Valle di Giosafat, appena sotto il Getsemani, cioè il luogo della riflessione sulle decisioni di estrema difficoltà, per la celebrazione della Messa di Gerusalemme, nella quale il Papa ha affrontato la questione cruciale della Città Santa, il problema dei problemi, su cui nessuno ha diritto di rivendicazione.
E poi la scelta di parlare al campo profughi di Haida, quello dove il Muro nessuno lo può nascondere se non abbattendolo. Non sono altrettanti gesti significativi?
Ha riaperto dossier politici con rilevanza interreligiosa e dossier interreligiosi con rilevanza politica, come quello della fuga dei cristiani dalla Terra Santa. Sul piano diplomatico ha messo fretta a tutti, aiutato dal re di Giordania. Nei prossimi giorni gli israeliani e i palestinesi andranno da Obama. Anche lui ha fretta. Netanyahu cercherà di convincerlo a rallentare, visto che non può fargli cambiare politica. Abu Mazen farà il contrario, E allora si vedrà quanto è contata la missione di Benedetto XVI.

© Copyright Eco di Bergamo, 15 maggio 2009

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