venerdì 15 maggio 2009

Il «qui» del Sepolcro e le (bellissime) parole conclusive (Giorgio Bernardelli)


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Il «qui» del Sepolcro e le (bellissime) parole conclusive

di Giorgio Bernardelli

Ore 14,30: Il «qui» del Sepolcro e le (bellissime) parole conclusive

Il Papa è ormai è ripartito per Roma. Ci sarà tempo stasera per tracciare il nostro bilancio. Adesso, invece, dobbiamo assolutamente non lasciare scivolare via quest'ultima mattinata, che ha detto altre cose importanti. Mi permetto di buttare lì due sottolineature.

Ascoltando oggi il discorso di Benedetto XVI al Santo Sepolcro c'era un'espressione che ritornava in continuazione: l'avverbio «qui».
Il Papa indicava continuamente il luogo che gli stava di fronte. Può sembrare una banalità, ma invece è una sottolineatura importante per noi cristiani. Dice che la Terra Santa per noi non è un luogo come tutti gli altri. Ci radica in un posto. Il che vuol dire ricordarci che la nostra storia si poggia non su qualche idea vaga, ma su un fatto ben preciso. In questi giorni in ogni tappa abbiamo sottolineato un volto di Josef Ratzinger: quello di stamattina era l'autore del «Gesù di Nazaret», il libro di cristologia di cui aspettiamo il secondo volume, che ha al suo centro proprio il tema della storicità dei fatti narrati dai Vangeli.
Ma è un «qui» - e veniamo alla seconda idea - che illumina anche tutto il resto. Perché senza questo riferimento non si capisce il Benedetto XVI «politico» di questi giorni.
Se non avete avuto tempo di leggere in questi giorni i discorsi del Papa, dedicate qualche minuto almeno a quello conclusivo, pronunciato qualche minuto fa all'aeroporto di Tel Aviv prima di partire (clicca qui per leggere il testo). C'è dentro tutto: la comune radice di ebrei e cristiani, la condanna dell'antisemitismo, ma anche un Papa che vuole proclamarsi amico sia degli israeliani sia dei palestinesi, e che in forza di questa amicizia - dice - non può tacere di fronte alle sofferenze di nessuno. Poi anche qui ha citato ancora il muro di separazione con queste parole.
Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione. Signor Presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo. So quanto sia difficile il Suo compito e quello dell’Autorità Palestinese. Ma Le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo La accompagnano mentre Ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione.
È quel «qui» del Sepolcro ad aver portato il Papa ad arrischiarsi anche su terreni così incandescenti in questi giorni. Perché a noi cristiani il futuro di questo luogo non può essere indifferente. Mi colpiva ieri l'analisi su L'Occidentale di un'osservatore amico di Benedetto XVI come Giorgio Israel: spaccava il viaggio in due dicendo, in sostanza, un grande Papa teologo, amico degli ebrei, ma mal consigliato da chi gli scrive le parti politiche dei discorsi. È una lettura ingenerosa (alla fine tratta Benedetto XVI come un ingenuo professore, fuori dal mondo).
Al contrario: c'è una continuità profonda tra il messaggio del Ratzinger teologo e il Ratzinger politico di questi giorni. Ed è la continuità data dal fatto che sulla Terra Santa la Chiesa non può ragionare in teoria, ma deve fare i conti con «la carne», con la vita concreta delle sue comunità che vogliono rimanere accanto alla tomba vuota del Risorto.
Qualcuno avrebbe peferito che sulla pace il Papa in questi giorni facesse della teoria. Lui - sorprendendo un po' tutti - ha scelto di fare i conti con la storia concreta, di ieri e di oggi, come a un cristiano questa terra non può non suggerire. Però - ha ricordato lui stesso, ripartendo per Roma - lo ha fatto comunque da amico. Anche di Israele.

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1 commento:

Carla ha detto...

Sì, è proprio così, come nell'articolo di Marina Valensise, anche in questo è giustamente messa in luce la straordinaria sintesi tra il messaggio "teologico" e messaggio "politico". Il cristiuanesimo, religione fondata sull'Amore e sulla ragione e quindi per ciò stessa aliena da fondamentalismi, può ambire a porsi come autorevole forza mediatrice, anche nel conflitto israelo-palestinese. E, questa mediazione - da portare avanti da parte di Papa Benedetto, persona estremamante dotata di autorità e carisma , mai come ora sembra una missione "possibile", per quanto ambiziosa.