sabato 16 maggio 2009

Il Papa ha seminato speranza. Ora tocca a tutti lavorare per la pace (Osservatore Romano)


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Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini e il custode di Terra Santa sul viaggio di Benedetto XVI

Il Papa ha seminato speranza
Ora tocca a tutti lavorare per la pace


dal nostro inviato Gianluca Biccini

"Benedetto XVI ha gettato semi di speranza in questi luoghi ove tutto rimanda al Vangelo. Adesso tocca a noi, pastori di un piccolo gregge, far sì che essi portino gli attesi frutti della pace, della riconciliazione e dell'unità". Usano parole simili il Patriarca di Gerusalemme dei Latini e il custode francescano di Terra Santa nel tracciare un bilancio del pellegrinaggio del Papa appena conclusosi. Entrambi lo hanno seguito passo dopo passo in queste otto intensissime giornate.
Entrambi hanno maturato la certezza che il viaggio del Pontefice ha pienamente raggiunto i suoi obiettivi e che ora tocca ai cattolici di questi luoghi benedetti dalla presenza del Signore - dalle più alte gerarchie fino all'ultimo umile fedele - il faticoso compito di mantenere la rotta nella direzione indicata dal Successore di Pietro. "Ci ha dato soprattutto convinzione e coraggio" spiega il Patriarca Fouad Twal a nome dell'assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa.
"Non ci aspettiamo miracoli, ma dobbiamo pregare, e dare al Signore il tempo per raccogliere quanto è stato seminato". Non a caso uno dei messaggi più ricorrenti di Benedetto XVI è stato quello rivolto ai cristiani affinché non abbandonino le terre dei loro antenati. "Ci ha chiesto di rimanere, di resistere nonostante la complessità della situazione - prosegue - perché questi sono anche i luoghi della croce. Si tratta di una sfida che va accettata anche in condizioni drammatiche. Il Papa stesso ha potuto vedere con i propri occhi, toccare con le proprie mani le difficoltà che noi viviamo ogni giorno. E questo ce lo fa sentire più vicino, ci permette di sentire più vicina la Chiesa universale. La voce di Benedetto XVI arriva in tutto il mondo e ora attendiamo più preghiere per la Terra Santa, più solidarietà in tutti i sensi".
Un particolare ruolo in questo faticoso percorso verso la pace tra tutti i popoli della regione può svolgerlo la famiglia. Benedetto XVI ha concluso - celebrando nella capitale giordana e a Nazaret due messe dedicate alla famiglia - un intero triennio voluto dalla Chiesa locale per la rivalutazione di questa fondamentale istituzione sociale. "Ritengo che sia stato particolarmente importante per la Giordania" commenta il Patriarca, che è originario di questo Paese. "La struttura prevalentemente tribale della società, e incentrata su una fede di tipo tradizionale, poggia necessariamente sull'istituto familiare. La domenica si va a messa tutti insieme - nonni, genitori e bambini - e forse non è un caso che stabilità politica e familiare coincidano". Con riflessi anche sui percorsi vocazionali, tanto che Twal ha più volte ripetuto orgoglioso che il seminario è "tutto esaurito" e si rende necessaria l'apertura di una nuova succursale.
Diverso è il discorso in Israele e nei Territori palestinesi, dove si registra soprattutto stanchezza nei confronti della violenza. "Sessant'anni di guerra - dice - sono troppi per tutti. La gente non ne può più, per questo fugge, se ne va. Ma io vedo qualche prospettiva di speranza - conclude - la visita del Papa, quella successiva del presidente degli Stati Uniti Obama, i segnali che giungono dalla comunità internazionale e dagli stessi dirigenti arabi e israeliani fanno ben sperare. Per questo ai bambini del nostro popolo dico: voi siete chiamati a vivere una missione. Se andate via troverete lavoro, forse avrete una casa e non dovrete più passare i check-point, ma non troverete da nessuna parte una Terra Santa".
Di "bilancio assolutamente positivo" parla anche padre Pierbattista Pizzaballa. Questo giovane e colto frate, cui è stata affidata la grande responsabilità della gestione dei luoghi francescani dell'Incarnazione, sottolinea soprattutto la valenza interreligiosa del viaggio di Benedetto XVI. "Ha dato forza innanzitutto ai cristiani di Terra Santa. Inoltre, in questo contesto interreligioso, ha saputo parlare con chiarezza a musulmani ed ebrei".
Alla vigilia della partenza c'erano timori di strumentalizzazione, ma il Papa "senza retorica ha detto ciò che più gli stava a cuore con quello spirito di libertà, di serenità, che ha lasciato un senso di gratitudine e nel contempo di libertà negli ascoltatori. A noi ha dato la sicurezza che tutto si può fare e che avremo un maggior rispetto nei confronti della nostra Chiesa".
Ripercorrendo poi le tappe più importanti del pellegrinaggio padre Pizzaballa individua due estremi: il Cenacolo "povero dal punto di vista esterno ma anche molto intenso, forte" e "la messa a Nazaret, con questo mare oceanico di fedeli". Entrambi sono quasi una metafora della Terra Santa, che è sia "Cenacolo con la povertà, le difficoltà, la solitudine", sia "Nazaret con la bellezza, l'entusiasmo, la passione. In mezzo c'è la messa a Betlemme: memorabile. Penso che lascerà un segno indelebile".
E sulla scia della spiritualità francescana rilancia la parola pace, echeggiata non solo in ciascuno dei ben 31 discorsi - un record di questo pontificato - pronunciati da Benedetto XVI durante gli innumerevoli appuntamenti, ma ripresa in tutte le lingue di questa regione da chi gli stava attorno: "Shalom, salaam, peace: l'abbiamo letta sugli striscioni e sui manifesti, l'abbiamo sentita nei canti e negli slogan. Ora bisogna prepararla questa pace, che deve essere basata sull'integrità, sulla dignità delle persone, su rapporti assolutamente liberi, sulla fiducia reciproca. Ci vorrà molto tempo; però i segni e i gesti che ci sono stati durante la visita del Papa indicano la meta e, in particolare, mostrano che è possibile raggiungerla. Non si tratta di sogni utopistici, ma di un qualcosa che, se è veramente voluta, può diventare realtà".
Infine il Papa ha più volte richiamato il modello di san Francesco nei suoi discorsi ricordando che i muri, l'incapacità di parlarsi, si possono aggirare con gesti semplici, così come fece Francesco con il sultano. "Questo riconoscimento oltre a farci piacere - conclude - ci stimola a continuare a fare il nostro dovere con passione e amore. Soprattutto continueremo ad aiutare le persone a restare in questi luoghi, sostenendoli con case e lavoro, i due capisaldi della nostra plurisecolare presenza in Terra Santa".

(©L'Osservatore Romano - 17 Maggio 2009)

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