sabato 11 luglio 2009
Incontro Obama-Papa: secondo Zucconi ci sono contrasti dietro ai sorrisi, la Dignitas personae è un'enciclica e il Papa si serve di Alpini
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IL COMMENTO
I contrasti dietro i sorrisi
di VITTORIO ZUCCONI
E' stato l'incontro fra due viaggiatori venuti dagli estremi opposti della storia umana, il Papa bianco di una Chiesa che non può mai cambiare e il papa laico di un'America che non può fare a meno di cambiare.
Dopo tanta sceneggiatura all'Aquila, il loro è stato il solo, autentico "vertice" di questi tre giorni di G8. Perché vedere quei due uomini così diversi fra loro - e basterebbero i nomi a segnalarlo, Barack Hussein e Joseph Aloisius - stringersi le mani calorosamente a nome di grandi comunità di cittadini o di credenti, era la fotografia di che cosa sia divenuto il mondo e di che cosa sia destinato a divenire.
Non esistono due figure che possano reclamare una riconoscibilità globale più immediata ed eloquente di Barack Hussein Obama e di Joseph Aloisius Ratzinger e forse per questo sembravano conoscersi da sempre.
È stato probabilmente uno shock, per chi non è abituato vederlo in azione, osservare come addirittura fra i due fosse l'estraneo, Obama, ad apparire più a proprio agio del padrone di casa, che pure in quelle stanze, prima da influentissimo cardinale e ora da Capo della Chiesa, vive da decenni.
Semmai il più preoccupato di fare un gesto sbagliato, di mostrarsi un ospite non abbastanza premuroso o troppo premuroso, era papa Benedetto, che posava per i fotografi con la dolorosa timidezza della sua personalità, dardeggiando gli occhi per chiedersi quando farla finita coi flash. Mentre lo straniero, unico volto nero nella folla di pallidi camerlenghi, nobiluomini, prelati, diplomatici, guardie alpine, sorrideva con la collaudata spontaneità di chi lì fosse nato.
La naturalezza del presidente americano, un "natural born leader", un uomo che sembra nato ovunque si trovi e che riempie di sé ogni spazio in cui entri, si tratti di un campetto da basket in una high school dello Iowa o di un'apoteosi di marmi barocchi e di porpore in Vaticano, rendeva spontaneo e facile un incontro che invece era pieno di sottintesi e di difficoltà.
I rapporti fra il Vaticano e gli Stati Uniti d'America non sono una storia facile. Da appena 24 anni, dal 1985 quando era papa Giovanni Paolo e presidente Ronald Reagan, i due stati si riconoscono ufficialmente. Anche oltre la formalità delle relazioni, la sostanza ha conosciuto alte e basse maree violente.
Il gelo del rapporto fra Wojtyla e Clinton, uomo dai costumi privati abominevoli per la Chiesa e dichiaratamente pro aborto, fu visibilissimo nelle visite del Papa negli Usa. A St. Louis nel Missouri e poi a Newark, nel New Jersey, quando il Pontefice e il Presidente passarono l'uno accanto all'altro come due navi che si incrociano nella notte, educatamente tenendo la distanza, senza davvero fermarsi.
L'entusiasmo per la ostentata cristianità di George Bush, che aveva fatto sperare la Santa Sede in una presidenza militante contro aborto e ricerche sulle staminali embrionali, si dissolse nella netta opposizione del Vaticano all'invasione dell'Iraq. Un'opposizione che non si tradusse affatto nell'appoggio ai candidati opposti, come John Kerry, attaccato dall'episcopato americano come "abortista" o a Barack Obama che ricevette la condanna di 73 vescovi, un terzo della Conferenza Episcopale americana, quando fu invitato il mese scorso a parlare nella principale università cattolica della nazione, "Notre Dame" dell'Indiana.
Di questa storia irrisolta, non c'era traccia visibile, nel "vertice" di ieri nei Palazzi Apostolici. Se la First Lady, Michelle, imprigionata come una statua nell'abito nero d'ordinanza sotto un velo che i capelli a crocchia alti sul capo facevano somigliare a una "mantilla", appariva un po' rigida, il marito riusciva a salutare Benedetto XVI come se avesse ritrovato il consigliere spirituale della propria giovinezza, un "brother" più anziano e caro. Lui che fu allevato dal padre e dal patrigno, musulmani, nella lettura del Corano in Indonesia, che abbracciò, tiepidamente il cristianesimo protestante dei Battisti, obbligatorio per un politico americano di colore, ha offerto al Papa la stola del primo santo americano come la cara reliquia di una religione mai professata.
Persino i Kennedy, forse perché cattolici, e Jacqueline, erano apparsi intimiditi da quelle stanze e da quell'atmosfera, quando furono ricevuti nel 1963 da Paolo VI. George Bush, con la sua libraia Laura al fianco, era visibilmente scosso dall'incontro con la schiacciante figura morale di Giovanni Paolo II. Neppure JFK, che conosceva l'arte della spontaneità a comando, aveva mostrato la capacità quasi disumana di Obama di passare dal sorriso più rilassato, in quel mondo a lui completamente estraneo, alla pensosità più riflessiva, di fronte a questo Papa con il quale, in futuro, non potranno mancare i contrasti.
Specialmente quando il nodo delle sentenze e delle leggi sull'aborto tornerà molto presto davanti al Parlamento e alle Corti americane. E Obama non potrà cavarsela con un sorriso e un discorso, come, con la sottigliezza del vecchio sacerdote che non perde occasione di tentare la salvezza della pecorella smarrita, gli ha ricordato Ratzinger regalandogli anche una copia della sua enciclica "Dignitatis personae", summa della sua dottrina anti-abortista.
Uscendo, nel trascinare i piedi per non investire la antica processione del seguito papalino, Obama si è fermato a osservare un Caravaggio, una delle tante tele casualmente appese in quelle stanze, forse pensando alle orrende croste con i ritratti dei suoi predecessori che lo attendono alle pareti della Casa Bianca. Se abbia provato un brivido di invidia e di timidezza almeno in questo confronto, non ha dato a vedere.
© Copyright Repubblica, 11 luglio 2009 consultabile online anche qui.
Non ho capito l'utilita' di questo articolo comunque...
Sono pero' d'accordo su un punto: Obama ed il Papa sono stati i veri leaders di questo G8 e, in generale, di questi giorni.
Per il resto posso dire di avere notato che sia il Presidente Obama sia la signora Michelle erano particolarmente emozionati, quasi commossi, mentre Benedetto XVI appariva completamente a proprio agio.
Non ho ravvisato alcuna differenza nel suo atteggiamento rispetto all'incontro con altri Capi di Stato.
Caro Zucconi, l'America (che, a Suo parere, non puo' fare a meno di cambiare) e' una nazione giovanissima.
La Chiesa (che, secondo il Nostro, non può mai cambiare) ha duemila anni di storia alle spalle.
Non dimentichiamolo...
Ringraziamo di cuore Zucconi perche' da oggi sappiamo che il Papa ha cambiato esercito...si'...dalle Guardie Svizzere agli Alpini.
Facendo parte di una famiglia i cui uomini, nel corso della leva obbligatoria, hanno servito da sempre il Corpo degli Alpini, non posso che essere orgogliosa. :-)))
Non solo: apprendiamo anche che la "Dignitas personae" e' stata scritta da Benedetto XVI (e non dal cardinale Levada) e che si tratta, udite udite, di un'enciclica!
Caro Zucconi, mi permetta di farLe notare che l'avere ravvisato imbarazzo in Benedetto XVI e l'avere scambiato la "Dignitas personae" per un'enciclica (errore gravissimo di concetto, come si diceva una volta!), dimostra che Lei, mi perdoni, conosce poco Joseph Alois Ratzinger e la sua monumentale attivita' magisteriale.
R.
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2 commenti:
Cara Raffaella, compliemnti. Da uno che si chiama Zucconi, e che senz'altro avrà una positivistica fiducia nella genetica, non ci possiamo aspettare altro. Già qualche giorno fa il Vittorio aveva fatto notare che sebbene Obama, nonostante le magliette delle figlie, continuasse a bombardare i civili, non ne fosse entusiasta, come lo era quello schifo di Bush. Bisogna riconoscere che Obama e Michelle sono belli, telegenici, affabili e hanno la pelle giusta, ma il Nyt e i liberal che lo hanno messo lì, sono come il partito di Repubblica. Saluti, Eufemia.
Zucconi non da ora sfodera un articolo più imbarazzante dell'altro.. Di questo poi, in stile da vaticanista "della domenica", non si sa se ridere o piangere.
Su Repubblica ha detto bene padre Livio Fanzaga: è un giornale anticristiano.
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