venerdì 10 luglio 2009
Caritas in veritate: Che il mercato sia benedetto (Ruffolo)
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ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": LO SPECIALE DEL BLOG
Che il mercato sia benedetto
di Giorgio Ruffolo
Giustizia sociale. Economia del dono. Cooperazione. Governo della globalizzazione. Tutela dell'ambiente.
L'enciclica del papa letta da uno studioso laico L'autorevole voce del pontefice è importante non solo per il contenuto e per la solennità con cui si esprime, la solennità di un'enciclica, 'Caritas in Veritate', ma per il momento in cui Benedetto XVI ha deciso di esternarla, il momento di una crisi economica angosciosa e pericolosa.
Chi scrive è un non credente che non si pronuncia sulle premesse teologiche, convinto com'è che l'uomo, che si distingue dagli altri animali per la tragica consapevolezza della sua morte, è solo con se stesso e non risponde che a sé. Non posso, per doveroso rispetto, pronunciarmi negli stessi termini nei quali si espresse Mario Missiroli con Pio XII che gli chiedeva delle convinzioni religiose di Pietro Nenni: "Lasci stare la religione, Santità". Ma prima di entrare nel merito, una premessa sul titolo dell'enciclica: la formula 'propulsiva' della Carità nella Verità. Il papa affronta con grande apertura culturale e competenza tecnica i problemi della verità di fronte ai quali il mondo si trova: e cioè i progetti e i processi del progresso umano, entrando nel vivo e senza mezzi termini. Senza la verità, afferma con piglio moderno, la carità diventa irrilevante esibizione di buoni sentimenti. Ma senza la carità, l'enorme forza dell'amore che muove le azioni degli uomini, la verità diventa vuota: una serie di eventi senza senso, che finiscono anzi per rivoltarsi contro il progresso e per minacciare la stessa sopravvivenza dell'uomo.
Ciò appare già dal primo tema: quello della giustizia sociale. L'essenza del capitalismo (posso sbagliare, il pontefice non pronuncia mai questa parola, proprio come Marx) sta nel perseguire l'equilibrio economico attraverso rapporti di equità commutativa (a ciascuno l'equivalente di ciò che ha dato) piuttosto che di giustizia distributiva (ciò di cui ha bisogno). Ora, la Chiesa conferma quello che non ha mancato di affermare in precedenti pronunciamenti: l'importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato. Perché il mercato, lasciato al solo principio dell'equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui ha bisogno per funzionare. Rischiando di abbassare il tono dei riferimenti, da Gesù Cristo e dai padri della Chiesa a un economista, ricordo che se è vera la famosa sentenza di Adam Smith, di non dover attenderci la nostra bistecca dalla benevolenza del macellaio, è anche vera l'altra sua sentenza, spesso dimenticata, che tutti noi (anche il macellaio) abbiamo bisogno di simpatia: come dire di carità, di fiducia gratuita. È la perdita di quella fiducia la causa principale dell'attuale crisi.
Anche sul secondo tema, la globalizzazione, l'enciclica si esprime in modo equilibrato.
Sono evidenti i benefici derivanti dalla apertura delle frontiere economiche: a dire la verità, soprattutto di quella riguardante i movimenti dei capitali, non le migrazioni degli uomini e delle donne, altra cosa. Sono evidenti la liberazione da condizioni di miseria estrema di miliardi di donne e uomini dei paesi poveri, il forte impulso alle innovazioni tecnologiche e quindi all'aumento della produttività, la moltiplicazione degli scambi, delle relazioni, delle conoscenze. Ma è altrettanto evidente che lo stesso sviluppo economico continua a essere gravato da distorsioni e da problemi drammatici, messi ancor più in risalto dall'attuale crisi. L'impatto incontrollabile delle tecnologie, le diseguaglianze della crescita, gli squilibri di una finanza speculativa, i flussi migratori non gestiti, lo sfruttamento sregolato delle risorse della Terra. Tutto ciò richiederebbe un 'governo della globalizzazione' che si basi sulla sussidiarietà, e cioè sull'autonomia dei corpi intermedi tra i quali ripartire le responsabilità della produzione e della distribuzione delle risorse.
La sussidiarietà è indicata dall'enciclica come il miglior antidoto allo sfruttamento da una parte, e all'assistenzialismo dall'altra. Una forma che si avvicini il più possibile all'autogestione sociale, cooperativa e democratica. È evidente la preferenza della Chiesa per rapporti basati sulla coperazione piuttosto che sulla competizione, che non va affatto contrariata, ma contemperata. Potremmo aggiungere che la globalizzazione ha intensificato ed esasperato alcune delle caratteristiche insite nella natura del capitalismo: la prevalenza del capitale è divenuta preponderanza; la prevalenza del mercato, è divenuta tendenza alla mercatizzazione della società, introducendo due fattori disgreganti. Il primo è la sovrabbondanza dei consumi privati contrapposta alla povertà degli impieghi sociali (scuola, salute, cultura, protezione sociale, ambiente). Il secondo, ancor più grave, è la mercatizzazione delle regole.
Le regole del gioco devono restare fuori del gioco. Se vi entrano, non esiste più il gioco. Le regole non si possono comprare e vendere. Ma proprio questo è avvenuto durante l'ultima crisi.
Qui si inserisce, come arricchimento del mercato, il tema dell'economia del dono. Ne abbiamo trattato di sfuggita, qualche tempo fa su 'L'espresso'.
Il dono, afferma in 'Caritas in veritate' il papa, non contraddice il mercato, lo integra. Anche nel mercato ci sono elementi di gratuità, che lo trascendono (nel mercato, dice il sociologo francese Durkheim, esagerando un poco, quasi niente è contrattuale). Il dono non chiede corrispettivi, è una eccedenza. È gratuito e non regolato, come l'immaginazione rispetto alla logica. Ci può essere logica senza la fonte gratuita dell'immaginazione? Ci può essere mercato senza la predisposizione al dono? La nostra società sta riscoprendo il dono a un livello elevato di ricchezza; con l'espansione vigorosa del terzo settore non profit. Non è un'utopia, è una realtà operante di attività gratuite e solidali. Tanto da far pensare che non di un settore marginale si tratti, ma di un vero e proprio sistema, che si sta affiancando agli altri due del mercato e dello Stato.
L'enciclica si muove esattamente in questa direzione, che era stata proposta già, come ricorda Joseph Ratzinger, da Paolo VI.
Il dono più grande l'umanità lo ha ricevuto dalla natura (il papa dice, naturalmente, da Dio). Ed è la natura stessa. Stiamo facendo di tutto per distruggerla. L'enciclica affronta, ovviamente, la questione ambientale: ma lo fa senza la solita 'lagna' (l'espressione è di un ex ambientalista divenuto sviluppista). Lo fa in modo positivo.
Anche qui il non credente e il credente possono incontrarsi nell'azione pratica a tutela dell'integrità dell'ambiente, da qualunque principio sia ispirata: quello che l'ambiente sia un dono divino, o lo specchio dell'uomo, da preservare e arricchire a vantaggio delle generazioni future.
Più problematico invece è il discorso sulla demografia. Certo, dire che l'aumento della popolazione è la causa prima del degrado dell'ambiente è scorretto, ma è altrettanto scorretto affermare che non esiste come causa (come invece sembra dire il papa). È ancora più scorretto porre in primo piano il calo di natalità dei paesi ricchi, anziché l'eccesso di natalità nei paesi poveri, dove si registra il maggior numero di decessi di bambini per fame e privazioni.
La Chiesa afferma che ha a cuore lo sviluppo umano integrale e il pieno rispetto dei valori umani. Ma non è sviluppo umano quello dei bambini poveri e non è rispetto dei valori quello della loro protezione? La risposta è affidata solo all'"esercizio responsabile della sessualità". E alla proposizione che la vita è ricchezza. Anche quando degrada, nella povertà, verso la morte?
Sull'economia dell'impresa, infine, l'enciclica riprende considerazioni non nuove, ma non per questo meno giuste, sulla necessità di considerarla non come uno strumento di arricchimento degli azionisti e dei grandi manager, ma come una comunità di azionisti, manager, lavoratori, fornitori, clienti, diretta alla creazione di ricchezza a beneficio dell'intera popolazione. La meschina retorica dell'arricchimento ha dimenticato l'esempio di imprenditori che hanno fatto delle loro imprese una grande scommessa di prosperità futura per tutti. Vogliamo dimenticare gli esempi di casa nostra? I Mattei, gli Olivetti, i Sinigaglia? Quei re di denari che hanno invece predicato 'avidità è bello' hanno portato le loro imprese al disastro, talvolta in modi criminosi.
E a proposito di criminalità. Non ho trovato nella grande enciclica papale alcun accenno alla criminalità fiscale e finanziaria. E si capisce. Devo ricordare ancora una volta di esserci occupati su questo giornale dei paradisi fiscali. E di avere notato l'importante ruolo di verità, ma non di carità, che la finanza vaticana svolge in questo campo. Nessuno è perfetto. In un passato non remoto la finanza vaticana si rese nota per imprese e personaggi non commendevoli. Forse qualche parola di biasimo non avrebbe mal figurato fra tante espressioni di bontà. Anche perché questa sarebbe stata l'occasione di ricordare un grande ministro cattolico della Repubblica italiana, Nino Andreatta, che diede in quel frangente una prova luminosa di carità e di verità.
© Copyright L'Espresso, 10 luglio 2009 consultabile online anche qui.
Articolo interessante, pessima la chiosa considerato il fatto che Benedetto XVI nulla c'entra con l'allegra gestione dello Ior di decenni fa.
R.
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