giovedì 10 settembre 2009

Camillo Ruini: Io cardinale vi spiego la laicità (Il Sole 24 Ore)


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Io cardinale vi spiego la laicità

di Camillo Ruini

Quello della laicità è un grande tema, del quale si discute da anni con un interesse che sembra inesauribile. Distinguerei tra gli aspetti sui quali oggi esiste un consenso sostanziale, anche se spesso mascherato da polemiche piuttosto strumentali, e i punti sui quali invece il contrasto è profondo, anzi, tende forse ad acuirsi. Seguendo da una parte la voce "Laicismo", redatta da Giovanni Fornero nella terza edizione del Dizionario di filosofia dell'Abbagnano, e dall'altra i documenti Gaudium et spes e Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II, possiamo individuare gli aspetti su cui c'è consenso anzitutto nel principio dell'autonomia delle attività umane, cioè nell'esigenza che esse si svolgano secondo regole proprie,non imposte loro dall'esterno. Dietro questo consenso rimane anche qui la diversità tra credenti e non credenti: i primi ritengono infatti che questa autonomia abbia in Dio creatore la propria origine e la propria ultima condizione di legittimità.
Un secondo elemento di consenso è costituito, contrariamente a molte apparenze, dall'affermazione della libertà religiosa, come diritto inalienabile di ogni persona e, almeno secondo la chiesa cattolica, di ogni comunità. Decisiva è stata, al riguardo, la svolta operata dal Vaticano II con la dichiarazione Dignitatis humanae , rispetto alle posizioni precedenti della chiesa in materia. Una differenza nei confronti di opinioni diffuse nel mondo "laico" riguarda il fondamento ultimo di tale libertà, che il Concilio intende in modo da escludere un approccio relativistico incompatibile conla rivendicazione di verità del cristianesimo. Aggiungo che la Dignitatis humanae afferma nettamente che la libertà dell'uomo nella società va riconosciuta nella maniera più ampia possibile, limitandola soltanto se e in quanto ciò sia necessario.
Sulla base dei due principi condivisi dell'autonomia delle attività umane e della libertà, in particolare della libertà religiosa, un ampio consenso sussiste in realtà - di nuovo, contrariamente alle apparenze- sulle norme o i criteri di fondo che devono regolare i rapporti tra lo stato e le comunità religiose, compresi quelli tra lo stato e la chiesa in Italia. Si tratta in concreto della loro distinzione e autonomia reciproca,oltre che dell'apertura pluralistica degli ordinamenti dello stato democratico e liberale alle posizioni più diverse - comprese quelle di matrice religiosa e anche confessionale - che di per sé han-no tutte, davanti allo stato, uguali dirittie uguale dignità. Le motivazioni e le dimensioni di questa apertura sono però assai diverse, a seconda dei punti di vista degli interlocutori, come vedremo tra breve.
L'ostacolo che si frapponeva in Italia, e che ancora in qualche modo sopravvive in vari altri paesi, anche europei, cioè la "religione di stato" o il carattere confessionale dello stato, è stato superato istituzionalmente con l'Accordo di revisione del Concordato del 1984 che, nel Protocollo addizionale, in relazione all'articolo 1, recita: «Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato nei Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello stato italiano».
Alla base della revisione del Concordato stanno, com'è noto, da una partela Costituzione della Repubblica e dall'altra il Concilio Vaticano II con il riconoscimento della libertà religiosa. L'obiezione che la sussistenza stessa del Concordato rappresenti un privilegio, contrario al principio dell'apertura pluralista e paritaria dello stato alle diverse confessioni religiose e posizioni culturali, dopo l'Accordo di revisione non sembra insuperabile: le relazioni concrete tra uno stato e le diverse confessioni religiose presenti nel corpo sociale non possono infatti non tener conto della situazione storica e dei modi nei quali, all'interno di essa, lo stato può riconoscere un carattere pubblico, e non soltanto privato, alle varie confessioni, con gli effetti concreti che conseguono da un tale riconoscimento.
Venendo ora agli aspetti della laicità su cui esistono divergenze profonde, ossia ai problemi oggi realmente aperti, essi si concentrano principalmente, nei paesi di democrazia liberale ai quali limito il mio discorso, sul ruolo pubblico che le religioni possono o non possono esercitare e sulle condizioni alle quali possono eventualmente esercitarlo. La gamma delle opinioni e posizioni al riguardo è ampia e variegata, ma sembra possibile individuare due orientamenti, e direi due sensibilità, di fondo.
Uno di essi tende a ridurre il ruolo pubblico delle religioni, talvolta fin quasi a sopprimerlo, e viene motivato sottolineando, da una parte, il carattere personale, spirituale e intimo, piuttosto che socialee istituzionale, della religiosità autentica; privilegiando, d'altra parte, nella vita di una nazione, la sfera propriamente politica rispetto a quella del sociale. L'altro orientamento tende invece a favorire, o comunque ad accogliere senza riserve mentali, il ruolo pubblico delle religioni, ritenendo anche le dimensioni sociali e istituzionali essenziali per le religioni e insistendo sull'autonomia e la rilevanza irriducibile della sfera del sociale.
Va detto qui chiaramente che queste diversità di orientamenti si pongono oggi in maniera trasversale rispetto alla distinzione, consueta in Italia, tra cattolici e laici, come anche tra credenti e non credenti. Tra i cattolici si trovano infatti non pochi sostenitori di una religiosità concentrata sul suo aspetto spirituale, che sono facilmente critici del ruolo pubblico delle religioni e in particolare del cattolicesimo, mentre tra i laici, specialmente dopo l'emergere delle nuove e grandi questioni etiche e antropologiche, e dopo la rinnovata presenza delle religioni non cristiane sulla scena mondiale, sono numerosi quelli che riconoscono volentieri un tale ruolo, e non di rado lo auspicano.
I fenomeni religiosi, in concreto tutte le religioni, compreso evidentemente il cristianesimo, hanno di per sé non minori titoli che ogni altra realtà o fenomeno sociale ad influire sulla scena pubblica, ivi compresa la dimensione propriamente politica. Ciò naturalmente nel rispetto delle regole della democrazia e dello stato di diritto o, per usare una terminologia oggi in voga, delle procedure attraverso le quali si formano e si esprimono le decisioni politiche. Non vi è quindi ragione per porre alle religioni speciali condizioni per esercitare un ruolo pubblico: ad esempio condizioni riguardanti la razionalità del loro argomentale. La decisione se un modo di argomentare sia razionale, o forse più precisamente plausibile e convincente, in un sistema democratico è affidata infatti, in ultima analisi, soltanto alla valutazione che ne dà la generalità dei cittadini nelle sedi appropriate, anzitutto quelle elettorali.

© Copyright Il Sole 24 Ore, 10 settembre 2009 consultabile online anche qui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi sembra molto lucido e degno di rispetto