martedì 8 settembre 2009

Ad ali spiegate. Benedetto XVI a Bagnoregio (Robert Moynihan)


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Ad ali spiegate. Benedetto XVI a Bagnoregio

di Robert Moynihan*

ROMA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).

A volte pensiamo che i problemi fisici e materiali siano i più importanti, perché sono molto evidenti: piove, abbiamo bisogno di un riparo; arriva l'inverno, dobbiamo fare scorta di cibo; il bambino ha la febbre, servono medicine per curarlo.
Se guardiamo ai Vangeli e consideriamo la nostra vita, però, iniziamo a riconoscere che i nostri problemi più seri sono quelli spirituali.
E' per questo che Gesù va al di là della guarigione fisica, non si limita a guarire il cielo e il sordo – cosa che abbiamo letto nel Vangelo domenicale (Mc 7,34), quando ha pronunciato la parola aramaica “Effatà” (“Apriti”) e gli orecchi del sordo si sono aperti. (Ci sono solo tre occasioni in cui Marco riporta Gesù che parla in aramaico: in questo caso, quando dice “Talità kum” - “Fanciulla, io ti dico, alzati” - in Mc 5,41 e al momento della crocifissione (Mc 15,34), quando grida “Eloì, Eloì, lemà sabactàni? - “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”).
E' per questa ragione che Gesù perdona i peccati. Perché cadere nel peccato porta alla disperazione e alla morte. Il peccato è il pesante fardello che Gesù vuole rimuovere dalle spalle degli uomini, dal loro cuore.
E' il suo perdono dei peccati a indignare i capi religiosi del suo tempo – perché solo Dio può perdonare i peccati.
Gesù ha portato la speranza. L'ha portata ai ciechi, ai sordi, ai morenti, ha perfino risuscitato i morti. Ha portato speranza anche ai peccatori, a quanti erano spiritualmente morti. Ha portato la speranza di una nuova vita a quanti non speravano più ed erano in preda alla disperazione.

Benedetto XVI è il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro.
In quanto tale, la sua missione, nel suo senso più profondo, è semplicemente quella di portare speranza.

Il Papa concepisce la propria missione in questo modo: deve portare speranza a un mondo che, nonostante tanta ricchezza e tanto potere apparenti, è spiritualmente impoverito.
E' la missione di portare significato ai tanti che possono essere arrivati a pensare che la vita non ha più senso.
E' questo il contributo di Benedetto XVI nella battaglia tra la “cultura della vita” e la “cultura della morte”. Si batte in favore del significato, del vero “Logos” che è il significato stesso, e facendo questo porta speranza a chi l'ha persa.
Domenica pomeriggio, il Papa si è recato a Bagnoregio, il paese natale di San Bonaventura, per continuare la sua missione.
Nella sua omelia, ha fatto un riferimento alla speranza incredibilmente bello e che vale la pena di ricordare.
Bonaventura visse nel 1200, il cosiddetto Medioevo, quando l'Europa stava costruendo le grandi cattedrali e istituendo le università, di cui beneficiamo ancora oggi.
Bonaventura nacque nel 1221 e morì nel 1274. Anche se non visse a lungo, divenne uno dei maggiori teologi cattolici di tutti i tempi.
Domenica, Benedetto XVI ha celebrato Bonaventura come messaggero di speranza.
Il Santo Padre ha parlato di come Giovanni Fidanza – il nome di battesimo di Bonaventura – sia divenuto “Fra Bonaventura”, un frate francescano, e poi Ministro Generale dell'Ordine francescano, che tentava di rinnovare la fede cristiana dell'epoca con un impegno alla totale povertà.
“Non è facile sintetizzare l’ampia dottrina filosofica, teologica e mistica lasciataci da san Bonaventura”, ha detto il Pontefice, ma ha aggiunto che se dovesse scegliere un elemento sottolineerebbe la “sapienza radicata in Cristo”.
Bonaventura ha orientato ogni passo del suo pensiero “alla sapienza che fiorisce in santità”.
Il santo, ha ricordato il Papa, “fu, in primo luogo, un instancabile cercatore di Dio sin da quando frequentava gli studi a Parigi, e continuò ad esserlo sino alla morte”, e i suoi scritti indicavano la strada che doveva prendere questa ricerca.
“Poiché Dio è in alto”, scrisse nel suo “De reductione artium ad theologiam”, “è necessario che la mente si innalzi a Lui con tutte le forze”.
Ma come può farlo la mente umana? La nostra mente, con lo studio e la riflessione, può davvero arrivare vicino a Dio?
Bonaventura, ha spiegato il Papa, credeva che lo studio e la riflessione non fossero di per sé sufficienti. Lo studio deve essere accompagnato dalla grazia, insegnava, la scienza dall'amore, l'intelligenza dall'umiltà (“Itinerarium mentis in Deum”, prol. 4).
“Questo cammino di purificazione coinvolge tutta la persona per arrivare, attraverso Cristo, all’amore trasformante della Trinità”, ha commentato Benedetto XVI. “La fede è pertanto perfezionamento delle nostre capacità conoscitive e partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso e del mondo; la speranza l’avvertiamo come preparazione all’incontro con il Signore, che segnerà il pieno compimento di quell’amicizia che fin d’ora ci lega a Lui. E la carità ci introduce nella vita divina, facendoci considerare fratelli tutti gli uomini”.
Il Pontefice ha quindi parlato specificamente della speranza.
“San Bonaventura fu messaggero di speranza. Una bella immagine della speranza la troviamo in una delle sue prediche di Avvento, dove paragona il movimento della speranza al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in un certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare”.
“Sperare è volare, dice san Bonaventura. Ma la speranza esige che tutte le nostre membra si facciano movimento e si proiettino verso la vera altezza del nostro essere, verso le promesse di Dio. Chi spera - egli afferma - 'deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio' (Sermo XVI, Dominica I Adv., Opera omnia, IX, 40a)”.
Ogni cuore umano ha sete di speranza, ha proseguito il Vescovo di Roma avviandosi alla conclusione del suo intervento. “Nell’Enciclica Spe salvi ho notato che non basta però una qualsiasi speranza per affrontare e superare le difficoltà del presente; è indispensabile una 'speranza affidabile', che, dandoci la certezza di giungere ad una meta 'grande', giustifichi 'la fatica del cammino'”.
“Solo questa 'grande speranza-certezza' ci assicura che nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il 'potere indistruttibile dell’Amore'”.
“Quando allora a sorreggerci è tale speranza non rischiamo mai di perdere il coraggio di contribuire, come hanno fatto i santi, alla salvezza dell’umanità, aprendo noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, della luce” (cfr. Spe salvi, n. 35).
“Ci aiuti san Bonaventura a 'dispiegare le ali' della speranza che ci spinge ad essere, come lui, incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell’Amore e di quella Bellezza che 'tutto muove'”, ha concluso.
Se seguiamo gli insegnamenti di Papa Benedetto, e quelli di Bonaventura, e ci concentriamo sulla ricerca della “speranza affidabile” annunciata da Gesù Cristo, possiamo anche noi dare alla nostra anima le ali di cui ha bisogno per volare, nonostante tutte le prove di questo mondo che ci affliggono. Allora anche noi potremo elevarci come gli uccelli mettendo in moto tutto il nostro essere e diventando, in qualche modo, quella speranza autentica che tanto desideriamo.

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Robert Moynihan è fondatore ed editore del mensile “Inside the Vatican” e autore del libro “Let God's Light Shine Forth: the Spiritual Vision of Pope Benedict XVI” (2005, Doubleday). Si può consultare il suo blog su www.insidethevatican.com. Il suo indirizzo di posta elettronica è: editor@insidethevatican.com.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]

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