sabato 19 settembre 2009

Il nodo della datazione della Bibbia di san Bonaventura: Il Codex Balneoregiensis tra paleografia e tradizione (Osservatore Romano)


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Il nodo della datazione della Bibbia di san Bonaventura

Il Codex Balneoregiensis tra paleografia e tradizione

di Fortunato Frezza

Il 10 giugno 1917 il dottissimo Federico Hermanin, per conto della Reale Soprintendenza delle gallerie e musei del Lazio e degli Abruzzi, giungeva a Bagnoregio per recensire in inventario i beni artistici salienti, tra i quali due monumenta custoditi insieme in una stessa cassa, da lui registrati quali "Reliquiario di s. Bonaventura col braccio del Santo, Bibbia di san Bonaventura". Più di novant'anni dopo, lo scorso 6 settembre, Benedetto XVI, entrato in gran raccoglimento nella cattedrale di Bagnoregio, ha sostato a lungo per venerare sia il "santo braccio", come lo chiamano i bagnoresi, sia la Bibbia di san Bonaventura, un'occasione propizia per ripensare al grande valore storico e alla testimonianza spirituale di questi cimeli.
La "Bibbia di san Bonaventura", altrimenti detta codex Balneoregiensis è un manoscritto latino pergamenaceo di 383 fogli che contiene tutti i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento ed era così descritta nell'inventario di Hermanin: "Bibbia di s. Bonaventura (sec. XIII) in pergamena con miniature. Nella prima pagina è uno stemma del '400, con fregi. Le miniature sono a pag. 1, 2 e segg.". Mezzo secolo più tardi a riprodurre questa notizia fu Francesco Macchioni nella sua Storia di Bagnoregio dai tempi antichi al 1503, pubblicata a Viterbo nel 1956 e aperta da una preziosa introduzione di Bonaventura Tecchi.
Monsignor Macchioni - don Francesco, come lo chiamavamo - fu a Bagnoregio arcidiacono della cattedrale e prete erudito tra i più insigni, o meglio il primo in senso assoluto, nel più autentico spirito che sognava per i preti di ogni diocesi o di ogni pieve, anche la più sperduta, quel raffinato uomo di cultura e di Chiesa che fu don Giuseppe De Luca. E la sua opera "è frutto di molti, di moltissimi anni di fatica, direi di tutta una lunga vita. Vita, oltreché al sacerdozio, dedicata per intero all'insegnamento dei giovani e soprattutto agli studi", come ricorda Tecchi.
La scelta della sede ove custodire la reliquia del "santo braccio" - episodio analogo a tanti altri nella vicenda umana della Chiesa - provocò una controversia tra i francescani del locale convento e i canonici della chiesa collegiata di San Nicola. Si ritenne di dover ricorrere alla Santa Sede e il francescano Sisto v volle un processo. La materia del contendere era la reliquia, cosicché della Bibbia custodita nella stessa cassa non fanno menzione il 2 febbraio 1587 i giudici apostolici incaricati del processo. La comune custodia di reliquia e Bibbia in una stessa cassa è stata per i bagnoresi anche il motivo di una pari venerazione, soprattutto nel giorno della festa liturgica di san Bonaventura, con la pubblica ostensione di entrambi, ripetuta davanti a Benedetto XVI durante la sua visita alla diocesi viterbese.
Da tempo si discute se questa Bibbia sia dell'epoca del santo studiato dal giovane Ratzinger.
Dal punto di vista paleografico diversi paleografi l'hanno assegnata al secolo XIII, come già aveva fatto Hermanin, mentre altri la attribuiscono al secolo seguente. Al riguardo Macchioni osserva che nel "prezioso codice, tra il vecchio e il nuovo testamento trovasi un calendario francescano. In questo sono registrate la festa di s. Francesco canonizzato nel 1228, e quella della traslazione del Santo avvenuta nel 1230, le feste di s. Antonio di Padova e di s. Elisabetta canonizzati rispettivamente nel 1232 e nel 1235. Non v'è registrata la festa di s. Chiara canonizzata il 1255. Ritenuto che il calendario era stato inserito nel codice per uso dei libri del vecchio e nuovo testamento, in quanto in esso calendario erano indicati i passi scritturali riguardanti le feste ivi elencate, il codice può ragionevolmente giudicarsi coevo alla compilazione del calendario medesimo, o comunque, anteriore all'anno 1255".
Con questo elemento liturgico appare coerente la datazione paleografica al XIII secolo. Ma a sostenere la datazione più antica potrebbero essere anche altre caratteristiche interne al codice in modo da collocarlo nel contesto degli studi scritturistici e teologici del tempo di Bonaventura. Hermanin si limitò a un'avvertenza generale circa le miniature citando appena quelle iniziali. All'inizio del Cantico dei cantici, il capolettera di Osculetur me osculo oris sui ("Mi baci con il bacio della sua bocca"), ospita una miniatura in rosso, nero, oro e turchino raffigurante una Madonna in maestà, con veste turchina e manto d'oro su un trono protetto da cortine, su sedile dipinto e scoperto, che sorregge con il braccio sinistro il Bambino che, in veste turchina, in piedi sulla gamba sinistra della Madre, proteso al bacio, tende la mano all'abbraccio. Il capolettera allude all'interpretazione mariana del libro veterotestamentario introdotta nel V secolo da Apponio, largamente diffusa durante il medioevo. Per esempio, in Ruperto di Deutz, che agli inizi del XII secolo introduce nella sua esegesi del Cantico dei cantici il Verbo incarnato e la Vergine, come orizzonte largo di riferimento della verità letterale del testo secondo una lettura sapienziale, in qualche modo bonaventuriana.

(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)

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