venerdì 18 settembre 2009

Papa Ratzinger torna dai ”fratelli maggiori” (Accattoli)


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Papa Ratzinger torna dai ”fratelli maggiori”

di Luigi Accattoli

[18 settembre 2009]

Di nuovo un Papa nella Sinagoga di Roma: l'evento può essere stato accelerato dalle polemiche dello scorso inverno seguite alle uscite "negazioniste"del vescovo lefebvriano Williamson, o da quelle sulla preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo,ma esso è di prima grandezza e va guardato in sé stesso, prima di raccordarlo a vicende contingenti.
La Sinagoga di Roma è la più vicina al Vaticano ed è la sede spirituale della comunità ebraica più antica d'Europa, che custodisce la dolente memoria di persecuzioni secolari da parte del potere temporale dei Papi. Sono queste le ragioni che danno spessore a una visita papale, sia pure essa la seconda, a 23 anni dalla prima. Stiamo per assistere dunque a un nuovo gesto carico di significati e di speranze. Guardando in campo lungo all'ultimo mezzo secolo, che ha vissuto un inaspettato e rapidissimo avvicinamento tra cristiani ed ebrei, troviamo una decina di eventi che hanno visto la Chiesa di Roma e l'ebraismo incamminati verso il reciproco incontro. Per prima viene la correzione della preghiera del Venerdì Santo da parte di Giovanni XXIII nella Pasqua del 1959: partì da lì la strada che il rabbino Elio Toaff all'indomani della visita di Papa Wojtyla alla Sinagoga ricapitolerà in un libro intitolato Da perfidi giudei a fratelli maggiori (Mondadori 1987). C'è poi - ed è il fatto capitale di questa storia - la dichiarazione conciliare «Nostra aetate» (Nel nostro tempo): viene approvata - con 2.221 voti contro 88 - il 28 ottobre 1965. Afferma che «la morte di Cristo non può essere imputata indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei viventi oggi».
Tocca a Giovanni Paolo II compiere quattro gesti creativi che hanno la funzione di recapitare all'interlocutore ebraico il messaggio di fraternità venuto dal Vaticano II: la visita ad Auschwitz nel 1979, con la "sosta" davanti alla lapide «con l'iscrizione in lingua ebraica»; la visita alla Sinagoga di Roma nel 1986, in cui chiama gli ebrei «fratelli maggiori»; la Giornata del perdono del 12 marzo 2000 in cui riconosce le responsabilità storiche dei cristiani nella persecuzione degli ebrei; la visita al Muro del Pianto, a Gerusalemme, il 26 dello stesso mese, quando infila in una fessura di quella muraglia, facendosi ebreo tra gli ebrei, la «richiesta di perdono» pronunciata in San Pietro quindici giorni prima. Da parte sua Benedetto XVI ha già compiuto almeno due gesti analoghi a quelli del predecessore: ha visitato la Sinagoga di Colonia - quella distrutta dai nazisti nella Notte dei cristalli del 1938 - nell'agosto del 2005 e ha pregato al Muro del Pianto il 12 maggio di quest'anno. In preparazione della visita in Terra Santa, il 12 febbraio di quest'anno - parlando ai membri della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane - Benedetto aveva fatto suo il mea culpa del predecessore in materia di antigiudaismo e aveva così continuato: «L'odio e il disprezzo per uomini, donne e bambini manifestati nella Shoah sono stati un crimine contro Dio e contro l'umanità. È ovvio che qualsiasi negazione o minimizzazione di questo terribile crimine è intollerabile e del tutto inaccettabile».
Papa Benedetto "tornando" nella Sinagoga compie dunque un atto di grande rilievo, confermativo e rafforzativo di quanto era stato fatto dal predecessore. Che egli abbia voluto una nuova preghiera per la liturgia del Venerdì Santo secondo il vecchio rito, che accenna a un ritrovamento escatologico - cioè oltre la storia - tra cristiani ed ebrei nell'unica Chiesa di Cristo sta a dire la sua preoccupazione di mantenere fede a un'invocazione di matrice biblica, ma non contraddice il proposito conciliare della rinnovata fraternità. Ne è una riprova l'annuncio della visita alla Sinagoga. Come il predecessore anch'egli lì pregherà con i «fratelli maggiori» e quella preghiera in comune suonerà come un invito all'intera comunione cattolica perché segua l'esempio del vescovo di Roma.

© Copyright Liberal, 18 settembre 2009 consultabile online anche qui e qui.

4 commenti:

Paolo ha detto...

C'è ovviamente da pregare affinché la visita del Papa in sinagoga porti copiosi frutti, che magari non sono proprio quelli che Accattoli auspica nel suo articolo, a nostro giudizio basato su un'interpretazione nel complesso fuorviante, sia teologicamente che storicamente.

Nella mutata preghiera del Venerdì Santo non c'è nessun riferimento a una conversione ebraica che dovrebbe avvenire "oltre la storia". La nuova preghiera auspica la conversione degli Ebrei così, semplicemente, anche nella storia di tutti i giorni, come è facile constatare semplicemente leggendo il testo latino:

«Oremus et pro Iudaeis Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum. Oremus. Flectamus genua. Levate. Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen".

La conversione "al di là della storia" è un'errata lettura teologica soprattutto modernista, molto in voga nella teologia oggi egemone che contrasta però con il Vangelo, San Paolo, la Tradizione e anche il recente Catechismo (par.674). La conversione finale degli Ebrei poco prima della venuta di Cristo è stata già prospettata da Sant'Agostino e San Tommaso, la cui autorità è senz'altro superiore a quella di qualche esegeta che già dal primo Novecento aveva cominciato a mettere in dubbio questo punto chiave della visione di San Paolo.

Quanto alla "persecuzione secolare" da parte dei Papi, il complessissimo rapporto tra l'autorità papale e gli Ebrei romani in quasi duemila anni è ridotto dall'Accattoli a una semplice storia di persecuzione tout court, senza soluzione di continuità, come se papi aperti e illuminati come Paolo III - tanto per citane uno tra quelli più aperti verso gli Ebrei - non siano mai esistiti. Al di là, ovviamente, degli innegabili errori già noti e denunciati e della complessa problematica che sta dietro alla nascita del ghetto, che qui non è il caso di affrontare.
Un articolo molto ideologico, al di là dell'auspicabile rasserenamento dei rapporti tra Chiesa ed Ebrei di cui il Papa si farà sicuramente promotore, oltre i generici inviti alla "fratellanza" secondo lo"spirito del Concilio" e l'abuso dell'espressione "fratelli maggiori", ormai logora e notoriamente inesatta e ambigua.

Anonimo ha detto...

Se non sbaglio la comunita' di Roma era una tra le piu' fiorenti anche sotto il potere temporale dei papi. E dunque non saranno stati tutti masochisti presumo.....

Per quanto riguarda gli straordinari frutti del dialogo, basta leggere intervista recente del Patriarca latino ripresa da Zenit, il quale dice testualmente che la visita del Papa non ha dato alcun frutto e che i cristiani in palestina sono perseguitati di fatto e si stanno spegnendo.

Questo per parlare di persecuzioni oggi, non solo in India o nei paesi islamici.

Per quanto riguarda il rapporto cattolici ebrei, io mi fermo a quanto ci ha ancora rammentato Mons. Gherardini, ribadendo l'insegnamento costante della Chiesa su tale questione.

Il resto non sta' in piedi.

elena ha detto...

Sono perfettamente d'accordo con aolo,pur ammirando di solito gli articoli di Accattoli.I cristiani pregano per la conversione degli ebrei,hic et nunc,perché c'é un solo Nome che salva,quello di Gesu' Cristo.E non si tratta di essere fanatici,ma anzi solo rispettosi del magistero indiscusso della Chiesa, al di là di visite e visitine che non fanno parte del Magistero,anche se hanno una loro importanza.Possiamo rifletterci su,senza cadere nelle solite banalità ecumeniche e moderniste?
Grazie per il bellissimo blog,che seguo e consiglio a tutti!

Paolo ha detto...

@ anonimo:

Ciò che gratuitamente si nega, altrettanto gratuitamente si può affermare. Ricorrere a una qualunque auctoritas - qui il rispettabile Gherardini - senza sostanziare è puro flatus vocis.

Quindi: quanto detto sopra sugli ebrei, confortato da San Agostino San Tommaso e mettiamoci anche San Girolamo, STA in piedi.

Postilla: si è letto bene Gherardini - la cui autorità è comunque a nostro giudizio qualche gradino sotto ai citati santi teologi, e in ogni caso non equiparabile al Magistero ecclesiale, espressosi chiaramente nel CCC?
Dove confuterebbe, di grazia, questa visione tradizionale della Chiesa sugli Ebrei?