sabato 8 novembre 2008
Il Papa in Francia, il matematico Laurent Lafforgue: "La lezione di Benedetto XVI al Collège des Bernardins è stata una grazia" (Tracce)
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Il Papa in Francia
Al cuore della cultura
Silvio Guerra
Il 12 settembre Laurent Lafforgue era lì, tra i 700 intellos che hanno incontrato il Papa al Collège des Bernardins. Subito prima aveva raccontato a Tracce cosa si aspettava da questa visita. Oggi ci spiega perché «è stata una grazia»
«Una grazia». Così Laurent Lafforgue, matematico grandissimo (vincitore nel 2002 della Medaglia Fields, premio che per la matematica equivale al Nobel), definisce la lezione di Benedetto XVI al Collège des Bernardins, cui ha assistito. Lafforgue, che a 41 anni può già vantare un seggio all’Académie des Sciences, alla vigilia della visita del Papa in Francia era sceso in campo per difendere il suo diritto di parlare al mondo scientifico (cfr. l’ultimo Tracce). Oggi racconta perché è rimasto così colpito dalle parole di Benedetto XVI.
Cosa trattiene dal discorso al Collège des Bernardins?
L’intelligenza e la semplicità di un pensiero sensato, che va al cuore di questioni essenziali, sono delle benedizioni. Un tale insegnamento fa del bene a chiunque lo riceva.
Perché il rapporto tra fede e ragione è ancora il cuore della questione?
L’incontro e il dialogo tra fede e ragione rimarranno attuali finché vivranno degli uomini. Nella nostra epoca tale dialogo è stato e resta decisamente conflittuale: per questo le nostre società (come, in fondo, ognuno di noi) sono così lacerate. Come tutti i problemi davvero importanti, così questo del dialogo tra fede e ragione non sarà mai superato, ma richiede di essere approfondito all’infinito.
Tutto il discorso al Collège des Bernardins è incentrato sul fondamento ultimo di ogni vera cultura…
Per Benedetto XVI questo fondamento è «la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo». All’Esplanade des Invalides ha poi detto: «Mai Dio domanda all’uomo di fare sacrificio della sua ragione! Mai la ragione entra in contraddizione reale con la fede!». Proprio per questo è possibile una vera cultura. All’aeroporto di Tarbes-Lourdes-Pyrénées, il Papa ha affermato: «Ritengo che la cultura e i suoi interpreti siano un tramite privilegiato nel dialogo tra la fede e la ragione, tra Dio e l’uomo». Sarei tentato di leggervi niente meno che una definizione della cultura tramite la sua più profonda ragion d’essere: il fondamento ultimo della cultura risiede nel suo essere luogo di dialogo tra la fede e la ragione. Nel 1980 all’Unesco Giovanni Paolo II disse che «la nazione esiste “mediante” la cultura e “per” la cultura”». Possiamo comprendere così questa affermazione, citata da Benedetto XVI nel discorso ai vescovi di Francia: ogni nazione storica incarna una forma particolare di dialogo tra la fede e la ragione, tra Dio e l’uomo.
Come può questo tema servire ad affrontare la sfida dell’educazione oggi?
Per educare bisogna innanzitutto avere un’idea di quale sia il fine dell’uomo. Come ha ricordato il Papa all’Esplanade des Invalides, è «la felicità di vivere eternamente con Dio». Al Collège des Bernardins, ha illustrato come questa ricerca di Dio giustifichi, costruisca e orienti la cultura. E lo ha fatto in modo molto concreto, parlando di grammatica, scienze profane, scuole, biblioteche, canto, musica, ermeneutica… La cultura, per definizione, si trasmette nello stesso momento in cui si sviluppa. E questa trasmissione della cultura è l’oggetto dell’educazione. Il discorso del Santo Padre restituisce quindi all’educazione il suo fondamento ultimo.
Il Papa ha detto che le «radici della cultura europea sono nella ricerca di Dio». In una cultura laica, soprattutto come quella francese, non è un’affermazione discriminatoria nei confronti di quanti cercano senza necessariamente sapere di essere alla ricerca di Dio?
Da vari decenni siamo tutti testimoni dell’autodistruzione della cultura e della scuola in Occidente. Questo processo è stato così rapido e radicale perché la maggior parte dei rappresentanti della cultura nel proprio intimo ha cessato di credervi da molto tempo. Questo perché la cultura e il sapere (come molti altri aspetti della vita) hanno perso il loro fondamento ultimo. Non credo di aver mai sentito un discorso più adatto a far ritrovare il fondamento ultimo della cultura, né parole così forti in favore della grammatica e delle lettere. Parole che il Papa ha trovato in Jean Leclercq: «Nel monachesimo occidentale, escatologia e grammatica sono interiormente connesse l’una con l’altra... Il desiderio di Dio include l’amore per la parola».
I laici obietteranno che la grammatica e le lettere possono fare a meno di qualsiasi riferimento a Dio.
Sì. Ma allora perché, negli ultimi decenni, l’insegnamento della grammatica e quello delle lettere si sono così deteriorati? Se vogliono provare che la cultura e la sua trasmissione possono fare a meno di Dio, devono fare una sola cosa: ricostruire una cultura e una scuola laiche, degne di questo nome! Un programma vasto… Il Papa illustra la verità di quanto dice con la qualità meravigliosa del suo pensiero e del suo insegnamento. Spetta a noi cattolici dimostrarci degni dell’esempio che ci dà.
Il Papa ha detto che la Parola «introduce nella comunione con quanti camminano nella fede». Intervenendo al Meeting di Rimini nel 2007, lei ha parlato del «carattere comunitario del lavoro dei matematici», uniti nel ricercare la verità. Che cosa c’entra il suo lavoro con questo richiamo del Pontefice?
I matematici sono orientati a ricercare verità che non dipendono da nessuno di loro, per poterle condividere gli uni con gli altri: si crea così un legame comunitario. Ma Benedetto XVI parla di qualcosa di molto più forte: «La Parola che apre la via della ricerca di Dio è una Parola che riguarda la comunità» e «ci rende attenti gli uni per gli altri». In breve, è la Parola stessa che crea la comunione. Di questa comunione, la comunità dei matematici non è che una figura, un’immagine necessariamente parziale e imperfetta.
Cosa l’ha più colpita durante la visita di Benedetto XVI e che valore ha avuto per la sua esperienza di cristiano?
Per me ha significato molto. Personalmente il momento più importante è stata la messa all’Esplanade des Invalides, nel giorno di san Giovanni Crisostomo (detto il “dottore eucaristico”): nell’omelia il Papa ha mirabilmente ricordato ai nostri cuori che l’Eucaristia è il centro della vita cristiana. Sono convinto che questa visita si rivelerà importante per la Chiesa intera e la società francese, dando frutti duraturi.
E da matematico cosa ne pensa?
Essere un matematico cristiano è spesso scomodo. Nel mio ambiente i cristiani sono rari, effetto della drammatica scissione storica tra fede e ragione.
Per tutti gli altri - o quasi - l’immagine della Chiesa è quella imposta dai media: sono convinti che il cattolicesimo non abbia ricchezze intellettuali (in realtà non le conoscono), per cui lo disprezzano. Le comunità cristiane che conosco sono state spesso indotte a disinteressarsi di queste ricchezze nella tradizione della Chiesa, tanto che l’anti-intellettualismo vi ha preso largamente piede (anche questo è effetto della scissione tra fede e ragione).
Come matematico cristiano, quindi, mi sento straniero sia tra i cristiani che tra i matematici. Dopo il discorso al Collège des Bernardins, però, persino i miei colleghi matematici - nonostante i pregiudizi - hanno dovuto riconoscere che hanno a che fare con un grande spirito, che perlomeno merita di essere preso in considerazione. Mentre le comunità cristiane hanno visto un esempio straordinario di intelligenza messa al servizio di Cristo con semplicità e umiltà. Tutto ciò mi riempie di gioia.
© Copyright Tracce, ottobre 2008
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