martedì 21 aprile 2009
Per il Vaticano la povertà è razzismo (Accattoli)
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Su segnalazione di Mariateresa leggiamo questo articolo di Luigi Accattoli per "Liberal":
La “continuità” della politica estera, da Pio XI a Wojtyla
Ma per il Vaticano la povertà è razzismo
di Luigi Accattoli
Caro direttore, mi chiedi un approfondimento sul fatto che il Vaticano è presente a Ginevra alla Conferenza dell’Onu sul razzismo, mentre da essa sono assenti gli Stati Uniti e Israele, l’Italia e la Germania, tanto per nominare i principali.
Vi sono tre ragioni di metodo e una specifica.
Quelle di metodo – che cioè valgono sempre – sono le più importanti: il Vaticano è lassù perché segue la regola classica della diplomazia che è quella di trattare con tutti ed ha a cuore che non vengano ulteriormente delegittimate le Nazioni Unite, ma anche per non correre il rischio di identificarsi con il nocciolo duro dell’Occidente.
La ragione specifica – che deriva dal tema in discussione – è che al Vaticano preme di poter dare un contributo a una comprensione aggiornata della piaga del razzismo e alla diffusione di una nuova cultura antirazzista.
Come ha detto il Papa domenica alla preghiera di mezzogiorno, si tratta di «prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza» che oggi vanno ben oltre il colore della pelle o l’appartenenza a una determinata stirpe. Da tempo la Santa Sede sollecita un ampliamento dell’impegno antirazzista, che non badi solo al razzismo classico, il cui “superamento” – ebbe a dire Benedetto XVI all’Angelus del 17 agosto scorso – costituisce «una delle grandi conquiste dell’umanità», ma tenga d’occhio «ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione». In particolare in quell’occasione – con l’attenzione rivolta alla questione dei migranti e dei rifugiati – il Papa segnalò che «purtroppo» oggi «si registrano in diversi paesi nuove manifestazioni preoccupanti di razzismo, legate spesso a problemi sociali ed economici, che tuttavia mai possono giustificare il disprezzo e la discriminazione».
È questa tematica dei “nuovi razzismi” che la delegazione vaticana si ripromette di far valere a Ginevra, insieme all’impegno per una vigilanza antirazzista classica, da attuare con atteggiamento non strumentale e non ideologico: vedi – per l’appunto – i passaggi antisionisti della prima bozza del documento preparatorio della Conferenza che si è aperta ieri, che hanno determinato le defezioni che ora l’indeboliscono.
Le ragioni di metodo della presenza vaticana a Ginevra sono più semplici a esporre. La diplomazia vaticana ha sempre rivendicato la vocazione a parlare con tutti. «Ci sentiremmo il coraggio di trattare col diavolo in persona» ebbe a rispondere Pio XI a chi faceva obiezioni al Concordato stabilito con l’Italia fascista. E Papa Wojtyla disse più volte che avrebbe voluto visitare la Russia e la Cina. Costante è anche l’attenzione del Vaticano a che non venga in nessun modo indebolita l’immagine delle Nazioni Unite già tanto compromessa, e anche motivatamente, presso la maggioranza dell’umanità, a partire dai popoli poveri – per le tante promesse non mantenute – ma non solo presso di essi. Magari all’occasione la diplomazia vaticana non condivide le conclusioni delle conferenze dell’Onu e non ne adotta le “convenzioni”: è capitato l’anno scorso per quella sui «Diritti delle persone con disabilità» e capitò a suo tempo per i documenti finali delle conferenze sulla donna (Pechino 1995) e sulla popolazione (Il Cairo 1994). Ma prende parte attivamente a tutte.
Così come è stata strenua l’autunno scorso la sua partecipazione al dibattito in merito alla «Dichiarazione sui diritti umani, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere» presentata il 18 dicembre dalla Francia all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e nota come mozione per la «depenalizzazione dell’omosessualità».
Allora l’Italia, la Germania e gli Usa erano tra i favorevoli, il Vaticano invece non riteneva “accettabile”la formulazione del testo perché temeva che alcuni suoi passaggi “ambigui” si prestassero a essere usati nelle battaglie per il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali.
Infine è viva per la Santa Sede l’opportunità di distinguersi dagli Stati Uniti d’America che nel Sud del mondo sono non solo percepiti ma anche odiati come il paese guida dell’Occidente. La strenua opposizione di Giovanni Paolo II alle due guerre all’Iraq – quella del 1991 e quella del 2003 – fu dettata anche da questa preoccupazione.
Tra l’8 e il 15 maggio Papa Benedetto sarà in Giordania, Israele e Territori Palestinesi. Se ora la delegazione vaticana non fosse a Ginevra, il suo arrivo ad Amman e a Betlemme sarebbe visto dagli ospiti arabi con diffidenza, come quello di un leader religioso imparentato con gli Usa e con Israele.
© Copyright Liberal, 21 aprile 2009 consultabile online anche qui.
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