lunedì 11 maggio 2009

Il Papa sul monte Nebo, porta della Terra Promessa: «Chiesa ed ebrei uniti da vincolo inseparabile» (Bobbio)


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«Chiesa ed ebrei uniti da vincolo inseparabile»

Il Papa sul monte Nebo, porta della Terra Promessa
«Via ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione»


nostro servizio

Monte Nebo (Giordania)

Si riempie gli occhi della Terra Promessa. Guarda là in fondo, oltre il precipizio di erba rada e di pietre sbriciolate di questa cima battuta dal vento, la valle del Giordano e le strade di Palestina e di Israele, terra stretta per popoli che ancora non si sentono amici.
Eppure vista da qui, dal promontorio del Nebo, la geografia inchioda ogni questione religiosa e geopolitica alla sua unica soluzione possibile. Benedetto XVI sale le volte della strada dei Re e si affaccia là da dove Mosé osservò la terra che Dio gli mostrò. Leggono il brano del Deuteronomio. Il panorama è esattamente quello raccontato nella Bibbia, fermo come allora e come allora irto di tribolazioni e di prove.
Nelle giornate terse si vede il mare, le cupole di Gerusalemme e le sue luci di notte, la fortezza di Erode, i luoghi dove i pellegrini da secoli mettono i passi. E il Papa è sull'archetipo del pellegrinaggio ai luoghi santi, che mette l'accento, parlando dal memoriale di Mosé, per ricordare a tutti «l'inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo».

«lievito di riconciliazione, perdono e pace»

Mosé era un ebreo e anche Gesù. Così la storia, la geografia e la fede, raccontata nella Bibbia, invitano, rileva il Pontefice, a «superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione tra cristiani ed ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la parola di Dio ci chiama». Domani arriverà in Israele, ma ieri ha scelto il Nebo, porta della Terra Promessa, per sfidare la storia e spiegare che la fede deve crescere in una «comunione che trascende ogni limite di lingua, di razza e di cultura» e che va fatto ogni sforzo per essere «lievito di riconciliazione, di perdono e di pace, nel mondo che ci circonda». Attorno al Nebo e laggiù nella valle del Giordano, tra la voragine del Mar Morto e i monti della Samaria e della Giudea, tra confini di filo spinato, muraglie di cemento, check point da paranoia, gli sforzi dovranno essere davvero grandi. Il Papa aggiunge tuttavia che «bisogna avere fiducia», bisogna fare «ognuno la nostra piccola parte» per contribuire a «rendere diritte le vie del Signore». Il Nebo è un luogo evocativo, perché mette fine alla prova del deserto, quarant'anni dopo l'esodo dall'Egitto. E qui gli studi archeologici mettono in evidenza in modo inconfutabile che fino a tutto l'VIII secolo cristiani e musulmani andati d'accordo senza problemi. Si possono stringere tutti attorno al Nebo, cristiani, ebrei e musulmani, perché è la memoria della storia che lo dice. La vicenda del Nebo è stata messa alla luce dagli archeologi francescani della Custodia di Terra santa che comperarono queste alture all'inizio degli anni Trenta, con l'autorizzazione dalla casa regnante hashemita. In tre campagne di scavo hanno trovato la basilica di Mosé del IV secolo e altri cinque chiese con splendidi pavimenti in mosaico. Dal 1960 sotto la direzione di padre Michele Piccirillo, amico personale di re Hussein, i mosaici sono stati restaurati e gli scavi portati a termine. Padre Piccirillo che aveva spiegato il luogo a Giovanni Paolo II nel Duemila, è morto l'anno scorso.

ricordo di padre piccirillo: «gli siamo grati»

Ieri Benedetto XVI è stato accolto da padre Giuseppe Carballo, maestro generale dei francescani e da padre Pizzaballa, capo della Custodia di Terra Santa. Benedetto XVI ha ricordato con «particolare gratitudine» il genio di padre Piccirillo, che è sepolto qui sotto le fronde di un albero perennemente scosso dal vento. Ratzinger è stato accompagnato fin sulla sua tomba nel piccolo convento francescano del Nebo, accanto alla chiesa bizantina, memoriale di Mosé, chiesa dove ancora fervono i lavori per rifare il tetto che oggi è solo una copertura di lamiera. Ha allargano le braccia su quella tomba come per dire della grande perdita non solo per la Chiesa, ma per la cultura del mondo intero.
A. Bo.

© Copyright Eco di Bergamo, 10 maggio 2009

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