lunedì 11 maggio 2009
Il benvenuto di Ghazi Bin Muhammad Bin Talal, principe teologo e moderato
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Il benvenuto del principe teologo e moderato
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
AMMAN
«Pax vobis», attacca. E poi: «Deo volente».
Cita due volte la Genesi. E Giovanni il Battista. E pure l’Evangelista. E perfino il Damasceno.
Se Benedetto XVI cercava un interlocutore musulmano di rango, capace di riferimenti dottrinali e incapace d’intolleranze, lo trova alla moschea di Amman: un elegante principe hashemita, Ghazi Bin Muhammad Bin Talal, 42 anni, cugino di re Abdallah e 41˚ discendente del Profeta, studi a Princeton e Harvard, docente di filosofia islamica, marito d’una principessa omanita e padre di tre bambini.
La sua famiglia reale è custode della Spianata delle moschee di Gerusalemme. E siccome i cristiani di laggiù non fanno che litigare, dal tempo degli Ottomani le sono affidate anche le chiavi del Santo Sepolcro.
È qui per sciogliere la tensione, il principe Ghazi. Leva subito il Papa dall’imbarazzo di togliersi le scarpe, entrando lui pure in moschea coi sandali. E nel suo discorso di benvenuto non sorvola sulla gaffe di Ratisbona, però passa subito a cose che uniscano e non dividano.
Ispiratore due anni fa della Lettera dei 138 al mondo cristiano, famoso documento che cercava «parole comuni tra noi e voi», non è un caso che il benvenuto spetti al giovane Ghazi, tanto odiato dai fondamentalisti quanto stimato dai moderati.
Rigoroso nella dottrina, realista in politica, il principe dice che Benedetto XVI gli piace proprio per quella coerenza che in Occidente, invece, dispiace a molti: per il «coraggio morale di dar voce e tener fede alla propria coscienza, indipendentemente dalla moda del giorno»; per il motu proprio «che ha liberalizzato la tradizionale messa in latino in favore di coloro che la seguono».
È amico degli sciiti di Bagdad e del muftì di Bosnia. Si batte contro la pratica del takfir, la dichiarazione d’apostasia che costò la vita a Sadat e la fatwah a Salman Rushdie. Dice spesso: «L’accettazione dovrebbe essere lo stemma di casa nostra».
Mica per nulla, suo zio Hassan si sposò con una donna indù.
E non le chiese mai di convertirsi all’Islam.
© Copyright Corriere della sera, 10 maggio 2009 consultabile online anche qui.
Gaffe di Ratisbona? Ma quando la finiamo con questa storia?
Se non ci fosse stata Ratisbona, il principe Ghazi non avrebbe firmato la lettera dei 138 e probabilmente non avrebbe fatto un discorso cosi' alto di fronte al Papa!
Smettiamola!
R.
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2 commenti:
Galeazzi su La Stampa riporta brani di un articolo di Haaretz sul Papa: se le parole sono proprio quelle, un penoso festival del pregiudizio e non certo un bel biglietto da visita. Non metto il link.
Ciao Lapis, ho letto anche io...sono dichiarazioni riportate anche dalle agenzie e da alcuni quotidiani.
Penose...non vale nemmeno la pena di commentarle.
Bruttissimo biglietto da visita.
R.
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