lunedì 11 maggio 2009

Lo studioso francese del mondo arabo, Gilles Kepel: «Ora il dialogo può ripartire. Gli estremisti sono nell’angolo» (Coppola)


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L’intervista

Lo studioso francese del mondo arabo: «Ricucito l’incidente di Ratisbona»

«Ora il dialogo può ripartire. Gli estremisti sono nell’angolo»

Alessandra Coppola

Gilles Kepel: «Con Obama gli jihadisti hanno perso terreno»
Chiusa a Ratisbona, la porta si è riaperta ad Amman. Con questo obiettivo il viaggio di Benedetto XVI in Terrasanta è iniziato dalla Giordania, a questo scopo nelle parole del Papa l’accento è andato al ruolo spirituale del-- l’Islam come religione: la missione «urgente » del Vaticano, secondo Gilles Kepel, è «riavviare quel dialogo con il mondo musulmano che si era interrotto, identificare i possibili interlocutori. Riaprire la porta».
Professore all’Institut d’études politiques di Parigi, tra i massimi studiosi occidentali di mondo arabo, Gilles Kepel segue in questi giorni i passi del Papa in Terrasanta, e al tempo stesso — lo fa da anni —, registra scosse e assestamenti tra gli islamici, con particolare attenzione ai fondamentalisti.

Perché definisce questa missione «urgente»?

«Credo che Benedetto XVI abbia dovuto affrontare una duplice sfida. Due malintesi: dal lato musulmano e da quello ebraico. L’equivoco con gli islamici si è cristallizzato intorno al discorso di Ratisbona, mentre con gli ebrei è sorto dal tentativo di far tornare nell’alveo cattolico i lefebvriani, tentativo seguito dalle affermazioni negazioniste di monsignor Williamson. Per la Curia è urgente non apparire ostaggio di questi due malintesi, perché minano il magistero universale della Chiesa, che rischiava d’indebolirsi soprattutto a confronto con il pontificato di Giovanni Paolo II».

Che differenza vede tra il Papa di Ratisbona e quello di Amman? E perché ripartire proprio dalla Giordania?

«In Germania, nel 2006, aveva parlato prima che come Pontefice, come cardinale Ratzinger, e col suo discorso, citando l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo che criticava il profeta Maometto, aveva suscitato reazioni violente nel mondo islamico. Dopo Ratisbona, i teologi musulmani che gli hanno risposto per tentare di riaprire il confronto sono stati giordani, vicini alla casa reale hashimita. Per questo il Papa ha scelto la Giordania, consolidando Abdallah II nel suo ruolo di interlocutore del mondo musulmano».

Quali sono state tra gli islamici le reazioni alla visita di Ratzinger?

«Nell’ambiente salafita radicale, anche giordano, la visita è stata bersaglio di forti attacchi, soprattutto online, dal sito di colui che è al momento il principale ideologo jihadista, Abu Mohammed Al Maqdissi, dove vengono criminalizzati i musulmani che si sono mostrati pronti ad accogliere il Papa. Per gli estremisti, la visita di Benedetto XVI è stata un’occasione per tentare di mobilitare di nuovo il mondo musulmano contro l’Occidente».

Con quali risultati? C’è stata una ripresa del fondamentalismo, o gli appelli alla jihad, come lei ha spesso sostenuto, sono ormai sempre più confinati nel mondo virtuale di Internet?

«Nei gruppi musulmani più moderati come lo statunitense Cair (Consiglio per le relazioni americano-islamiche, ndr) le parole del Papa ad Amman sono state ben accolte. Oggi il radicalismo jihadista ispirato da Bin Laden (a cui Al Maqdissi è intellettualmente molto vicino) non ha più la stessa forza d’azione. Perché era focalizzato sul contrasto alla politica di George Bush e alla sua guerra al terrore, e adesso fa fatica ad adattarsi al nuovo discorso statunitense di apertura all’Islam portato avanti da Barack Obama, un presidente che ricorda regolarmente come suo padre fosse di religione musulmana. In Giordania poi certo la venuta del Papa è stata anche usata dall’opposizione jihadista per attaccare e screditare i dirigenti che hanno accolto il Pontefice, in chiave di politica interna ».

Obama ha appena annunciato che farà un importante discorso al mondo islamico dall’Egitto. Perché questa scelta?

«La politica di Obama verso il mondo musulmano si fonda su tre grandi centri d’azione: Afghanistan-Pakistan, Golfo Persico e poi conflitto araboisraeliano e Medio Oriente. Qui, i dirigenti arabi moderati come gli egiziani fanno fatica a difendere le proprie posizioni di fronte alla popolazione dopo l’attacco di Israele a Gaza, davanti al quale sono stati impotenti. Parlare al mondo islamico dall’Egitto significa sostenere il ruolo del Cairo come mediatore nel conflitto arabo-israeliano ».

Nel suo ultimo libro, «Oltre il terrore e il martirio» (Feltrinelli), affida all’Europa un nuova centralità, come intermediaria tra due «blocchi». In che modo?

«Mi sembra che oggi il fatto che ci siano milioni di musulmani in Europa possa essere un fattore di progresso: se questi cittadini prendono parte alla civilizzazione europea possono rappresentare un modello per quelli rimasti a Sud e a Est del Mediterraneo, e contribuire così a ridurre la tensione tra il blocco cristiano e il blocco musulmano, da una parte e dall’altra, gettando ponti umani tra le sponde».

© Copyright Corriere della sera, 10 maggio 2009 consultabile online anche qui.

Non c'e' nessuna differenza fra il Papa di Ratisbona e quello di Amman...si legga Panebianco!
R.

1 commento:

Lapis ha detto...

prosegue il festival del luogo comune, che noia, i miei nonni dicevano "ho il latte alle ginocchia"