lunedì 11 maggio 2009

Un viaggio difficile nel Vicino Oriente dove i Cristiani sono in via d'estinzione (Cardini)


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Un viaggio difficile nel Vicino Oriente dove i cristiani sono in via d'estinzione

(...) e la circospezione d'un incrocio diplomatico molto difficile.

Franco Cardini

Il Papa è stato accolto ad Amman come un padre e un amico, e non c'è dubbio che la stragrande maggioranza della popolazione giordana (che, non dimentichiamolo, è fatta in gran parte di profughi o di figli di profughi palestinesi) guardi a lui con fiducia e con simpatìa sincere.
Tuttavia, i dubbi e le ombre sono tanti. Il crescere del fondamentalismo, che nel paese retto dalla monarchia hashemita è tenuto sotto ferreo controllo eppure fa progressi; la prossimità con Israele, da cui una grossa parte della popolazione oggi giordana è stata in un modo o nell'altro espulsa o allontanata; gli stessi rapporti della Chiesa cattolica - sia la romana sia la greco-araba "melkita", dipendente dalla Santa Sede - con le altre Chiese orientali (principalmente la greco-araba di confessione ortodossa), che non sono mai stati del tutto tranquilli; e la rarefazione dei cristiani in tutto il Vicino Oriente, ormai ridotti dall'8 al 2%. Ad Amman, il Papa ha benedetto la prima pietra di una nuova Università Cattolica, che senza dubbio diventerà un punto di riferimento per le stesse élites giordane musulmane, come già a livello di ricercato ed esclusivo liceo lo è da decenni il Terra Sancta College tenuto dai padri francescani, popolarissimi in quella regione.
È un passo avanti sulla via di un dialogo catto-musulmano sempre più stretto e fecondo.
Domani, seguendo le orme del suo predecessore Giovanni Paolo II, il Papa salirà al Nebo, il monte di Mosé: peccato che, a differenza di quanto allora avvenne, non ci sarà più a guidarlo quel grande archeologo vestito del saio dei figli di Francesco ch'era padre Michele Piccirillo, venuto a mancare lo scorso anno. Ma la parte più difficile del viaggio verrà dopo.
Quarantacinque anni fa, Paolo VI incontrò il padre del sovrano attuale, l'indimenticabile re Hussein: lo incontrò a Gerusalemme, allora divisa in due ma la cui parte orientale - quella antica, dove sono tutti e Luoghi Santi cristiani, musulmani, ebraici - era in mano giordana.
Tre anni dopo, con la guerra dei Sei Giorni, il generale Dayan entrava in Gerusalemme e quell'orizzonte geopolitico fu sconvolto. Da allora, gli israeliani hanno sempre dichiarato a viso aperto che non cederanno mai nemmeno un metro quadrato della Città Santa; e d'altro canto i palestinesi non hanno mai rinunziato al loro diritto di riaverne almeno una piccola parte.
Ora, Benedetto XVI renderà visita a un'Israele che ha scelto il pugno duro di Benjamin Nethaniyahu, e la diplomazia di quel governo si è fatta sentire in termini chiari. Il Papa visiterà, con gli altri luoghi della Terrasanta, anche Betlemme, dove sorge la basilica della Natività, e incontrerà il leader dell'Authority Abu Mazen: ma non potrà andare a Gaza, dove ci sarà Hamas, ma ci sono pure dei cristiani e una parrocchia cattolica; a Gaza, una città martoriata. Le ragioni politiche e diplomatiche hanno prevalso. Il governo israeliano si è mostrato largo di promesse nei confronti del ruolo della Chiesa cattolica in quel paese, ed è molto probabile che le manterrà: ma ha posto in cambio condizioni che fanno somigliare questo "viaggio trionfale", per certi versi, a una Via Crucis. Il non poter confortare la gente di Gaza, al di là delle posizioni religiose o politiche, pesa senza dubbio come una pietra sul cuore del Santo Padre. Bisogna essere realistici e comprensivi: capire la situazione, rispettare il suo dolore per quel necessario sacrificio. Non c'era scelta. E il Vicino Oriente intanto, rispetto alla visita di Giovanni Paolo II, si è fatto stretto. La maggior parte degli arabi cristiani di quell'area vivono tra Libano e Siria; al di là di quei paesi, a est e a sud-ovest, molti altri cristiani arabi risiedono del martoriato Iraq e in Egitto. Nel primo paese, il pur colpevole regime di Saddam Hussein manteneva almeno, senza dubbio anche con metodi polizieschi, l'equilibrio e il reciproco rispetto religioso: ora esso è dilaniato dalle lotte, conteso tra fondamentalismi di segno opposto che aggravano il dramma della persistente occupazione militare straniera. Nel secondo, il regime di Mubaraq costituisce una fragile tutela per le Chiese cristiane prese di mira da un fondamentalismo musulmano crescente. Il quadro non è confortante. Proprio per questo Benedetto XVI ha forse accettato di accettare un viaggio che ha presentato limitazioni e condizionamenti non trascurabili. Secondo la profezia attribuita al cistercense Malachia, del XII secolo, il nome del pontefice oggi regnante è De pace olivae. Perchè non sperare che stia qui, in questo pellegrinaggio, la chiave che ci consentirà di comprendere il perché di un epiteto tanto intensamente augurale?

© Copyright Il Tempo, 11 maggio 2009 consultabile online anche qui.

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