mercoledì 16 settembre 2009

Così i farmacisti rivendicano l’obiezione di coscienza (Il Foglio). Il “ministro” della Salute del Papa parla polacco ma si fa capire bene (Rodari)


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Vita, veleni e libertà

Così i farmacisti rivendicano l’obiezione di coscienza

Dopo il richiamo del ministro di B-XVI, le opinioni dei cattolici

Mentre in Spagna il ministro della Salute, Trinidad Jimenez, annuncia che la pillola del giorno dopo sarà disponibile nelle farmacie senza ricetta per tutte le donne senza limiti di età entro la fine del mese, e in attesa che il 24 settembre l’Agenzia europea del farmaco si pronunci sull’autorizzazione definitiva (e che già appare scontata) a ElleOne, la super-pillola “dei cinque giorni dopo” – per ora destinata al mercato francese – dal Congresso mondiale della Federazione internazionale dei farmacisti cattolici, tuttora in corso a Poznan, in Polonia, arriva un forte richiamo che afferma il diritto all’obiezione di coscienza anche per quella categoria professionale e anche per quanto riguarda la pillola del giorno dopo.
Arriva attraverso le parole di Giovanni Paolo II ricordate dall’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio consiglio per la Pastorale della salute: “Per il farmacista cattolico – diceva Papa Wojtyla – l’insegnamento della chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana sin dal suo concepimento e fino ai suoi ultimi momenti, è di natura etica e morale”.
Di conseguenza, aveva a sua volta affermato Benedetto XVI nell’ottobre del 2007, rivolgendosi in udienza ai farmacisti cattolici, “non è possibile anestetizzare le coscienze, ad esempio sugli effetti di molecole che hanno come fine quello di evitare l’annidamento di un embrione o di abbreviare la vita di una persona.
Il farmacista deve invitare ciascuno a un sussulto di umanità, affinché ogni essere sia tutelato dal suo concepimento fino alla sua morte naturale e i farmaci svolgano veramente il ruolo terapeutico”. La possibilità, per i farmacisti, di obiettare alla vendita della pillola del giorno dopo è oggetto di una vecchia e spinosissima contesa. Basata, per chi nega quel diritto, anche sul fatto che quel preparato non sarebbe un abortivo ma semplicemente un inibitore dell’ovulazione (una sorta di contraccettivo molto potenziato, da usare in condizioni d’emergenza, appunto).
Ma non è così, ribattono i farmacisti obiettori, tant’è che, a seguito di una sentenza del Tar del Lazio, nel 2001, la ditta produttrice del Norlevo, uno dei nomi commerciali della pillola, è stata costretta a scrivere sul foglietto illustrativo che quel cosiddetto farmaco può impedire l’impianto dell’ovulo fecondato. In questo modo, la stessa scheda tecnica del principio attivo, il levonorgestrel, ammette la possibile azione abortiva, perché l’espressione “ovulo fecondato” è un semplice sinonimo di embrione. L’ultimo atto della guerra in corso c’è stato a luglio, con una denuncia ai carabinieri a carico del dottor Piero Uroda, presidente dell’Unione cattolica farmacisti italiani e titolare di una farmacia a Fiumicino, che ha scelto di non ordinare e quindi di non vendere la pillola del giorno dopo. Il presidente della Federazione nazionale dei farmacisti, Andrea Mandelli, in quella circostanza ha ricordato che l’obiezione di coscienza per la vendita dei farmaci non è prevista dalla legge e nemmeno dal codice etico dei farmacisti, ma ha pure ammesso che un problema sull’azione di “quel” farmaco in effetti esiste.
Bisogna ricordare che per i medici obiettori che si rifiutano di prescrivere la pillola del giorno dopo, esistono richiami precisi alla possibilità di obiezione, in particolare nella legge 194 sull’aborto.
Anche per questo motivo, i molti casi di denuncia dei medici che si sono rifiutati di prescriverla sono finiti nel nulla. A essere particolarmente esposta, in questa vicenda, è invece la categoria dei farmacisti.
“Ma al di là delle leggi vigenti, noi formuliamo questa domanda: come tutelare la libertà di Uroda e di tutti i farmacisti credenti e non credenti che non vogliono cooperare a un atto abortivo? Perché discutere di obiezione di coscienza e non di libertà? Che razza di democrazia è quella in cui un cittadino è costretto a collaborare ad un atto che ripugna alla sua coscienza?”: lo ha scritto Mimmo Delle Foglie in un editoriale su piuvoce.net, nel quale chiede, “se serve, un intervento, e che Parlamento e governo si mettano subito al lavoro, in nome della libertà di tutti”. Mentre a giudizio di Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, “nel caso della pillola del giorno dopo i farmacisti che non vogliono venderla possono già fare appello alla loro deontologia di professionisti e scienziati – perché lo sono – che vendono farmaci, non preparati la cui finalità non è la terapia di una malattia”. E’ l’indicazione di Benedetto XVI sui farmaci che “svolgano veramente il ruolo terapeutico”.

© Copyright Il Foglio, 15 settembre 2009 consultabile online anche qui.

Chi è Zygmunt Zimowski

Il “ministro” della Salute del Papa parla polacco ma si fa capire bene

di Paolo Rodari

Il 60enne arcivescovo polacco Zygmunt Zimowski guida il “ministero” vaticano della Salute dallo scorso aprile. E domenica, in una delle sue prime uscite pubbliche, si sono viste le linee del suo agire. E’ a Poznan, infatti, dove è in corso il congresso mondiale dei farmacisti cattolici, che Zimowski, citando testi scritti in passato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ha pronunciato parole con le quali ha voluto richiamare la necessità di garantire l’accesso alle medicine per i più poveri e, insieme, ricordare come non tutti i farmaci siano uguali: quelli “contro la vita” non dovrebbero essere venduti e di più, contro la loro vendita, sono i farmacisti cattolici a essere chiamati a fare obiezione di coscienza.
Zimowski ha tenuto un discorso che, come è logico che sia, prosegue la battaglia che Benedetto XVI dovette inaugurare con le cancellerie di mezza Europa proprio lo scorso aprile, nell’imminenza dell’addio del cardinale Javier Lozano Barragán al “ministero” poi occupato dall’arcivescovo polacco. Fu, infatti, partendo per l’Africa che Benedetto XVI venne pesantemente criticato, soprattutto da esponenti del governo belga, per aver dichiarato che la soluzione per combattere l’Aids non è da ricercare nei preservativi quanto nell’umanizzazione della sessualità e in un’autentica amicizia e disponibilità nei confronti delle persone sofferenti. In buona sostanza, il medesimo concetto espresso con altri accenti l’altro ieri da Zimowski a Poznan: una sanità dominata non dall’etica ma esclusivamente dalla logica del profitto è contro l’uomo.
Zimowski non ha difficoltà a comprendere e a mettere in pratica le prerogative del Pontefice quanto alla salute. Prerogative che, a ben vedere, sono in linea col magistero dei predecessori di Benedetto XVI e, quindi, con quella “sicurezza sanitaria” che più volte ricorre nei testi pontifici: cioè la necessità che a tutti venga assicurato l’accesso almeno ai farmaci di base, quei farmaci che salvano la vita. Esattamente per diciannove anni e quindici giorni (dal 1983 al 2002) Zimowski ha lavorato a stretto contatto con Ratzinger alla dottrina della fede. Esperto di cose morali, fa della riservatezza una delle caratteristiche centrali del proprio agire. All’ex Sant’Uffizio ha lavorato principalmente nella sezione “protocollo”. Amicissimo del segretario di Wojtyla don Stanislaw Dziwisz, venne nominato vescovo di Radom nel 2002. Fu lo stesso Zimowski a raccontare come, una volta saputo della nomina, si recò nell’ufficio di Ratzinger per chiedergli che fosse lui a imporgli le mani.
Ratzinger gli rispose: “Non sono degno”. Ma poi accettò non senza aver appurato che qualcuno s’incaricasse di tradurre in polacco il testo dell’omelia da lui redatto in tedesco appositamente per l’ordinazione. Insomma, Zimowski è dalla nidiata di presuli della ratzingeriana dottrina della fede che è uscito. Per divenire, lui come tanti altri, pedina preziosa nel governo della curia romana.
Il prossimo banco di prova per l’arcivescovo polacco sarà nel mese di ottobre, quando in Vaticano si aprirà il sinodo dei vescovi sull’Africa.
Fu in vista dell’appuntamento autunnale che Benedetto XVI, a Yaundé in Camerun lo scorso aprile, consegnò ai presuli africani un documento preparatorio nel quale accusava la tendenza sempre più diffusa dei paesi ricchi di fare profitti in campo medico, tralasciando i paesi più poveri. Non a caso a Poznan il successore di Lozano Barragán ha parlato del fatto che spesso “per motivi economici vengono trascurate le malattie tipiche dei paesi in via di sviluppo perché, sebbene colpiscano e uccidano milioni di persone, non costituiscono un mercato abbastanza ricco”.

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