lunedì 30 novembre 2009
Il Papa, l'Avvento e l'esperienza dell'attesa (Zavattaro)
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Il Papa: Il mondo contemporaneo ha bisogno soprattutto di speranza. Ne hanno bisogno i popoli in via di sviluppo e quelli economicamente evoluti
Il Papa: Il Signore Gesù è venuto in passato, viene nel presente, e verrà nel futuro. Egli abbraccia tutte le dimensioni del tempo, perché è morto e risorto, è "il Vivente" e, mentre condivide la nostra precarietà umana, rimane per sempre e ci offre la stabilità stessa di Dio. E’ "carne" come noi ed è "roccia" come Dio (Angelus)
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BENEDETTO XVI - Il tempo della pazienza
Avvento: l'esperienza dell'attesa
Fabio Zavattaro
Inizia un nuovo anno liturgico e la Chiesa, ricorda il Papa all’Angelus citando il Concilio, “nel ciclo annuale presenta tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione e Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. In questo modo, ricordando i misteri della Redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza”.
Con Luca possiamo dire che l’atteggiamento che caratterizza questo tempo per il credente è la pazienza; l’attesa della realizzazione delle promesse di bene, come scrive Geremia. Pazienza in vista della liberazione, di quel “risollevatevi e alzate il capo”.
“Chi entra in casa nostra ammiri noi piuttosto che le suppellettili”, scriveva Seneca. Come dire, siamo sommersi dalle cose esteriori, dal superfluo. Nei mass media è già la frenesia degli acquisti, nonostante la crisi, ad avere spazio. Nelle nostre strade sono le luci natalizie ad attrarre. Luca ci dice di stare bene attenti che “i cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Il tempo di Avvento è, dunque, invito a non guardare alla facciata, ma ad andare in profondità, a cogliere il significato interiore. Il mondo, afferma il Papa all’Angelus, “ha bisogno soprattutto di speranza: ne hanno bisogno i popoli in via di sviluppo, ma anche quelli economicamente evoluti. Sempre più ci accorgiamo che ci troviamo su un’unica barca e dobbiamo salvarci tutti insieme. Soprattutto ci rendiamo conto, vedendo crollare tante false sicurezze, che abbiamo bisogno di una speranza affidabile, e questa si trova solo in Cristo, il quale, come dice la Lettera agli Ebrei, è lo stesso ieri e oggi e per sempre”. Cristo “è venuto in passato, viene nel presente, e verrà nel futuro. Egli abbraccia tutte le dimensioni del tempo, perché è morto e risorto, è il Vivente e, mentre condivide la nostra precarietà umana, rimane per sempre e ci offre la stabilità stessa di Dio.
È carne come noi ed è roccia come Dio. Chiunque anela alla libertà, alla giustizia, alla pace, può risollevarsi e alzare il capo, perché in Cristo la liberazione è vicina”. Gesù Cristo, afferma ancora Benedetto XVI, “non riguarda solo i cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché egli, che è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno”. Per il credente, la speranza viene dalla certezza che il tempo non si ferma il venerdì sulla croce.
Forse non è un caso che il Movimento dell’amore familiare abbia scelto proprio questa domenica per una marcia silenziosa, per dire il suo “no” alla sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che vieta il crocifisso nelle aule scolastiche. Una marcia, ricorda il Papa, “per manifestare profondo amore al Crocifisso, riconoscendone il valore religioso, storico e culturale”.
Un tema, il crocifisso nelle aule, che richiama un’altra grande questione, le radici cristiane dell’Europa, più volte tornate in primo piano in seguito alla mancata menzione nel preambolo della Costituzione europea. Forse una riflessione va accennata: se l’Europa è luogo di civiltà, tolleranza e pace, se è il continente dell’affermazione dei diritti umani lo deve molto al Vangelo e ai monasteri.
Gli storici hanno illustrato che le prassi elettorali e deliberative dei monasteri hanno aiutato il formarsi delle istituzioni degli Stati moderni; lo stesso Codice che regolava gli Stati generali del 1789, secondo alcuni studiosi, era costruito sulla base delle disposizioni canoniche in uso all’epoca. E d’altra parte il “Parliamentum” degli abati dal 1100 regolava le decisioni dell’Ordine Cistercense, evitando eccessivi individualismi e introducendo il concetto che era la comunità nel suo insieme, attraverso un voto, a impegnarsi in iniziative che la vedevano spendersi direttamente. È sempre nei monasteri che appare il termine suffragio, di derivazione romana, e lo scrutinio: “scrutari” significa pensare, ponderare, esaminare. Ma anche il voto segreto, il quorum e il voto di fiducia: quest’ultimo nelle Certose aveva il compito di valutare ogni anno l’operato del superiore, che, ovviamente, non assisteva al voto. Anche il ballottaggio nasce in ambiente cristiano e serviva, attraverso l’uso di “ballotte”, fave chiare e scure, palline di diverso colore o altro ancora, a permettere a chi non era in grado di leggere e di scrivere, di partecipare al voto. Potremo continuare a lungo, ma è sufficiente a questo punto ricordare che le Università nascono in ambiente cristiano, da Bologna a Cracovia, da Parigi a Toledo: nel 1600 nel mondo esistevano un centinaio di atenei, tutti nell’Occidente cristiano.
Il cristianesimo, dunque, pur non essendo partito dall’Europa, proprio nel Vecchio Continente ha “ricevuto la sua impronta culturale e intellettuale storicamente più efficace”, come diceva l’allora cardinale Joseph Ratzinger, parlando a Subiaco, il 1° aprile 2005.
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