domenica 30 agosto 2009

Gli immigrati, la cittadinanza e Papa Ratzinger (Benedetto Ippolito)


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Gli immigrati, la cittadinanza e Ratzinger

La polemica tra la Chiesa e la Lega è ben più di una divergenza politica: è un conflitto sui valori fondamentali

di Benedetto Ippolito

Lo scontro verbale, violentissimo, che si è creato attorno al tema dell'immigrazione, si sta allargando a macchia d'olio. Nei giorni scorsi, davanti alle critiche che alcuni esponenti autorevoli della Chiesa hanno rivolto alla politica del Governo, la Lega ha minacciato addirittura di mettere a rischio il Concordato. Dopodiché, al solito, sono arrivate le smentite e si è avviata la difficile riconciliazione. Ma che cosa si nasconde veramente dietro quest'eclatante divergenza di sensibilità?
Per capire gli effetti è necessario spostare per un momento l'attenzione alle cause, passando dalla contingenza del dibattito al tema realmente in discussione.
Ciò riguarda, invero, non tanto gli stranieri e la sicurezza, quanto piuttosto il significato più o meno circoscritto attribuito alla cittadinanza come tale. È utile, in tal senso, farsi guidare da una pagina veramente straordinaria di Norberto Bobbio, contenuta nel primo capitolo del libro "Stato, governo e società". Egli afferma precisamente che, a differenza della vita privata che riguarda i singoli individui e i singoli gruppi in relazione tra loro, la dimensione pubblica si regge sul presupposto che «il tutto sociale viene prima delle sue parti». Lo sguardo d'insieme è il vero presupposto autentico della cittadinanza e della statualità. I cittadini in pratica sono tali solo quando costituiscono tutti insieme un complesso unitario di persone che dà forma democratica alla collettività.
Ora, qualcosa di simile lo aveva detto anche il noto filosofo cattolico tedesco Josef Pieper, in un suo famoso libro sulla giustizia, riconoscendo che «lo Stato rappresenta senza alcun tema di confronti il tutto sociale». E la sfida dell'integrazione tra i popoli è stata, d'altronde, la grande idea pastorale di Paolo VI. Per questo, Benedetto XVI, nell'ultima Enciclica Caritas in Veritate, ha dedicato ampio spazio proprio al ragionamento esposto dal suo predecessore nella Populorum progressio.
Ratzinger ritiene cioè, in continuità con Montini, che lo sviluppo umano nel nostro tempo esige urgentemente, oltre un continuo adattamento della vita alle tendenze del progresso tecnologico, «un'interpretazione metafisica della cittadinanza in cui la relazionalità sia elemento essenziale».
La difficoltà dell'integrazione, poi, non è stata ignorata neanche dagli studiosi d'area anglosassone. T. H. Marshall ha parlato, già quarant'anni fa, della profonda trasformazione che avrebbe subito il concetto classico di cittadinanza a causa delle migrazioni, indicando come unica terapia possibile la cosiddetta "inclusione sociale", ossia l'allargamento della base democratica dello Stato.
È importante, pertanto, riflettere bene sul valore di quest'uniforme convergenza generale d'opinioni così diverse, facendone tesoro nel ricercare soluzioni valide anche per la nostra società italiana. A causa dei processi migratori, che hanno spinto in grado sempre crescente nuove persone a venire in Europa, l'idea tradizionale di una società coesa, sulla forma di una totalità omogenea, si è andata indebolendo, rarefacendosi e perdendo consistenza. Il fenomeno è lampante se guardiamo quante difficoltà incontrino le persone extracomunitarie ad inserirsi nel nostro tessuto sociale. Vivono e lavorano qui, magari da anni, senza avere eguali diritti e senza sentire concreti doveri di cittadinanza rispetto a chi vi abita già.
Come il presidente della Camera Gianfranco Fini ha messo in rilievo a Genova nei giorni scorsi, ormai anche in Italia è giunta l'ora di una ridefinizione estensiva dell'appartenenza comunitaria, attraverso la quale sia possibile parlare di nazionalità senza troppe limitazioni.
È un'esortazione precisa che ci porta di nuovo inevitabilmente al discorso iniziale di Bobbio e Pieper sul "tutto sociale". Sembra un errore pensare che la diversità culturale possa essere risolta contrapponendo unicamente statuti d'appartenenza opposti e parziali: da un lato, quello dei nativi, cioè i cittadini veri e propri, e, dall'altro, quello degli immigrati, ossia di chi è visto esclusivamente come una minaccia per la sicurezza. Seguendo tale interpretazione, oltre a penalizzare i diritti di alcuni per una presunta difesa dei diritti di altri, si produce una dannosa opposizione tra gruppi sociali, fomentando la lotta intestina tra clan rivali e moltiplicando la forza disgregatrice delle identità culturali. Lo miopia in questa visione delle cose riguarda fatalmente il concetto di sfera pubblica, trasformato da tutto sociale in sommatoria degli interessi privati. Perciò, la polemica tra la Chiesa e la Lega è ben più di una divergenza politica: è un conflitto sui valori fondamentali che reggono la tenuta sociale e la relazionalità umana. Una cittadinanza, infatti, per poter valere oggi deve includere non solo chi possiede un diritto originario d'appartenenza, ma anche chi non possiede ancora tale diritto, ma ha le carte in regola per riceverlo.
La riforma del criterio di cittadinanza, in definitiva, è la vera risposta politica che l'Italia può offrire all'Europa in materia d'immigrazione, perché appartiene da sempre alla sua storia e alla sua cultura.
Affermare appunto che il tutto della società precede le sue parti, includendo al suo interno tutte le singole identità esistenti, è l'unica efficace risposta, con la quale la pratica dei diritti umani cammini di pari passo all'umanità del diritto, escludendo la sua cinica e disumana estinzione.

© Copyright Il Riformista, 29 agosto 2009

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Lo ius sanguinis contrapposto allo ius soli è uno dei capisaldi del nostro ordinamento. Non ne farei una questione di valori fondamentali. In proposito resta ancora insuperata la lezione del Cardinale Biffi il quale ebbe a dire che l'Italia non è una landa desolata (come potevano esserlo gli Stati Uniti o l'Australia all'inizio del secolo scorso) bensì un territorio tra i più densamente popolati del mondo, con una compagine sociale ben definita anche in termini di identità religiosa, quindi egli andava a propugnare una forma di immigrazione selettiva sia in termini quantitativi che "qualitativi" affermando che si sarebbe dovuta preferire una immigrazione da paesi con cultura simile alla nostra anche in termini religiosi (es. sudamerica, filippine), si veda in proposito "Memorie e digressioni di un italiano cardinale", Cantagalli, 2009.

Antonio ha detto...

Finis Italiae...ecco cosa vogliono!
Ma si rende conto Benedetto Ippolito di quel che dice?
Seguendo il suo ragionamento l'Italia cattolica fra cinquant'anni non esisterà più.
Ricordaiamoci dell'Africa e dell'Asia e della fine miserevole del cristianesimo.
Cerchiamo di non dare nulla per scontato.
Se un'appartamento è costruito per dieci persone non ve ne posso stipare diecimila...
Difendiamo l'Italia e la sua cultura!Basta col comunismo.

Anonimo ha detto...

Segnalo un articolo tratto dal blog "Messa in latino" : "Il Vescovo snobba i fedeli. Il sindaco gli scrive" sulla sofferta applicazione del Motu proprio "Summorum pontificum"; veramente la misura è oltremodo colma!
Cari amici come si può reagire affinchè queste "tirannie episcopali" siano conosciute dai Responsabili dei Dicasteri Romani preposti della Santa Sede perchè intervengano? Il Prefetto della Congregazione per il Culto divino S.Em. Canizares è sulla linea del Santo Padre in materia liturgica. E' lui che bisogna interpellare (impresa difficile)perchè tante cose, anche nei Dicasteri, vengon fatte passare sotto silenzio. Come fare?

Anonimo ha detto...

avere le "carte in regola" per ottenere la cittadinanza non può però voler dire solamente pagare le tasse e risiedere in Italia, altrimenti tutto si riduce, come al solito, a un criterio puramente economico. Ci sarebbe da considerare anche l'acquisizione, da parte degli immigrati, di una componente culturale italiana, come la conoscenza della nostra lingua nazionale (e lasciamo perdere, per pietà, la manfrina dell'insegnamento dei dialetti nelle scuole, che aprirebbe la porta alle più astruse richieste di qualunque minoranza) e l'accettazione delle nostre leggi vigenti, prima fra tutte la Carta Costituzionale coi suoi principi fondamentali, laicità dello Stato compresa, che non deve valere solo per i cattolici. Anche gli Stati Uniti del Far West, che, appunto, applicavano generosamente lo ius soli, non prescindevano dalla conoscenza della lingua e dal giuramento di fedeltà alla Costituzione.

raffaele ha detto...

Condivido pienamente l'articolo di Ippolito, che valorizza un punto importante dell'enciclica. Non si possono considerare gli immigrati come "mezzi uomini". Poi, certo, bisogna favorire la lro integrazione e l'accettazione da parte lorio di una "carta di valori". Quanto è distante questa prospettiva di "inclusione" dalla mentalità ottusa della Lega!

Stefano ha detto...

Mi sconforta sempre alquanto leggere considerazioni di questo genere, e ringrazio chi in proposito ha citato il Cardinal Biffi, di cui in particolare mi stupisce il titolo, "italiano cardinale".. Ma mi sento semplicemente di ricordare a proposito le bellissime parole di Paolo, nella lettera ai Galati (3,28): < Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è poù uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù >.
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