venerdì 25 settembre 2009

Giovanni Maria Vian sul viaggio nella Repubblica Ceca: "Nel cuore della storia d'Europa" (Osservatore Romano)


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Nel cuore della storia d'Europa

Un percorso nel cuore dell'Europa per rivolgersi idealmente a tutto il continente e al mondo.
Così può essere sintetizzato il viaggio di Benedetto XVI, tredicesimo internazionale del pontificato, nella Repubblica Ceca. La nazione, per tanti motivi simbolo della tormentata storia europea, dopo un passato splendente e tragico tornò improvvisamente protagonista nel 1968 con la cosiddetta primavera di Praga. Alla sua sconvolgente repressione per mano delle truppe del Patto di Varsavia, seguì, un decennio più tardi, Charta 77, manifesto per il rispetto dei diritti umani.
Questi semi civili trovarono presto risposta e accoglienza da parte della Chiesa di Roma: nei segni di Paolo VI e, sin dai primi anni del pontificato, nelle scelte di Giovanni Paolo II, il vescovo venuto da "un Paese lontano".
Così nel 1977, nell'ultimo concistoro di Papa Montini, fu pubblicato il nome dell'amministratore apostolico (poi arcivescovo) di Praga, Frantisek Tomásek, creato in pectore l'anno precedente. Gli evangelizzatori del Paese e delle vastissime regioni centrali e orientali del continente, Cirillo e Metodio, nel 1980 vennero proclamati compatroni d'Europa. E ai due santi fratelli nel 1985 fu dedicata l'enciclica Slavorum apostoli, che sviluppava l'immagine straordinaria dei due polmoni, orientale e occidentale, con cui respira la tradizione cristiana.
Il segno più toccante - mentre il Papa poneva mano a riorganizzare quella Chiesa, martirizzata atrocemente ancora verso la fine degli anni Ottanta - venne dalla canonizzazione di Agnese di Boemia, nel memorabile autunno del 1989 che segnò la fine del comunismo reale nelle terre d'Europa.
Ancora rimane la memoria di quel timido sole che il 12 novembre illuminò i gruppi di fedeli cechi arrivati a Roma, quasi increduli e con poveri mezzi, per onorare la nuova santa proclamata dal Romano Pontefice. Proprio in quella piazza San Pietro dove secondo le rappresentazioni della propaganda politica avrebbero dovuto abbeverarsi i cavalli dei cosacchi. E l'anno dopo, iniziato il ritiro delle truppe sovietiche, vi fu il primo dei tre viaggi di Giovanni Paolo II nelle terre ceche e slovacche.
Attento e rivolto al cuore della storia d'Europa - continente incomprensibile se si rimuovono le sue radici cristiane che, con altre, lo hanno costituito così come oggi è - particolare e importante è anche il momento internazionale dell'itinerario papale, che cade all'indomani dell'impegno unanime per il disarmo nucleare preso alle Nazioni Unite. Là dove il 4 ottobre 1965 Paolo VI, "come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata", parlò al mondo del pericolo sempre incombente: "Le armi, quelle terribili, specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli".
Oggi il suo successore continua quel cammino. Nella fiducia che il suo appello alla ragione venga ascoltato. Così come la sua predicazione.

g. m. v.

(©L'Osservatore Romano - 26 settembre 2009)

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