lunedì 14 settembre 2009

Padre D'Ippolito: la croce è accettare la propria vita confidando totalmente in Dio (Radio Vaticana)


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Padre D'Ippolito: la croce è accettare la propria vita confidando totalmente in Dio

L'odierna Festa dell'Esaltazione della Santa Croce affonda le sue radici nella Terra Santa, nel IV secolo, poi nel VII secolo ha voluto anche commemorare il recupero della reliquia della Croce di Cristo fatto dall’imperatore Eraclio nel 628. Ma la celebrazione di oggi vuole sottolineare che la glorificazione di Cristo passa attraverso il supplizio della croce, come spiega al microfono di Tiziana Campisi padre Mario D’Ippolito, passionista, rettore del Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, ai piedi del Gran Sasso, in provincia di Teramo:

R. – Il nostro Padre celeste ha scelto di salvarci attraverso la Croce ed è ciò che non riusciamo a capire. L’esaltazione dell’uomo, però, viene proprio da questa sofferenza e questo vuol dire quindi che ci ha voluto salvare per mezzo della Croce. Quando si parla di Croce si vuol dire sofferenza. Una sofferenza che Gesù ha accettato per ciascuno di noi.

D. – Come affrontare il percorso della Croce?

R. – Accettando prima di tutto la nostra vita, noi stessi. Poi accettando il nostro quotidiano, le prove che arrivano, saperle filtrare nel segno della fede. Ognuno di noi ha una missione e durante la nostra vita ci sono tanti accadimenti, tanti intrecci dolorosi e gioiosi. Dobbiamo saperli leggere e dar loro la nostra risposta attraverso la nostra stessa vita, facendo la volontà di Dio, come Gesù che ha detto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e poi: “Nelle tue mani affido il mio spirito”. Questo è l’abbandono totale della nostra vita nel segno della fede, Dio – nostro Padre – guida i nostri passi, non ci lascia mai soli nei terribili momenti di sofferenza, quando dobbiamo portare la nostra croce.

D. – Non è facile accettare il dolore, la sofferenza ed un cammino di vita irto di difficoltà. In che modo, allora, guardare a Cristo per imparare da Lui?

R. – Lui è il nostro Maestro. Cristo non ha eliminato la sofferenza: è diventato solidale con noi, nostro fratello nella sofferenza. Ha affrontato la sofferenza per farci capire che ce la possiamo fare, perché la sofferenza è per noi purificazione, ridimensionamento di noi stessi. Noi non siamo niente, basta un nonnulla per buttarci a terra e quindi la sofferenza ci fa capire chi siamo. Ci rende ancora più dignitosi perché rispettiamo gli altri e sappiamo che, come posso soffrire io, anche l’altro può attraversare questo momento. In questo caso posso essere io stesso solidale con l’altro.

D. – In che modo è possibile far conoscere la catechesi sulla Croce?

R. – Far conoscere la catechesi vuol dire prendere come modello Gesù Cristo, sempre, nel segno della fede. Lui ha voluto scegliere la Croce come nostra salvezza. Nietzsche, che aveva capito questo, da una parte invidiava i cristiani e diceva: “Il legno maledetto della Croce”, proprio perché sapeva che la forza del cristiano sta proprio lì, nella croce, nell’affrontare la sofferenza a viso aperto tenendo come maestro il Maestro divino, quello crocifisso, morto per noi sul legno della Croce.

D. – Nel ventunesimo secolo che cosa significa accettare la croce?

R. – Significa trovare il senso di se stessi. Il problema dell’uomo si risolve soltanto nell’illuminazione della risurrezione di Cristo. Cristo, prima di risorgere, è passato attraverso la sofferenza della Croce, attraverso il Calvario.

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