lunedì 12 ottobre 2009

Il dono dell’Enciclica Caritas in veritate. Riflessione di Luca Volontè (Formiche)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il dono dell’Enciclica

di Luca Volontè

Era il giorno della solennità di San Pietro e Paolo, allora venne resa nota e pubblicata la terza Enciclica di Benedetto XVI, la prima “sociale” del suo pontificato, la Caritas in veritate.
I giorni precedenti avevano visto, inopportunamente, vari esponenti del mondo cattolico, soprattutto italico, rincorrersi sui quotidiani italiani per apparire i “suggeritori”, gli “amanuensi”, i “teorici” del testo pontificio.
Tutti parlavano delle innovazioni, indubbiamente presenti nel testo, ma ciascuno si soffermava quasi esclusivamente sulle speculazioni economiche o sui “nuovi” attestati e riconoscimenti che la Caritas in veritate attribuisce all’economia del “dono”, alla società civile, al terzo settore.
Poco: la cura dimagrante rivolta ad un ampio testo per ridurlo ad un “manuale etico dell’economia” è troppo riduttivo ed inevitabilmente ricaccia l’Enciclica in un angolo delle biblioteche. Nulla come questa Enciclica corre il rischio di essere come, nella parabola del seminatore, quel buon seme che cadde sul terreno roccioso, “dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma quando il sole si levò, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì”.
Nulla come questa Enciclica, per il tempo proficuo del cambiamento epocale che viviamo, potrebbe cambiare il mondo, dipende da noi essere quella “terra buona” che porta frutto. Penso che questo approccio sia stato molto colpevole e molto sbagliato, è vero che la pubblicazione del testo coincideva alla celebrazione del G8 di L’Aquila, vero che in molte sue parti quel testo si sofferma sulla crisi economica attuale, ma va molto oltre. Oltre nelle premesse, il richiamo nella prima parte della Enciclica al nesso e alle conseguenze del legame tra “verità e carità”, smaschera ogni terzomondismo dentro e fuori il mondo cattolico e ricrea con limpida chiarezza quella intuizione che sta nel cuore di ciascuno di noi, conferma quel presentimento che non possa esistere carità senza giustizia.
Non solo, ricentrando l’origine della costante passione della Chiesa, Gesù Cristo, ripone al cuore di ogni analisi e ipotesi di soluzione la verità dell’uomo, la Verità che sta al centro di ogni convivenza, di ogni cooperazione internazionale, di ciascun rispetto vero per l’ambiente, l’etica economica, l’organizzazione della società, la famiglia... Tutto, insomma, è un Fatto da cui partire, “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo della persona e dell’umanità intera” (C.V.n.1). Se c’entra con tutto me stesso e con lo sviluppo di tutto il mondo, allora l’interesse dovrebbe accrescersi verso il messaggio di Benedetto XVI, invece pare “archiviato” da quella stessa mentalità che, anche nella soluzione della crisi, viene infastidita da quelle parole.
Certo, anche i grandi della terra hanno applaudito e forse proprio perché hanno compreso fino in fondo le parole del Papa – la sua richiesta di cambiamento – hanno preferito “mettere una toppa”. Fingere che le soluzioni di un tempo, gli strumenti e le azioni che ci hanno portato alla crisi economica possano essere utilizzati nuovamente, come se nulla fosse. Invece di assumere su di sé, nelle responsabilità di ciascuno, quelle parole forti e ineludibili ed agire di conseguenza, nella ricerca e nella costruzione di una solidarietà e responsabilità reciproca nello sviluppo globale, il vuoto fallimentare del modello libertario ed egoistico (liberismo, libertarismo, neocolonialismo maltusiano etc.), di cui la crisi è il segno più imponente, si sta riempiendo con riedizioni raffazzonate e corte coperte simili alle precedenti. In questo, con intelligenza sopraffina,
Formiche svolge un’azione lungimirante e meritoria nel tener deste le provocazioni all’io e l’incalzare delle parole della Caritas in veritate. Cos’è dunque la carità, secondo il testo pontificio? è il contrario di quello che generazioni di uomini hanno pensato o gli è stato insegnato anche nelle riunioni di catechismo. Le forme più esigenti di carità si traducono nel “difendere la verità, proporla con umiltà e testimoniarla nella vita” (C.V. n.1). Vale dunque, questo testo, come bussola nei comportamenti e nella vita quotidiana di ciascuno di noi, ma, dice il Papa subito dopo, esso ha un valore anche nel ripensare da parte del mondo cattolico l’azione di carità verso gli altri. La carità senza verità, facilmente viene scambiata per una “riserva di buoni sentimenti” (C.V. n.4).
La carità, chiave di lettura dell’intero testo, non solo non esiste senza giustizia, ma nemmeno può trovare una sua consistenza senza la verità. Si rileggano i paragrafi n.5 e n.6 per capire fino in fondo le implicazioni nella vita concreta di popoli e nazioni, oltreché delle singole persone e comunità, di questi nessi indissolubili. “Si ama tanto più efficacemente il prossimo, tanto più ci si adopera per il bene comune rispondente anche ai suoi bisogni”, non è questa del paragrafo n.7 una rivoluzione totale nella riflessione, non tanto del Magistero sociale della Chiesa, ma nel modo in cui la classe politica e il mondo sociale si rapporta con la realtà? Un ribaltamento, come ho accennato e spero di aver chiarito parzialmente, totale del conformismo di maniera nel pensare lo sviluppo, la responsabilità, la carità e la giustizia. Una pietra miliare che non può accettare di stare riposta con gli altri libricini nelle biblioteche, ma impone un cambiamento a partire non da una raffinata speculazione, quanto da un Fatto, dal Fatto che è incensurabile per chiunque voglia, con animo libero e senza pregiudizi, prendere questa Enciclica e scovarvi tesori antichi e nuovi per costruire il XXI secolo. Quante volte nel suo magistero, da filosofo e teologo prima, poi da Prefetto della Dottrina della Fede in totale sintonia con “Il Grande” Giovanni Paolo II, ora da Pontefice, Ratzinger ha richiamato l’evidenza di un Gesù non teoria o idea ma “Fatto”, compagnia reale, concreta presenza al nostro fianco. Lo ripete, riletto in questi giorni alla luce della stringente Lettera per la Giornata Missionaria Mondiale; acquisisce ancor più urgenza, anche alla fine della introduzione della sua Enciclica Caritas in veritate: “... l’annuncio di Cristo è il primo e fondamentale fattore di sviluppo...”.
Ho voluto soffermarmi, spero senza aver procurato tedio e noia nei lettori, su queste premesse, troppo spesso messe tra parentesi al punto dal rendere l’Enciclica sociale un ricettacolo di ragnatele e ragnetti. Senza un approccio chiaro e sincero, senza una riflessione seria sulla prima parte del documento pontificio (tra l’altro quella di Ratzinger è la prosecuzione della limpida riflessione di Wojtyla nella prima parte della Centesimus Annus), senza questa nuova alfabetizzazione iniziale, è e sarà difficile cogliere le sfide di fondo e collaborare alle prospettive di sviluppo e verità che la Caritas in veritate pone agli uomini e alle potenze del XXI secolo. Perciò, come si dice tra noi pellegrini, “il primo passo ha già una meta”.

© Copyright Formiche anno VI - numero 41 - ottobre 2009

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