lunedì 10 novembre 2008

Cattolici e Musulmani hanno sottoscritto una carta dei diritti. Ma il difficile viene adesso (Magister)


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Cattolici e musulmani hanno sottoscritto una carta dei diritti. Ma il difficile viene adesso

Il difficile è passare dalla teoria alla pratica. Parole, silenzi e retroscena del primo incontro del Forum tra le due religioni nato dalla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona e dalla lettera al papa di 138 saggi islamici

di Sandro Magister

ROMA, 10 novembre 2008

Nella foto, Benedetto XVI stringe la mano a Ingrid Mattson, canadese, presidente della Società Islamica del Nordamerica. Osserva la scena Tariq Ramadan, il più famoso e controverso tra i pensatori musulmani europei, egiziano con cittadinanza svizzera e cattedra a Oxford, figlio del fondatore dei Fratelli Musulmani.
La foto è stata scattata giovedì 6 novembre nella Sala Clementina dei palazzi apostolici.
Il papa ha appena ricevuto le due delegazioni, una cattolica e una musulmana, di 24 membri più 5 consulenti ciascuna, che hanno partecipato il 4 e 5 novembre, in Vaticano, al primo seminario del Forum cattolico-musulmano istituito dal pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e da rappresentanti dei 138 leader musulmani che hanno firmato la lettera aperta ai leader cristiani del 13 ottobre 2007, un anno dopo la memorabile lezione tenuta da Benedetto XVI a Ratisbona.

L'incontro col papa è stato aperto da un saluto del cardinale Jean-Louis Tauran, capo della delegazione cattolica, e da due indirizzi letti dal capo della delegazione musulmana Shaykh Mustafa Cerić, sunnita, gran mufti della Bosnia ed Erzegovina, e da Seyyed Hossein Nasr, sciita, iraniano emigrato negli Stati Uniti, professore alla George Washington University.

A tutti ha risposto Benedetto XVI con un discorso nel quale ha detto:

"Vi è un grande e vasto campo in cui possiamo agire insieme per difendere e promuovere i valori morali che fanno parte del nostro retaggio comune. Solo a partire dal riconoscimento della centralità della persona e della dignità di ogni essere umano, rispettando e difendendo la vita, che è il dono di Dio e che quindi è sacra sia per i cristiani sia per i musulmani, solo a partire da questo riconoscimento possiamo trovare un terreno comune per costruire un mondo più fraterno, un mondo in cui i contrasti e le differenze vengano risolti in maniera pacifica e in cui la forza devastante delle ideologie venga neutralizzata".

E ancora:

"Auspico che i diritti umani fondamentali vengano tutelati per tutte le persone ovunque. I leader politici e religiosi hanno il dovere di assicurare il libero esercizio di questi diritti nel pieno rispetto della libertà di coscienza e della libertà di religione di ciascuno. La discriminazione e la violenza che ancora oggi i credenti sperimentano in tutto il mondo e le persecuzioni spesso violente di cui sono oggetto sono atti inaccettabili e ingiustificabili, tanto più gravi e deplorevoli quando vengono compiuti nel nome di Dio".

Nel pomeriggio, le due delegazioni hanno diffuso una dichiarazione congiunta. Un documento in 15 punti – riportato integralmente più sotto – nel quale si afferma tra l'altro:

"Le minoranze religiose hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose. Hanno anche diritto ai propri luoghi di culto".
Un'affermazione importante. Perché è noto che tale doppio diritto è lontano dall'essere pienamente praticato negli Stati musulmani. Tant'è vero che poche ore prima, la mattina dello stesso giorno, ricevendo per la presentazione delle credenziali il nuovo ambasciatore della Repubblica Araba d'Egitto presso la Santa Sede, la signora Lamia Aly Hamada Mekhemar, Benedetto XVI si era sentito in dovere di chiedere che fosse data presto "la possibilità di pregare Dio degnamente in luoghi di culto adeguati" ai visitatori cristiani che affollano i centri turistici di quel paese.
Quest'ultimo è un piccolo indizio del divario profondo che ancora separa, in campo musulmano, i riconoscimenti astratti di taluni diritti dalla loro effettiva messa in pratica.

Il seminario del 4-6 novembre del Forum cattolico-musulmano è stato, a questo proposito, rivelatore. Nei suoi successi come nei suoi limiti.

* * *

I lavori si sono svolti a porte chiuse. Sia nel primo che nel secondo giorno la discussione è stata introdotta da due contributi di mezz'ora ciascuno, da parte di un cattolico e di un musulmano. I temi in discussione sono stati dapprima "i fondamenti teologici e spirituali" e poi "la dignità umana e il rispetto reciproco".
Gli autori della lettera dei 138 avrebbero preferito concentrare la discussione sul primo dei due temi, mentre da parte vaticana vi era l'esigenza di andare al concreto. L'agenda dei lavori ha soddisfatto entrambi. Nella dichiarazione finale, il primo dei 15 punti registra il "genio distintivo delle due religioni" nel considerare l'amore di Dio e del prossimo. mentre gli altri punti specificano l'applicazione di questo principio teologico e spirituale alla vita concreta degli individui e delle società.

Il punto 5 della dichiarazione congiunta è stato uno dei più battagliati:

"L'amore autentico del prossimo implica il rispetto della persona e delle sue scelte in questioni di coscienza e di religione. Esso include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in privato e in pubblico".

L'islamologo gesuita Samir Khalil Samir, membro della delegazione cattolica, ha ricostruito così, su "Asia News" del 7 novembre, la discussione che ha preceduto questa formulazione finale:

"Alcuni musulmani obiettavano: 'Se scrivete queste parole ci mettete in difficoltà. La libertà di religione nei nostri paesi è regolata da leggi dello Stato. Come facciamo a diffondere un documento se è contrario alle leggi dello Stato? Il rischio è di essere squalificati ed emarginati nella nostra società'. Alcuni hanno suggerito di togliere almeno le parole 'in privato e in pubblico'.

"C’era anche una formulazione che rivendicava il diritto di diffondere la propria fede come Da’wa, la missione per l’islam, o come Tabshir, la missione cristiana. Ma questa formulazione è stata ritenuta troppo forte e l’abbiamo eliminata.

"Tutte le difficoltà sono state sbloccate dal gran mufti di Sarajevo. Mustafa Cerić ha ricordato che la formula sulla libertà religiosa usata nel documento comune 'è la stessa della dichiarazione sui diritti dell’uomo dell’ONU. E molti governi musulmani hanno sottoscritto questa dichiarazione. Dunque essi devono accettarla, anche se magari non la praticano'. Questo argomento ha consentito a tutti di aderire al documento finale".

Anche il punto 11 è stato particolarmente controverso:

"Professiamo che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l'umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e a sostenere il principio di giustizia per tutti".

Riferisce padre Samir:

"I musulmani volevano che si togliesse la parola 'terrorismo' e la si sostituisse con il termine più generico 'violenza'. Questo perché si sentono attaccati da tutti e accusati da tutti di terrorismo. Uno di loro ha detto: 'Io non sono Bin Laden. Perché fate portare a me il peso di quanto fa Bin Laden?'. Poi però la discussione si è fatta più pacata. Alcuni musulmani hanno riconosciuto che chi li attacca non sono i cristiani, ma il mondo secolarizzato e ateo, contro il quale musulmani e cristiani devono resistere assieme. Hanno quindi espresso il desiderio di superare le antiche contrapposizioni. Un musulmano ha detto di non accettare più la classica divisione fra Dar al-Islam, la Casa della Pace, e Dar al-Harb, la Casa della Guerra, che comporta una divisione politico-religiosa del mondo e fomenta il jihad contro l’Occidente. Sarebbe invece da preferire la definizione di Casa della Testimonianza: estesa ovunque, nei paesi islamici e nei paesi occidentali, dove l’importante è testimoniare la propria fede, da parte dei musulmani come dei cristiani".

* * *

Oltre alle cose dette, nella dichiarazione congiunta, ci sono poi le cose taciute.

Una di queste riguarda la libertà di abbandonare la fede musulmana e abbracciarne un'altra tra cui la cristiana. Nei paesi islamici questa "apostasia" è severamente punita, in talune aree con la pena di morte. O comunque è ostracizzata, con l'espulsione di fatto del reo dalla famiglia e dal consorzio civile.

Nel punto 5 della dichiarazione finale manca un esplicito riconoscimento di questa libertà. E nel presentare al pubblico la dichiarazione, a nome della delegazione musulmana, Seyyed Hossein Nasr ha giustificato questo silenzio con argomenti storici e politici.

A due precise domande, l'una riguardante il diritto a cambiare fede e la sorte dei convertiti, l'altra la persecuzione che opprime i cristiani in Iraq e in altre regioni islamiche, Nasr ha risposto che "le difficoltà di questi cristiani sono niente a confronto di quanto hanno patito i popoli musulmani nei secoli ad opera dei cristiani, e oggi in particolare ad opera di Israele e degli Stati Uniti".

E da cittadino americano ha aggiunto: "Anche nel Texas chi diventa musulmano subisce ostilità e pressioni".

* * *

Dopo questo primo seminario, il Forum cattolico-musulmano si è impegnato a tenerne un secondo "entro due anni in un paese a maggioranza musulmana".

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