martedì 11 novembre 2008

Il professor Lucio Casto sconcertato nel leggere l’intervista del rabbino Di Segni contro Benedetto XVI


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Sono rimasto sconcertato nel leggere l’intervista del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, domenica sulla Stampa: crede di notare un’inversione di rotta in quella parte della Curia romana più vicina a Benedetto XVI rispetto ai tempi di Giovanni Paolo II. Anche noi cattolici registriamo da tempo un’inversione di tendenza operata dall’attuale rabbino capo rispetto ai tempi del suo predecessore, Elio Toaff, decisamente più dialogante con la Chiesa cattolica.

Ora ogni occasione è buona per rimarcare le distanze e per ricordare solo le ingiustizie patite dagli Ebrei. Anch’essi non hanno proprio nessun «severo, onesto esame di coscienza» da fare del loro comportamento lungo i secoli quand’erano in posizione di forza nei confronti dei cristiani? Ma dobbiamo per forza sempre ribadire queste cose?

L’eterno problema (eterno però solo dagli Anni 60!) è però il giudizio su papa Pacelli. Fa impressione confrontare l’intervista di Di Segni con l’articolo di Arrigo Levi su Pio XII apparso giorni fa su La Stampa: mentre Levi, pur esso di famiglia ebraica, faceva una commovente riabilitazione di papa Pacelli e dell’operato della Chiesa a Roma e in Italia negli anni tragici della seconda guerra mondiale, il dott.
Di Segni denuncia che il Vaticano non avrebbe fatto nulla per fermare il treno carico di ebrei romani alla Stazione Tiburtina, pronti per esser deportati.
Il dott. Di Segni è sicuro di quanto afferma? Tace sugli innumerevoli ringraziamenti di ebrei a papa Pacelli per l’opera svolta dal Vaticano e dalla Chiesa a favore del popolo ebraico. Anche il ministro israeliano Herzog, che ha attaccato in modo pesante la memoria di Pio XII dimentica che proprio suo zio fu tra coloro che fecero pubbliche lodi a papa Pacelli alla fine della guerra: anche questo particolare dovrebbe entrare nella «memoria di verità storiche intangibili» che Di Segni attribuisce a sé e al proprio popolo. E perché non ricordare che un suo predecessore come rabbino capo di Roma, Israel Zolli, nel febbraio 1945, quando Roma era già sotto il controllo degli Alleati, chiese il battesimo e divenne cristiano con il nome di Eugenio quale atto di gratitudine verso il papa? La comunità ebraica trova fastidioso questo fatto, non vuole ricordare questo nome e ha steso sulla sua memoria una specie di damnatio ad silentium. Non è anche questa una «verità storica intangibile»? ...

LUCIO CASTO, FACOLTÀ TEOLOGICA DI TORINO

Risponde Lucia Annunziata

Lettera molto dura. Ma questo tono è esattamente quello che, alla fine, bisogna tirar fuori. Se vogliamo andare in fondo alle vere differenze, occorre rompere il muro di cortesie che spesso copre solo l’indifferenza al confronto vero. Spero che il Rabbino Di Segni, o chi per lui, entri nel merito anche di queste domande.

© Copyright La Stampa, 11 novembre 2008 consultabile online anche qui.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Raffaella, continuo ancora a chiedermi come mai il rabbino Di Segni abbia il dente avvelenato con la Chiesa. Non lo trovo spiegabile. Tu sapesti chiarirmi un pò le idee?
Cordiali saluti
Sandra Spina

Raffaella ha detto...

Non ne ho la minima idea...mi limito a riportare le sue parole.
Ciao :-)

mariateresa ha detto...

mi sbaglierò, ma ho l'impressione che l'elemento del carattere giochi il suo ruolo. Il rabbino è un uomo duro che va per la sua strada. Tempo fa ebbe una polemica anche con Gad Lerner su altri argomenti.Lui ha chiaramente un giudizio negativo sui cattolici. Punto.Se proprio deve sopportarli li vuole col cilicio ai fianchi.
Ma per fortuna vediamo e sentiamo che non tutti hanno questo atteggiamento.Che non è comunque isolato e che covava sotto la cenere anche quando c'era GPII. A non tutti piacue di essere "fratelli maggiori" e il resto.