martedì 5 maggio 2009
Cresce l'attesa dei cattolici in Terra Santa per l'arrivo del Papa. Mons. Twal: abbiamo bisogno dell'incoraggiamento del Santo Padre (Radio Vaticana)
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Cresce l'attesa dei cattolici in Terra Santa per l'arrivo del Papa. Mons. Twal: abbiamo bisogno dell'incoraggiamento del Santo Padre
Davanti ad una folta schiera di giornalisti e cineoperatori, il nunzio apostolico in Israele, l'arcivescovo Antonio Franco, il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, il vicario patriarcale latino per Israele, mons. Marcuzzo, e il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, hanno tenuto a Gerusalemme una conferenza stampa nel corso della quale hanno illustrato gli ultimi preparativi in vista dell’arrivo di Benedetto XVI. Da Gerusalemme, il nostro inviato Roberto Piermarini.
“Vi abbiamo invitato perchè, come giornalisti, avete una missione: presentare nel mondo migliore questa visita, comprendendo la specificità di questo pellegrinaggio papale, che sarà un’incessante preghiera per la ricerca dell’unità e della pace in questa terra così tormentata”. E’ questo lo spirito con il quale vuole essere accolto Benedetto XVI. Lo hanno affermato il nunzio apostolico in Israele, mons. Franco, e il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Twal, nell’incontro che hanno avuto in mattinata con i giornalisti al centro Notre-Dame di Gerusalemme. In particolare, mons. Twal non ha nascosto che il viaggio papale, nel contesto palestinese e israeliano, possa essere strumentalizzato, vista la delicata situazione politica che si vive nella regione. Ma una visita al campo palestinese "Aida Refugee", vicino a Betlemme, ad esempio, è stato voluto dal Papa per immergersi nella drammatica realtà delle migliaia di profughi palestinesi, che spesso dimentica la comunità internazionale. Da Gaza, ha sottolineato mons. Twal, è stata fatta la richiesta per l’accesso alla Messa a Betlemme per 250 cristiani palestinesi, ma fino ad oggi il governo israeliano ha concesso il permesso solo a un centinaio di loro.
“Perché il Papa non andrà a Gaza?” ha chiesto un giornalista. Perché a Gaza i cattolici sono una piccolissima minoranza. Diverso il discorso per la Cisgiordania: lì, ha detto mons. Twal, dei 15 mila cristiani palestinesi, 11 mila hanno ottenuto il permesso per recarsi in territorio israeliano per partecipare agli incontri con il Papa. Sui problemi della sicurezza a Nazareth, è intervenuto il vicario mons. Marcuzzo, il quale ha assicurato che non ci sono rischi per il Papa, il quale tra l’altro userà la "papamobile" nella Messa presso il Monte del Precipizio e che le contestazioni alla visita sono state da parte di alcune sparute frange estremiste, già isolate dalla sicurezza. E’ stato anche chiesto dai giornalisti se è vero che il presidente Perez restituirà alla Chiesa il Cenacolo. “La questione è oggetto di lunghe consultazioni”, ha detto mons. Franco, “ma ancora non c’è niente di definitivo”.
Sulla presenza del Papa al Mausoleo dell’Olocausto, lo Yad Vashem, che in una delle sue sale contiene un’offensiva didascalia contro Pio XII, il nunzio apostolico ha detto che il Papa non ha mai messo in discussione la visita in questo luogo, perché vuole rispettare le vittime della Shoah.
Mons. Marcuzzo ha invitato la stampa a non dimenticare il senso di questa visita pastorale e spirituale del Papa in Medio Oriente, che affronterà quattro temi in ognuna delle sue tappe più significative: in Giordania la Chiesa, a Nazareth la vita, a Gerusalemme la pace e la riconciliazione e a Betlemme la famiglia. Infine, mons. Franco ha ricordato le parole del Papa al Regina Caeli di domenica, quando ha sottolineato che si recherà sui luoghi santi per confermare e incoraggiare i cristiani di Terra Santa, facendosi pellegrino di pace, rilanciando il dialogo e la riconciliazione.
Sull’attesa della comunità cattolica, ma no solo, per l’arrivo di Benedetto XVI in Terra Santa, il nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini, ha raccolto la testimonianza del Patriarca latino della Città Santa, mons. Fouad Twal:
R. - Lo attendiamo con gioia, con speranza, con entusiasmo: vediamo in lui un segno della Provvidenza che viene a pregare con noi, per noi tutti, per la pace, per tutti gli abitanti di Terra Santa. E' un padre che comincerà ad incoraggiare i fedeli in Giordania e poi continuerà qui. Dobbiamo avere un cuore grande, non limitarci alle piccole cose, alle meschinità. Al contrario, al bel gesto da parte sua deve corrispondere un bel gesto da parte nostra attraverso tanta ospitalità, accoglienza e coraggio.
D. - Mons. Twal, nel Regina Coeli di domenica scorsa il Papa ha detto che verrà ad incoraggiare i cristiani di Terra Santa che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà. Quali sono queste difficoltà? Lei ha parlato di “calvario della comunità cristiana”…
R. - Basta andare da qui a Betlemme, a Nazareth per vedere questo calvario: tutti i check-point che esistono, il muro che ci si para dinanzi... Non possiamo arrivare all’aeroporto, abbiamo problemi di visti che non arrivano, il problema della riunificazione delle famiglie cristiane tra Gerusalemme est e Ramallah. E ancora, la distruzione delle case, la loro demolizione. Questo è il calvario di una chiesa, però non dimentichiamo che il calvario è stato seguito da una resurrezione. Noi puntiamo sulla resurrezione e non ci fermiamo mai al calvario.
D. - La fa soffrire la lenta ma inesorabile emigrazione all’estero dei cristiani di Terra Santa?
R. - Sì che ci fa soffrire. Ormai, solo a Gerusalemme abbiamo appena 10 mila cristiani - tra cattolici, ortodossi e protestanti - a fronte di una comunità musulmana di 250 mila persone e di quella israeliana di 550 mila. Facciamo il possibile per fermare e limitare al massimo questa emigrazione: però tocca agli stessi cristiani capire che la loro presenza qui è una missione, devono accettare gli ostacoli e non abbandonare davanti ai problemi. E’ qui che c’è la Terra Santa, che ci sono le nostre radici.
D. - Ebrei, cristiani e musulmani sono tutti sensibili a questa visita del Papa?
R. - Tutti sono sensibili e poi siamo "costretti" a vivere gli uni accanto agli altri. Quindi, sarebbe meglio trovare il modo di poter vivere in pace.
D. - Quale importanza ha questo viaggio, invece, dal punto di vista ecumenico?
R. - Molto bello. Noi abbiamo voluto fare un incontro al Patriarcato ortodosso per fortificare i nostri rapporti. Già abbiamo buone relazioni tra noi e le diverse comunità, specialmente con la Chiesa cattolica. Ogni tanto c’è un piccolo problema, ma fa parte dello scenario della Terra Santa, non dobbiamo drammatizzare.
D. - Nella Terra Santa di oggi è difficile avere il coraggio della pace?
R. - No, no. Dobbiamo restituire a questa Terra Santa la sua vocazione di santità. Più che la guerra per il territorio, dovremmo impegnarci di più per la santità, per la riconciliazione, per il perdono, per carità fraterna. Ne abbiamo tanto, tanto bisogno. Questo è il nostro coraggio.
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