martedì 12 maggio 2009

Il Papa sulla Shoah: «Mai sia negata» (Mazza)


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Il Papa sulla Shoah «Mai sia negata»

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DAL NOSTRO INVIATO A GERUSALEMME

SALVATORE MAZZA

Uno di quei luoghi in cui re­sti come sospeso.
Che ti pe­sano addosso e tolgono il fiato. Anche se ci entrassi ogni gior­no, tutti i giorni.
Uno di questi luo­ghi in cui davvero è difficile com­prendere le misteriose e imper­scrutabili vie del Signore. L’ingle­se scheggiato con cui pronuncia il suo discorso rivela il peso che an­che il Papa si sente addosso, il suo fiato corto.
Un’emozione infinita. «So che lei è nato in Germania, ma per me lei è un essere umano co­me me, la ringrazio di essere qui » , gli dice Ed Mosberg, l’ultimo dei sopravvissuti all’Olocausto cui stringe la mano. Forse ha letto tut­to di quell’emozione, nei suoi oc­chi commossi. Il Papa gli stringe a lungo le mani, mormorando qual­cosa che nessuno raccoglie.
Allo Yad Vashem, il memoriale del­la Shoah, Benedetto XVI entra nel suo primo pomeriggio a Gerusa­lemme.
Al suo arrivo in Israele, e dopo nella visita al presidente Shi- mon Peres, che adesso lo accom­pagna nella Sala della rimem­branza, ha già detto tutto quel che sentiva di dover dire. E quello che i suoi ospiti si aspettavano di udi­re. Qui, al mausoleo, onora le vit­time. I loro nomi che non devono « perire mai » , e le cui sofferenze non dovranno « mai essere negate, sminuite, dimenticate» .
E in questo, quei nomi, sembra chiamarli a uno a uno, intermina­bile processione di dolore genera­ti da un odio nero come la pietra del pavimento su cui sono scolpi­ti i mostri da quell’odio generati, che quei nomi hanno divorato: Ba­bi Yar, Ponery, Transnistria, We­sterbork, Ravensbrueck, Buchen­vald, Dachau, Therensienstadt, Stutthof, Klooga, Sobibor, Tre­blinka, Belzes, Chelmno, Au­schwitz, Bergen- Belsen, Janosw­ska, Majdanek, Mathausen, Jase­novac, Drancy, Breendonck. Mo­stri che hanno schiantato vite, so­gni, speranze, attese. Ma, ricorda il Papa, non sono riusciti a cancella­re quei nomi che «custoditi in que­sto venerato monumento avran­no per sempre un posto sacro fra gli innumerevoli discendenti di A­braham » . Comincia in ritardo, la cerimonia allo Yad Vashem. E accumulerà al­tro ritardo. Il Papa non se ne cura. Dopo aver deposto i suoi fiori bianchi e gialli, si sofferma a salu­tare sei sopravvissuti e un ' giusto delle nazioni': Ivan Vranetic, che salvò un gruppo di ebrei in Croa­zia, Israela Hargil, salvata da una famiglia di cattolici polacchi, A­vraham Ashkenazi, aiutato dai gre­ci ortodossi, Gita Calderon, so­pravvissuta al campo di sterminio, Dan Landsberg, nascosto a tre an­ni sotto la gonna di suor Gertruda mentre lei accompagnava i nazi­sti che perquisivano il convento al­la ricerca di bambini ebrei, Ruth Blondy, scampata a Bergen- Bel­sen, ed Edward Mosberg.
«Cari amici – termina il suo di­scorso – sono profondamente gra­to a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricor­dare, un silenzio per sperare » . La voce, adesso, appena si sente.

© Copyright Avvenire, 12 maggio 2009

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