martedì 12 maggio 2009

Un nome eterno. Preghiera allo Yad Vashem e incontro interreligioso (Sir)


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Preghiera allo Yad Vashem e incontro interreligioso

Ai cristiani di Amman in Giordania Benedetto XVI ha rivolto un appello a conservare la propria identità cristiana con coraggio e dignità senza venir meno alla solidarietà verso tutti. Un particolare e significativo impegno loro affidato è la vita nella famìglia per l’educazione cristiana ed umana dei figli e il rispetto per la dignità delle donne non sempre rispettata, valorizzando i loro importanti ruoli di madri, suore, maestre, infermiere,così importanti per la pace e lo sviluppo della società.
Scendendo dal monte Nebo, dopo averla contemplata, come Mosè, è entrato nella terra promessa, dove ha avuto un forte impatto con un tragica realtà della storia ancora viva nella memoria del popolo di Israele, la vittima, e dell’ Europa, nella quale, in contrasto con le proprie radici ebraico cristiane, il crimine della Shoah si è perpetrato.
Benedetto XVI, Joseph Ratzinger, tedesco, ha già vissuto personalmente e con particolare intensità, nella visita al campo di sterminio ad Auschwitz, in Polonia (28 maggio 2006), l’umiliazione di appartenere ad un popolo che fu il principale artefice delle atrocità commesse contro gli ebrei.
In quella occasione confessò la difficoltà di prendere la parola soprattutto per “un Papa che proviene dalla Germania” e parlò di orrore,e di crimini contro Dio e contro l’uomo che non hanno confronti nella storia dell’umanità. Osò ripetere il “grido” da molti rivolto al Cielo con accenti diversi, di sfida o di angosciata preghiera: Perché, Signore, Hai taciuto? “Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa”.
Oggi 11 maggio, al Mausoleo dello Yad Vashem di Gerusalemme, ha avuto parole alte e nuove, diverse, con altrettanta intensità ed emozione, concise, pregnanti, di religiosa profondità che si immerge nell’ abissale mistero di Dio che conosce e custodisce ognuno per nome. Yad, infatti, vuol dire “memoriale”, schem significa “nome”. All’uomo si possono rubare le cose che possiede, togliere persino la vita, ma nessuno può rubargli il nome: “Milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah persero la propria vita, ma non perderanno mai il loro nome”. Oltre che nella memoria dei loro cari, i loro nomi “sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente”: secondo quanto ha affermato Isaia “darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Isaia 56,5).
Il discorso del Papa non è da leggere in chiave puramente consolatoria, ma come un vero e proprio atto di fede comune, ebraica – cristiana ed un comune impegno, solennemente affermato per la sua parte “come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro” perché quanto accaduto non si ripeta e di operare perché l’odio non alberghi più nel cuore dell’uomo, perché “il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della Pace” (Sal 85,9). Un impegno da prendere “oggi” a difesa di quanti sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita e della religione.
Questo discorso è correlato con l’altro più ampio e articolato rivolto ai membri delle Organizzazioni per il Dialogo interreligioso nel Centro di Nôtre Dame Jerusalem. Benedetto XVI ha impostato la riflessione su Abramo, la sua fede, la sua storia, nella quale si ritrovano le antiche radici di Ebrei, Musulmani, e Cristiani ed è, in qualche modo, paradigma perenne di una autentica fede religiosa personale. E’ convinzione del Papa che sia possibile, nella diversità delle religioni, trovare, o meglio, scoprire, un dato di fondo che unisce i credenti e favorisce lo sviluppo culturale dell’intera società. In modo particolare, oggi, nel mondo globale, a coloro che calcano la penna e la voce sulle differenze e paventano la conflittualità tra le religioni e lo scontro delle civiltà si deve presentare la potenzialità che i credenti hanno di plasmare la cultura in cui si trovano a vivere la loro esperienza religiosa, innestando in essa i principi della trascendenza, dell’amore alla verità, del rispetto per la razionalità: “Insieme possiamo proclamare che Dio esiste, e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature e che egli chiama ogni uomo e ogni donna ad uno stile di vita che rispetta il suo disegno per il mondo”. La nostra unità per la pace nel mondo non dipende dalla uniformità, perché il superiore senso di “rispetto per l’universale, per l’assoluto, per la verità spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra”.
Il discorso di Benedetto, articolato e complesso, sulla linea della dichiarazione conciliare sulle religioni, Nostra aetate, segna un punto di ripresa del dialogo interreligioso che negli ultimi tempi, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, ha subito forti ritardi. Se questa prospettiva sarà accolta, aiuterà a vincere le tentazioni ricorrenti in tutte le religioni di chiusura e lettura letteralistica delle proprie sacre scritture.

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