lunedì 11 maggio 2009
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Il Papa in Israele
Un teologo allo Yad Vashem
di Giorgio Bernardelli
Mi ero sbagliato: il Papa ha detto ancora cose politicamente molto interessanti nel discorso che ha fatto questo pomeriggio presso la residenza del presidente israeliano Shimon Peres. Ma ci sarà tempo per riprendere questa sera queste parole. Adesso vale invece la pena di concentrarci sulla tappa allo Yad Vashem, uno dei momenti più attesi di questo viaggio, appena concluso.
Benedetto XVI ha parlato da Joseph Ratzinger.
In tanti in Israele in questi giorni hanno evocato il giovane Joseph Ratzinger nella Germania nazista. Quello che hanno ascoltato oggi invece è il teologo Joseph Ratzinger, con la sua riflessione intorno a quegli anni drammatici.
Il discorso (clicca qui per leggere il testo integrale) l'ha incentrato su un tema estremamente caro al mondo ebraico, il tema del nome.
È partito dal significato biblico della parola Yad Vashem («un nome e una memoria») per ripercorrere la densità di significati che nella Scrittura assume la questione del nome. Nel Tempio di Gerusalemme - tanto per ricordarne uno - era il tetragramma sacro, il nome dell'Altissimo, il segno della Sua presenza. E ancora oggi il cuore del lavoro dello Yad Vashem è lo sforzo per riuscire a dare un nome a tutte le vittime della Shoah.
Così intorno al nome Benedetto XVI ha fatto ruotare tutta la sua riflessione.
«I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente», ha detto parlando delle vittime. Sono parole che guardano al tema gigantesco del «silenzio di Dio» di fronte alla tragedia della Shoah. «Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9)».
Ha parlato da uomo di fede Benedetto XVI nella «sinagoga laica» dello Yad Vashem. E, non a caso, tutti lo hanno visto pregare, mentre deponeva la corona di fiori accanto alla fiamma che ricorda le vittime.
Certo, c'è stata anche la condanna della Shoah; ma le parole più forti sull'antisemitismo le ha dette stamattina. Vanno letti insieme i due discorsi: la Chiesa condanna ogni forma di antisemitismo perché il nome di ogni uomo, di qualsiasi popolo o cultura, è scritto nel cuore dell'Altissimo.
Come reagirà l'opinione pubblica israeliana a questo discorso? Non sono così sicuro che capirà. Purtroppo le ferite di questo conflitto che insanguina questa terra da così tanti anni non hanno lasciato grande spazio alla teologia. A Gerusalemme tutti si aspettavano la «classica» condanna dell'antisemitismo e anche un accenno alle colpe dei figli della Chiesa in quegli anni tragici. Papa Benedetto ha parlato di altro: ha invitato a guardare in faccia il mistero del Male. Ho paura che in molti non capiranno. Ma spero di sbagliarmi ancora.
Ore 11,30: All'aeroporto Ben Gurion un confronto molto sottile
Benedetto XVI è arrivato in Israele e all'aeroporto ha trovato un'accoglienza in stile molto «sabra», cioè «made in Israel». L'orgoglio patriottico è una costante di ogni benvenuto al Papa. E in questo Paese un benvenuto accogliente significa non fare economia sul picchetto, sugli onori militari e sulle autorità da far salutare a Benedetto XVI appena sceso dall'aereo (c'era mezzo Parlamento e tenete presente che nella lunghissima fila non c'erano ebrei osservanti, non però per un atto di scortesia, ma solo perché oggi è una festività ebraica).
Venendo alla sostanza, anche qui i discorsi sono stati molto interessanti.
Il presidente e premio Nobel per la pace Shimon Peres ha fatto lo Shimon Peres che tutti conosciamo. Discorso alto, pieno di elogi al Papa per la sua missione spirituale e per i «semi di tolleranza» che getta nel mondo, grande fiducia nel dialogo tra ebrei e cristiani. Però il suo intento principale era - come al solito - un altro: vendere bene il marchio Israele. E anche in questo Shimon Peres non ha fatto economia: ha descritto il suo Paese come «un posto dove il rispetto della libertà religiosa è piena e tutti possono pregare senza interferenze»; e ha detto che Israele «sta negoziando con i palestinesi per arrivare alla pace». Che queste siano le speranze di Shimon Peres non lo dubitiamo. Dipingere però così la Gerusalemme di oggi ci è sembrato un tantino ottimistico.
Che a pensarlo non siamo solo noi, ma anche la Santa Sede lo si è visto dalle parole del Papa. Che ha voluto delineare subito le coordinate politiche della sua presenza, probabilmente per poi poter concentrarsi di più sull'aspetto spirituale del viaggio, che è quanto più gli sta a cuore. Di questo discorso (clicca qui per leggere il testo integrale) tre passaggi meritano qualche commento.
1) Benedetto XVI ha parlato subito dell'antisemitismo, il tema su cui l'israeliano medio più desidera ascoltarlo. E le sue parole sono state inequivocabili:
Tragicamente, il popolo ebraico ha sperimentato le terribili conseguenze di ideologie che negano la fondamentale dignità di ogni persona umana. È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo.
Lotta all'antisemitismo - dunque - non solo come eredità del passato, ma soprattutto come impegno presente.
2) Esattamente come ad Amman anche a Tel Aviv il Papa ha detto che non basta proclamare a parole la libertà religiosa: bisogna rispettarla nei fatti. E a Israele ha chiesto un impegno ben preciso:
Una cosa che le tre grandi religioni monoteistiche hanno in comune è una speciale venerazione per questa Città Santa. È mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi.
Questa è stata una risposta involontaria a Peres: purtroppo non è vero che a Gerusalemme tutti possono pregare liberamente senza interferenze. I cristiani dei Territori palestinesi al Santo Sepolcro ci possono andare due volte all'anno, a Natale e a Pasqua, quando la nunziatura ottiene dei permessi particolari. Per un religioso di nazionalità giordana o palestinese ottenere i visti di residenza in Israele è un percorso a ostacoli. Quanto poi ai musulmani, appena c'è un qualsiasi motivo di tensione, il primo provvedimento che viene adottato è vietare a chi ha meno di 45 anni di salire a pregare alla Spianata delle Moschee. Quello della coniugazione tra l'esigenza della sicurezza e il rispetto della libertà religiosa è un problema molto serio a Gerusalemme.
3) Benedetto XVI ha parlato del processo di pace.
Anche se il nome Gerusalemme significa "città della pace", è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa. Gli occhi del mondo sono sui popoli di questa regione, mentre essi lottano per giungere ad una soluzione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile dipendono dall’esito dei negoziati di pace fra Israeliani e Palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. A tale riguardo, spero e prego che si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità.
Un invito - neanche troppo velato - rivolto al nuovo governo del premier Netanyahu (che stava proprio lì di fianco) il cui ministro degli Esteri Lieberman sostiene esplicitamente che i negoziati con i palestinesi sono solo parole vuote.
Infine un'annotazione di colore: per i prossimi cinque giorni scordiamoci la confusione di Amman intorno al Papa. Anche la sicurezza israeliana nelle sue proverbiali procedure non gioca al risparmio. Dieci uomini intorno all'auto su cui il Papa ha percorso i duecentro metri interni all'aeroporto tra il palco e l'elicottero. Dieci minuti di attesa in auto prima di poter salire a bordo. Tutto questo dentro un aeroporto che è il luogo più controllato al mondo e in un momento in cui il suo spazio aereo era chiuso e perlustrato dai caccia dell'aviazione. Cari amici inviati al seguito del Papa: questa volta Benedetto XVI mi sa che lo vedrete col binocolo.
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