venerdì 15 maggio 2009

Abbattere i «muri» tra le Chiese: lavori in corso (Bernardelli)


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DI GIORGIO BERNARDELLI

Per l’ecumenismo sarà quest’ultima la giornata più importante del viaggio del Papa in Terra Santa.
Benedetto XVI si recherà infatti oggi in visita sia al patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III sia al patriarca armeno della Città Santa Torkom II Manoogian. Non è un caso che le due visite avvengano proprio nel giorno in cui Ratzinger si reca al Santo Sepolcro, la Basilica condivisa – non senza difficoltà – dalle diverse confessioni cristiane.
La tappa al Patriarcato greco-ortodosso è particolarmente significativa per due motivi. Intanto c’è un dato di fatto: la maggioranza dei cristiani di Terra Santa si riconosce in questa Chiesa ortodossa. Tra Israele e i Territori palestinesi sono circa 65 mila i fedeli che hanno come proprio pastore Teofilo III. Ma – motivo forse ancora più rilevante – è l’importanza storica del Patriarcato greco- ortodosso. Perché, a rigore, è a loro che spetta il titolo di Chiesa madre: l’attuale patriarca è infatti il 140° successore di Giacomo, il primo vescovo di Gerusalemme di cui si parla negli Atti degli Apostoli. Dunque è lui il successore diretto nella linea apostolica. Anche se poi la storia ha complicato molto le cose: quando nel 1099 arrivarono i crociati, infatti, i latini istituirono il loro patriarcato affidandolo al vescovo Arnolfo. Durò appena un secolo, per poi diventare un semplice titolo con la caduta del regno dei crociati. Infine fu Pio IX, nel 1847, a ripristinare la figura del patriarca latino di Gerusalemme. Ma con un significato ben diverso: non veniva più messo in discussione il fatto che il patriarca greco-ortodosso fosse il successore del primo vescovo di Gerusalemme. Non si poteva, però, ignorare il fatto che in Terra Santa, nelle parrocchie rette dei francescani, ci fossero fedeli di rito latino e dunque si volle dare anche a loro un vescovo.
La visita che Benedetto XVI compirà oggi a Teofilo III si riallaccerà idealmente all’abbraccio che proprio a Gerusalemme Paolo VI nel 1964 scambiò per la prima volta dopo secoli con il patriarca di Costantinopoli Atenagora. Fu la Città Santa, quel giorno, a offrire ai cristiani la buona notizia di un importante passo in avanti nel cammino ecumenico.
Si può dire la stessa cosa della Gerusalemme di oggi? Le immagini impietose della rissa tra religiosi grecoortodossi e armeni dentro la Basilica del Santo Sepolcro hanno fatto il giro del mondo alcuni mesi fa. Non era la prima, ma probabilmente è uno schiaffo che ogni tanto ci fa bene ricevere per ricordarci che le divisioni tra i cristiani – specie in un posto come la Terra Santa di oggi – sono occasione di scandalo.
Sarebbe però profondamente ingiusto ridurre l’intera questione dei rapporti tra le confessioni cristiane a Gerusalemme a quelle immagini. Perché l’ecumenismo si pratica anche nella Città Santa. L’intreccio dei calendari diversi è diventato l’occasione per un’infinità di incontri tra i capi delle Chiese locali, che più volte hanno sottoscritto appelli comuni – l’ultimo in occasione della guerra a Gaza.
Si collabora, però, anche su progetti molto più concreti: sul sito terrasanta.net padre Carmelo Pappalardo, uno degli archeologi della Custodia di Terra Santa, racconta della collaborazione proficua nata intorno ai rilievi antisismici effettuati recentemente alla Basilica del Santo Sepolcro. Un esempio di come anche dalle «pietre della discordia» possa nascere una strada comune. Il che è decisivo per dare un futuro all’ormai numericamente ridottissima comunità cristiana di Gerusalemme.

© Copyright Avvenire, 15 maggio 2009

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