giovedì 13 agosto 2009

Mons. Coletti: «Uno Stato davvero laico non emargina la religione» (Lenzi)


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INTERVISTA

Coletti: «Uno Stato davvero laico non emargina la religione»

Enrico Lenzi

«Nessuna polemica», ma un sereno «invito a ragionare» sulla sentenza del Tar, che «da cittadino considero irrazionale e incongruente nelle sue conclusioni». Anche se getta acqua sul fuoco, monsignor Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica e vescovo di Como, non rinuncia a esprimere tutte le sue perplessità e critiche su quanto deciso dal Tar del Lazio sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana.

Non è la prima volta che si assiste a ricorsi al Tar che hanno nel mirino l’ora di religione. Un accanimento, non trova?

«Siamo davanti a sostenitori della parte deteriore dell’Illuminismo. Nessuna critica globale, anche perché l’Illuminismo ha portato elementi positivi, ma non si può tacere che vi sono "illuministi" davvero poco capaci di ragionare».

Ma tra i ricorrenti vi sono anche esponenti di altre fedi religiose.
«Anche in questo caso intendo dire, con pacatezza e serenità, che forse non si è compreso il principio per il quale la religione cattolica è presente nella scuola. Non è affatto un principio confessionale, come i nostri fratelli di altre chiese cristiane forse temono, ma è un principio culturale, che parte proprio dalla presenza della cultura cristiana, che nel nostro Paese è stata espressa da quella cattolica, nella cultura, nella storia, nella società italiana. È in questa linea che si colloca la presenza dell’ora di religione nella scuola, come strumento per capire la nostra cultura e la nostra storia. Niente a che vedere con catechismo o proselitismo».

La sentenza del Tar, però, dà ragione ai ricorrenti che a loro volta parlano di discriminazione.

«La sentenza sembra nata e cresciuta proprio sopra un equivoco frutto della parte deteriore dell’Illuminismo, quello per cui la fratellanza universale la si raggiunge eliminando le differenze. E la religione, per loro, è un elemento da escludere dalla società».

E così dopo l’insegnamento a scuola, sarà la volta anche dell’aspetto sociale della propria religiosità?

«La religione non può essere cancellata dalla dimensione civica, e neppure può essere ridotta a un mero fatto personale e intimistico. È un fenomeno complesso e ha un suo rapporto reale e concreto con l’esprimersi della vita, anche di quella civica e sociale. Uno Stato davvero laico dovrebbe essere preoccupato di valorizzare tutte le identità, ciascuna a seconda del proprio peso e rilevanza culturale. Il fenomeno religioso ha una propria dimensione sociale e culturale che si esprime con presenze significative in moltissimi settori della società».

Il risultato della sentenza è che il 91% degli studenti italiani si trova a frequentare una materia considerata di serie B. Non è anche questa discriminazione?

«L’errore è pensare, sia in un caso (i non avvalentesi) sia nell’altro (chi la frequenta), che vi sia discriminazione. In questo caso nessuno è discriminato, perché coloro che non si avvalgono dell’ora di religione possono svolgere altre attività educative che comportano crediti scolastici. Ma mettere in un angolo la religione cattolica è un errore, oltre che un impoverimento dell’intera scuola e del percorso formativo di uno studente. Lo hanno capito anche moltissime famiglie non cattoliche e non cristiane che hanno deciso di avvalersi dell’insegnamento, proprio per permettere ai loro figli di avere una conoscenza più completa della nostra cultura e della nostra storia».

In una sua dichiarazione, ha parlato di "sentenza che rischia di incrementare ancora di più quella sorta di diffidenza sulla magistratura". Parole che hanno suscitato qualche reazione risentita dal fronte delle toghe.

«In Italia di tutto abbiamo bisogno tranne che di sentenze discutili e quasi evidenti prive di sostegno sostanziale. Ma non lo dico per unirmi al coro di chi attacca la magistratura. Dobbiamo far crescere la fiducia nei giudici. Io ne ho stima, ma non posso non sottolineare che una sentenza come questa è un errore, visto anche l’ampio coro di critiche che ha suscitato. Lo dico da cittadino italiano e non da vescovo».

Qualcuno potrebbe sottolineare che la sentenza non piace perché tocca un argomento sensibile per la Chiesa. Cosa risponderebbe?

«Mi piacerebbe che si venisse a discutere il perché la sentenza non mi convince. Non è una questione personale o di interesse di parte. Mi pare che nella sentenza si mostrino elementi di irrazionalità e di incongruenza».

Li vuole indicare?

«Parlare di discriminazione degli studenti non avvalentisi mi pare una motivazione chiaramente pretestuosa, visto che si possono avere crediti scolastici anche seguendo un corso di danza. L’altra motivazione addotta punta a ricondurre la sfera religiosa al personale escludendola dalla scuola. Anche in questo caso ribadisco l’ora di religione non è catechismo o indottrinamento, ma una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace dei laicistici».

Il ministro Gelmini ha annunciato che ricorrerà al Consiglio di Stato contro questa sentenza. Soddisfatto?

«Lo auspicavo. Mi sembra che svolga in modo corretto il proprio ruolo istituzionale, difendendo, tra l’altro, una norma emessa del ministero».

© Copyright Avvenire, 13 agosto 2009 consultabile online anche qui.

3 commenti:

SERAPHICUS ha detto...

Sinceramente non capisco tutta questa agitazione. Credo che il vero problema sia vagamente quello citato dalla Scaraffia. Non vedo alcun riconoscimento della dignità dell’insegnamento di religione equiparandolo a un corso di cucina, di equitazione o a un’altra qualsivoglia attività intra- o extrascolastica. Ritengo che la questione dei crediti sia in e per sé semplicemente stupida. Sono inoltre convinto che proprio gli insegnanti di religione saranno molto contenti di non dover partecipare a consigli, scrutini e roba del genere.

Il vero problema è: la “qualità” di questa “ora di religione”. Inorridisco quando sento cosa avviene in questa ora, e credo che non abbia alcuna funzione positiva rispetto alla formazione religiosa. Degradare la religione a formazione culturale – è esattamente ciò che certi cattolici vorrebbero che accada. “Religione civile” si chiama questo mostro.

Personalmente vorrei che la chiesa stessa dice “no” a un insegnamento di religione (fatto per lo più male e lontano dalla dottrina cattolica) nelle scuole pubbliche. Sarebbe molto meglio prendere atto dell’emergenza catechetica nella chiesa stessa e la quasi totale assenza di una formazione approfondita. Ma pare anche che manchino sia la capacità che la voglia. Meglio dunque istaurare una tale superficiale “lotta per il potere”, come copertura del vero problema. Cosa dire, poi, di gente come Fioroni, la Gelmini e dei suoi capi, “alfieri” della cultura cristiana d’occidente?? Ma fatemi il piacere…

Di nuovo diventa visibile: lo scarso profilo dell’essere cattolico che – quant’è triste questo – si rifugge piagnucolando nel volere essere “riconosciuto” da qualcuno.

Ma: a quale prezzo? Io non sono disposto a pagarlo. Perciò sono contento che i miei figli non erano esposti a tale scempio che si fa della religione nelle scuole. Certo: si parla facilmente quando si ha la fortuna di conoscere una parrocchia, una comunità, un parroco “come si deve”. Ma invito tutti alla riflessione: volete veramente “l’ora di religione” solo per poter dire che “la chiesa” è presente nelle scuole pubbliche senza valutare la qualità di questa presenza?

Dunque, qui lo dico, sapendo che mi esporrò ad aggressioni di vario tipo: sono contrario all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche. Non sono più i tempi. C’è bisogno di altre vie, di nuovo coraggio, di nuova identità. Una famiglia, per esempio, che educa i suoi figli all’interno di una comunità che segue la vita religiosa e liturgica secondo il rito straordinario non può che alzare le spalle - tanto non avrebbe voluto che i suoi figli partecipano a qualcosa che non è né carne né pesce.

Raffaella ha detto...

Si', il punto e' esattamente questo: la qualita' dell'insegnamento.
Come ho gia' scritto nel post sui link ai vari articoli, nemmeno io sapevo della faccenda dei crediti (come la Scaraffia del resto).
Nel mio percorso scolastico ho avuto tutte le esperienze: ottimo l'insegnamento alle elementari (c'era il nostro vecchio parroco), cosi' e cosi' alle medie (c'era una suora laica), pessimo nei primi due anni delle superiori (c'era un giovane prof. e parlavamo di tutto tranne che di religione), buono negli altri tre anni (c'era un frate francescano).
Forse varrebbe la pena riflettere sul contenuto e non tanto sui crediti.
R.

Anonimo ha detto...

Concordo con Raffaella e Seraphicus sulla qualità dell'insegnamento della Religione quale focus da attenzionare.
Non concordo con l'espressione seguente di Seraphicus:"Non vedo alcun riconoscimento della dignità dell’insegnamento di religione equiparandolo a un corso di cucina, di equitazione o a un’altra qualsivoglia attività intra- o extrascolastica."
E' una impostazione particolare perchè parte dalla dignità della religione per finire al rifiuto di una equiparazione: si potrebbe dire (sto esagerando):di buone intenzioni è lastricata la strada che porta all'inferno!
Riconoscere la dignità della Religione significa essere cosciente che la fede produce cultura ma anche che la Religione ha pure una dimensione sociale e pubblica.
E poi la cultura religiosa è alle origini della nostra civiltà: considerato quello che accade in Europa circa le radici cristiane, dovremmo avere un atteggiamento più dinamico nei confronti del laicismo.
Piero