domenica 8 novembre 2009

I libri su Papa Paolo VI: da Antonio Acerbi ad Andrea Tornielli (Paolo Vian per l'Osservatore Romano)


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Domenica 8 novembre Benedetto XVI a Brescia e a Concesio, diciassettesima visita pastorale in Italia

Quella gioia capace di riempire il cuore dell'uomo

di Paolo VIan

"Gli antichi, quando finiva un periodo di pace, aprivano il tempio di Giano. Oggi, al termine di un pontificato, dovremmo aprire gli archivi". Le parole iniziali della prefazione di Luigi Mezzadri al volume di Antonio Fappani e Franco Molinari dedicato a Giovanni Battista Montini giovane (1979) indicavano l'avvio, trent'anni fa, di una fase nuova della riflessione storica sul pontificato montiniano. Il volume, in verità un po' frettoloso, può essere assunto a spartiacque della storiografia sulla figura di Montini, al di là dei suoi meriti e demeriti. Anche perché l'operazione destò allora un certo sconcerto per l'uso a dir poco disinvolto di documenti ancora riservati, come la lettera di Montini al vescovo di Brescia Giacinto Gaggia, del 19 marzo 1933, a proposito delle sue dimissioni dall'incarico di assistente centrale della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), dovute all'implacabile e congiunta "avversità" di alcuni gesuiti romani e del cardinale vicario di Roma Francesco Marchetti Selvaggiani.
La produzione biografica precedente - spesso venata da tentazioni più o meno scopertamente panegiristiche o animata da intenti meramente informativi (da Fernando Bea a Giovanni Scantamburlo) - e le analisi a caldo e di parte durante gli anni del pontificato (come i noti e certo non benevoli volumi di Carlo Falconi) lasciavano dunque spazio dalla fine degli anni Settanta a ricostruzioni più serie e documentate, più meditate e complete, soprattutto più capaci di comprendere, ora che l'azione terrena del protagonista si era conclusa, il significato della figura che rappresentavano. Del resto, già pochi mesi dopo la morte del Papa bresciano, aveva visto la luce un fondamentale e rigoroso volume bio-bibliografico, in preparazione da tempo ed edito dall'Istituto della Enciclopedia Italiana (Anni e opere di Paolo VI, 1978), base tuttora indispensabile per gli storici che scriveranno la biografia di Montini.
Poco più tardi, nel 1979, a Brescia muoveva i suoi primi passi quell'Istituto Paolo VI che nei trent'anni successivi avrebbe svolto una funzione decisiva (e per il futuro determinante) nella raccolta di documenti, nella pubblicazione di carteggi - primo fra tutti, per importanza, quello di Montini con i familiari, edito criticamente e sontuosamente annotato nel 1986, preceduto da quello con Angelo Giuseppe Roncalli, 1982, e presto seguito da quelli con Mariano Rampolla del Tindaro, 1990, Giuseppe De Luca, 1992, Paolo Caresana, 1998, Andrea Trebeschi, 2002) - e di scritti, dai quattro monumentali volumi dei Discorsi e scritti milanesi (1997-1998) a quelli del periodo fucino (2004) e ai coevi commenti alle lettere paoline (2003).
Ma importante è stato l'istituto bresciano anche nella promozione di colloqui internazionali, giornate di studio, simposi, nella compilazione di regesti di documenti e cronologie (come quella, straordinariamente accurata, dell'episcopato milanese, edita nel 2002). Così chi oggi si metta a lavorare su Montini trova un campo già ampiamente dissodato. Ancora l'istituto, nel 1981, diede alle stampe un corposo Elenchus bibliographicus su Paolo VI e sul Vaticano ii. A quasi trent'anni quel volume meriterebbe un aggiornamento perché, anche solo su Montini, la letteratura storica è proliferata, come risulta dai complementi semestralmente pubblicati sul "Notiziario" dell'istituto.
Per limitarsi all'Italia non mancano biografie, alcune molto felici, da quella di Antonio Acerbi (Paolo VI, il papa che baciò la terra, 1997) alle più recenti di Giselda Adornato, l'autrice della ricordata cronologia dell'episcopato milanese (Paolo VI. Il coraggio della modernità, 2008), e di Cristina Siccardi (Paolo VI, il papa della luce, 2008); mentre fra quelle in altre lingue non si può dimenticare l'impegnativa, ma non sempre attendibile, ricostruzione di Peter Hebblethwaite (Paul vi. The first modern Pope, 1993).
A un genere diverso, ma con titoli particolari per essere letto con molta attenzione, appartiene poi il volume di Pasquale Macchi, segretario di Montini (Paolo VI nella sua parola, 2001), mentre alla ricostruzione letteraria si ricollega Adesso viene la notte di Ferruccio Parazzoli (2008), centrato sulla tragedia di Aldo Moro e sul dramma vissuto da Paolo VI negli estremi mesi della sua vita. Basata su pazienti ricerche d'archivio - soprattutto in quello storico diocesano di Milano, ancora in buona parte inesplorato - è poi l'originale monografia di Eliana Versace intitolata Montini e l'apertura a sinistra. Il falso mito del "vescovo progressista" (2007), mentre non mancano alcune antologie, tra le quali Carità intellettuale (2005) raccoglie testi di quasi un sessantennio, impressionanti per la coerenza anche stilistica.
Insomma, su un uomo schivo e non incline a rivelarsi facilmente, il lettore e lo studioso hanno ormai a disposizione un'abbondante messe di documenti, ricostruzioni e interpretazioni. A questa si aggiunge ora una voluminosa biografia di Montini (Andrea Tornielli, Paolo VI. L'audacia di un papa, 2009), dovuta alla penna alacre del vaticanista del quotidiano milanese "il Giornale", prolifico autore di svariati volumi, fra i quali una biografia dedicata a Pio xii (2007) e un rapido profilo di Montini (Paolo VI. Il timoniere del Concilio, 2003). Se Benedetto xv è, per lo storico John Pollard, un Papa "sconosciuto", Montini è, per il giornalista, dimenticato e incompreso, se non frainteso. Dimenticato perché quasi schiacciato fra il pontificato molto popolare del Papa "buono", Giovanni xxiii, e quello, cronologicamente lunghissimo e mediaticamente iper-rappresentato, di Giovanni Paolo II.
Papa frainteso, poi, e criticato sia da sinistra che da destra. "Da quanti gli imputavano (e gli imputano) di aver tarpato le ali del concilio, imbottigliandone le speranze e frenandone gli slanci. E da quanti gli attribuivano (e gli attribuiscono) la responsabilità della crisi della Chiesa, degli abusi liturgici, dell'incertezza sulla dottrina, dell'imponente emorragia di sacerdoti che ha caratterizzato gli anni difficili del postconcilio. Frainteso in molti casi proprio dai suoi amici, da coloro che gli erano più vicini, da quanti hanno trasformato il dialogo da strumento per l'annuncio e la testimonianza evangelica a fine ultimo da perseguire dimenticando la propria identità, arrivando a confondersi e ad approvare indistintamente scelte che con la fede erano in aperto contrasto. Frainteso da quanti hanno trasformato la "scelta religiosa" [...] in un manifesto dell'anonimato" che ha rischiato di portare al dissolvimento della presenza cristiana nella società.
Papa frainteso, ancora, da quanti - entusiasti o costernati - hanno visto nel Vaticano ii l'inizio di un'era assolutamente nuova, di totale rottura col passato, e da quanti, dopo averlo ammirato per la sua "apertura" al mondo, lo crocifissero senza pietà al momento della pubblicazione dell'Humanae vitae (1968), "il documento che ha segnato il massimo isolamento" di Montini, ma che pure rappresentò la sua lucidissima intuizione sulle derive di una tecnica applicata all'ambito della riproduzione umana e, al tempo stesso, il suo coraggio: non ebbe paura e seppe soffrire da solo, mentre l'opinione pubblica, all'esterno ma soprattutto all'interno della Chiesa, si sollevava contro di lui. Come è stato sottolineato da un convegno sull'ultima enciclica di Paolo VI, organizzato nel 2008 dalla Pontificia università lateranense, del quale si attendono gli atti.
Sulla base di studi storici ormai numerosi, la biografia vuole sgombrare il campo da questi clichés paradossalmente convergenti e concordemente falsificanti: vescovo "rosso", "prigioniero della minoranza conciliare", Papa "amletico", "Paolo mesto" non sono solo formule senza fondamento ma finiscono per impedire di cogliere la bellezza di una vita straordinariamente coerente e lineare. Quasi come quella del suo predecessore ambrosiano del Seicento, che "come un ruscello (...) scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume". Oltre che alla celebre immagine manzoniana si può ricorrere anche al giudizio di un contemporaneo. La coerenza intimamente lineare della vita di Montini era stata colta infatti dalla grande intelligenza di don Giuseppe De Luca quando, scrivendo proprio all'allora pro-segretario di Stato per gli Affari Ecclesiastici Ordinari il 22 marzo 1953, icasticamente affermò: "Sei stato e sei il sacerdote d'una navigazione e d'una avventura: vorrei che tutti se ne avvedessero domani, non per la tua gloria, ché sei troppo intelligente per seguirla e troppo cristiano per tollerarne anche soltanto un'ombra, ma per la gloria del Signore a cui serviamo a iuventute nostra; e l'onore di questa Chiesa di Roma (...)".
E questa coerenza, questa unica "navigazione" e "avventura", Tornielli cerca di illuminare, ripercorrendo in particolare la vita di Montini prima del pontificato (cui dedica dieci dei diciotto capitoli del volume), nella convinzione, peraltro diffusa, che si tratti del "periodo meno esplorato", soprattutto dagli inizi degli anni Quaranta alla nomina a Milano. Il viaggio - che fa ricorso anche a documenti di archivi personali (come quelli di Eugène Tisserant, Alberto Castelli, Angelo Dell'Acqua, Enrico Pietro Galeazzi, Giulio Andreotti) e a testimonianze riservate la cui origine è invariabilmente celata dalla circonlocuzione "memoriale, copia in possesso dell'autore" - parte quindi dalle radici familiari, da quel "regno delle madri" che è sempre determinante nella vita di chiunque. Nel caso di Montini, un cattolicesimo socialmente impegnato, senza nostalgie temporalistiche, in cui la profonda religiosità si coniuga a sentimenti risorgimentali di amor di patria allora non comunemente diffusi fra i cattolici italiani (la nonna paterna di Battista, Francesca Buffali, fu pubblicamente elogiata dal garibaldino Nino Bixio per l'aiuto prestato ai feriti nella seconda guerra d'indipendenza).
L'esempio del padre, Giorgio, giornalista e deputato popolare di spirito antifascista ("a lui - confidò in seguito il Papa a Jean Guitton - debbo il non preferire mai la vita alle ragioni della vita"), poi l'incontro con l'oratoriano Giulio Bevilacqua, con la sua sensibilità alla dottrina sociale cristiana di stampo lovaniense ma al tempo stesso alla liturgia come scuola e alimento di vita, segnano sin dall'inizio il "percorso atipico" del giovane Montini, prete senza passare per il seminario, diplomatico che trascorre solo pochi mesi in Polonia, curiale ma con una passione per la "carità intellettuale" nella formazione dei giovani universitari, "ministro" fedele di Pio xi e Pio xii al cui servizio Montini - scrisse ancora De Luca il 9 gennaio 1952 - fece dell'obbedienza al Papa "un atto d'intelligenza e di tenerezza".
In questo cammino lineare la grande svolta è senza dubbio la nomina ad arcivescovo di Milano (1 novembre 1954). Pagine efficaci del volume sono dedicate a ricostruire i possibili retroscena di quella promozione, che fu anche una rimozione e un allontanamento, e a mostrare le diverse cause che mossero il "partito romano" all'offensiva finale contro Montini. Ma l'episcopato milanese fu anche l'esperienza che preparò e maturò Montini per il pontificato, l'incontro con la modernità in una metropoli che ne era allora il simbolo, fra sviluppo tecnologico e industriale, disaffezione e lontananza religiosa, disagio sociale. A questo mondo - "tutto è formidabile, tutto sproporzionato alle mie forze, tutto esigente una vivacità di spirito, una resistenza di attività, una santità di parola e di vita, che supera la mia capacità, e converte in assillo interiore il poco che faccio, il troppo che non faccio", confida ad Angelo Dell'Acqua il 25 marzo 1955 - Montini si rivolge con la grande "Missione" del 1957, una prova generale dello sforzo evangelizzatore e missionario del quindicennio pontificale.
Per il pontificato, anche Tornielli, come altri, non crede a una divisione in due periodi, secondo una vulgata largamente accreditata, "il primo, quello dell'apertura e della speranza, il secondo, quello della chiusura e del ripiegamento", assumendone a crinale il 1968, l'anno dell'Humanae vitae e del Credo del popolo di Dio, ma anche della rivolta giovanile e della contestazione. In realtà, troppi sono gli elementi di profonda continuità che smentiscono questa superficiale ricostruzione. Se una bipartizione ha un senso, essa va piuttosto individuata, secondo l'autore, "nel passaggio da un'idea di riformismo legata al cambiamento degli organigrammi e delle strutture a una percezione sempre più chiara, nella drammaticità del contesto storico, della necessità della testimonianza personale e dell'urgenza dell'evangelizzazione".
E di gesti, di quei "gesti simbolici" di cui Papa Montini secondo il cardinale Johannes Willebrands aveva il genio, è punteggiato il pontificato, al di là ovviamente della guida e dell'applicazione del Vaticano ii: dalla scelta (assolutamente nuova) dei viaggi apostolici e delle loro mete allo straordinario inginocchiarsi, il 14 dicembre 1975, ai piedi del metropolita Melitone di Calcedonia a capo della delegazione del Patriarcato di Costantinopoli; dall'implorante lettera alle Brigate rosse che detenevano Aldo Moro (21 aprile 1978) all'ultima uscita, già febbricitante, il 1 agosto 1978, alle Frattocchie, per recarsi sulla tomba di Giuseppe Pizzardo, che lo aveva seguito nei suoi primi passi in Segreteria di Stato ma che pure aveva avuto un ruolo non secondario nelle dimissioni di Montini dalla Fuci nel 1933 e nel suo allontanamento da Roma nel 1954. Un gesto di gratitudine ma anche, nell'interpretazione accreditata di chi allora era vicinissimo al Papa, la volontà di "togliere qualsiasi cosa ci fosse stata nella sua anima, nel suo cuore, verso il defunto cardinal Pizzardo", per fare ormai prevalere solo sentimenti di riconoscenza, venerazione e affetto.
Nella delicatezza magnanima di questo estremo gesto vi è tutto Montini. E al termine del volume si pensa proprio che Paolo VI, come il servo sofferente di Isaia, non ha mai spezzato la canna incrinata, non ha mai spento il lucignolo fumigante. Proprio come la figura intravista dal profeta, Montini ha conosciuto, forse più di ogni altro Papa del Novecento, il ludibrio e l'oltraggio, al punto che la "sofferenza in solitudine" può essere assunta a "vera cifra" del suo pontificato.
Ma, immerso nel dolore della Passione, Paolo VI è stato forse il Papa anche più prossimo alla gioia della Resurrezione, con quella esortazione apostolica Gaudete in Domino (9 maggio 1975), pubblicata nel corso dell'Anno santo, che è l'unico documento papale esclusivamente dedicato alla gioia cristiana. Se la "società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere", essa "difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d'altronde. È spirituale. Il denaro, le comodità, l'igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti". Allora, come il suo Bernanos, Paolo VI invita tutti alle sorgenti della gioia cristiana, "perché la gioia di essere cristiano, strettamente unito alla Chiesa, "nel Cristo", in stato di grazia con Dio, è davvero capace di riempire il cuore dell'uomo".

(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2009)

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