sabato 7 novembre 2009
Ratzinger e Montini, nelle parole e nei gesti l’affinità tra due «maestri» (Roncalli)
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Nelle parole e nei gesti l’affinità tra due «maestri»
Una sintonia particolare unisce Ratzinger e Montini in un legame la cui storia inizia proprio durante il Vaticano II
DI MARCO RONCALLI
Lo notavamo già il 6 agosto 2005 sulla prima pagina di questo giornale: quello che unisce le persone di Giovanni Battista Montini e di Joseph Ratzinger, due intellettuali arrivati sulla tolda di Pietro, è un legame particolare. E spiega più d’una ragione della visita papale a Brescia e a Concesio. Una presenza ricca di significati, quella di Benedetto XVI, che si lega saldamente al ricordo del Papa timoniere del Concilio e del confronto tra Chiesa e mondo contemporaneo. Un ricordo che ad oltre trent’anni dalla morte, continua ad essere tradotto in tanti modi: sintonia e comunione, riconoscenza e affetto, convergenza di idee nell’esercizio del ministero petrino, affinità di impostazioni nel dialogo con la cultura laica e nella domanda di maggior vitalità per la testimonianza cristiana.
Certo non mancano differenze e stili diversi, ma gli accostamenti più il tempo passa, più sono spontanei e convincenti: anche nei testi magisteriali (e basterebbe ricordare nella cornice di quel razionalismo teologico ratzingeriano che reinterpreta il magistero montiniano, la riattualizzazione della Populorum progressio nella recente Caritas in veritate).
Se poi è vero che, come ha ricordato il vescovo di Brescia Luciano Monari la visita conferma il cammino di una Chiesa locale che non vuole voltare le spalle al mistero trascendente di Dio, né chiudere le orecchie all’ascolto del Vangelo declamato con la voce di Pietro, e se è vero che l’arrivo di Benedetto XVI a Brescia finisce per dar risalto a tutto un patrimonio di fede cristiana e di vita civile che la diocesi deve non solo custodire nella memoria, ma approfondire e valorizzare per la sua crescita spirituale, associando i percorsi di Paolo VI e Benedetto XVI balzano agli occhi alcuni dati.
Come non ricordare che fu proprio Montini nel marzo 1977 a nominare Joseph Ratzinger arcivescovo di Monaco e Frisinga dopo la morte di Julius Döpfner e, tre mesi dopo, ad onorarlo con la porpora nel suo ultimo concistoro?
Come dimenticare l’apprezzamento di Paolo VI per il lavoro del giovane teologo tedesco, prima consulente ai lavori del Vaticano II, poi acuto osservatore del travaglio postconciliare, membro della commissione internazionale, tanto che nel 1975 l’aveva chiamato a predicare gli esercizi spirituali in Vaticano (anche se, non abbastanza sicuro del suo italiano e del suo francese, Ratzinger aveva declinato l’invito)?
Qualche cenno meritano anche i loro incontri, favoriti da diverse occasioni. Come la visita «ad limina apostolorum» dei vescovi bavaresi il 13 ottobre 1977, quando papa Montini rievocò con Ratzinger la sua presenza a Monaco da giovane sacerdote, città nella quale dapprima s’era trovato un po’ disorientato, ma aveva poi aveva trovato l’aiuto di tanta gente. Oppure la Messa in San Pietro per l’ottantesimo di Paolo VI, nella quale Ratzinger – come lui stesso confidò – fu colpito dal riferimento del Papa al verso del XXXII° Canto del Purgatorio in cui Dante parla di «quella Roma onde Cristo è romano»: parole che lo scossero per la loro rilevanza simbolica. E sempre in tema di simboli, sarà la collana di fonti patristiche Sources Chrétiennes a ricevere domani il Premio internazionale dell’Istituto Paolo VI. Benedetto XVI consegnerà il prestigioso riconoscimento per la collezione storica che è l’emblema della riscoperta delle fonti cristiane, durante l’inaugurazione della nuova sede dell’Istituto voluta a Concesio. Un gesto papale che torna ad esprimere anche in questo caso una vicinanza che ha radici lontane.
Era il 1980 e l’allora cardinale Ratzinger, insieme al cardinale Paul Poupard, già si trovava a presiedere il primo dei Colloqui internazionali promossi dall’Istituto; quello svoltosi a Roma dal 24 al 26 ottobre sull’enciclica Ecclesiam suam.
© Copyright Avvenire, 7 novembre 2009
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