sabato 7 novembre 2009
Crocifisso sfrattato, quando si offende il senso comune (Piero Ostellino)
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Quando si offende il senso comune
Piero Ostellino
L’ iconoclastia — la negazione del valore simbolico delle rappresentazioni religiose e la loro distruzione — di cui si è fatta interprete la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con la sentenza contro la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, è una forma rovesciata di religiosità; giustificata da una concezione strettamente razionalistica e neo-positivistica del Diritto.
Che sottovaluta, o addirittura nega, che a fondamento dello stesso Diritto ci sia la tradizione, intrisa di passioni, credenze, valori accumulatisi nel tempo; peculiarità, questa, invece, del Diritto anglosassone, così fortemente impregnato di religiosità, cioè di quella fusione fra sentimento religioso «plurimo» e tradizione civile, che connota la nostra civiltà in senso democratico-liberale.
La rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici non offende la religione — che la Corte, peraltro, non mette giustamente in discussione — ma il senso comune.
Non il buonsenso, che è ideologico, culturalmente e storicamente associabile a un certo «pre-giudizio» sociale; ma il senso comune, che è empirico, fattuale, privo di ogni connotazione ideologica, compresa quella religiosa, e sociale.
Il crocefisso è una testimonianza storica che, in quanto tale, non dovrebbe offendere nessuno proprio perché a-confessionale; la sua rimozione minaccia, invece, proprio di offendere il senso comune perché è a-storica, se non anti- storica.
Assimilarlo alla religione — come ha fatto la Corte di Strasburgo e fanno certi nostri laicisti — è confondere la religione con la Chiesa come Istituzione secolare; non distinguere fra teocrazia — che è la sovranità della religione che si fa governo attraverso il primato della Chiesa sullo Stato — e democrazia, la sovranità popolare, che non è negazione della religione, ma assegna alla coscienza individuale la scelta dell’appartenenza religiosa e, al tempo stesso, separa questa dal concetto di cittadinanza, «indifferente» all’appartenenza religiosa, grazie al primato dello Stato sulla Chiesa.
È, dunque, sotto questo profilo che appare del tutto insensata l’affermazione della Corte di Strasburgo che la presenza del crocifisso in un’aula scolastica offenderebbe la sensibilità religiosa degli alunni non cristiani e delle loro famiglie. La religione — che lo Stato moderno ha tenuto fuori dalla propria dimensione politica — rientra dalla finestra sotto altra forma; come iconoclastia giuridica che fa violenza al principio di «indifferenza », negandolo, cioè al fondamento stesso della separazione fra Stato e Chiesa e della laicità del primo. Con la sentenza di Strasburgo è nata una nuova forma di religione, in nome del rifiuto della religione come storia, prima ancora che come concezione trascendentale dell’esistenza.
Un pasticciaccio brutto che non meriterebbe neppure d’essere preso sul serio se non fosse il sintomo di un rigurgito collettivista e dirigista che ricorda troppo da vicino i totalitarismi del «secolo breve » per non suscitare qualche giustificata inquietudine.
© Copyright Corriere della sera, 7 novembre 2009 consultabile online anche qui.
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