venerdì 6 novembre 2009

Il legame fra Benedetto XVI e Paolo VI (Lucio Brunelli)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il legame fra Benedetto XVI e Paolo VI

Lucio Brunelli

Non è un atto formale, un semplice dovere istituzionale, l'omaggio che Benedetto XVI si appresta a rendere a Paolo VI a Brescia. I legami ideali che uniscono questi due Papi sono innumerevoli e non è azzardato sostenere che la consonanza fra Ratzinger e Montini sia più immediata e profonda di quella che pure si stabilì fra Giovanni Paolo II e l'ex Prefetto della Congregazione della dottrina della fede.
Benedetto XVI è stato uno degli ultimi cardinali «montiniani». Ricevette la berretta rossa da Paolo VI nell'ultimo concistoro del suo pontificato (1977).
Lui e l'americano Baum sono stati inoltre gli ultimi cardinali creati da Paolo VI a partecipare a un conclave (2005).
Nei prossimi conclavi, per motivi anagrafici, non siederà più nessun montiniano. Ma non sono solo i fili generazionali a legare il Papa bavarese e il Papa bresciano. Molte altre cose li accomunano. A cominciare dai temperamenti. Sobrietà e asciuttezza. Entrambi poco amanti della ribalta, quasi timidi. Discrezione e delicatezza: virtù naturali, eredità di un dna familiare. Merce rara e preziosa ai nostri tempi, grossolani, dove regna l'obbligo dell'apparire e tutti blaterano e strillano, incapaci di ascoltare l'altro e di portare pazienza.
Ratzinger e Montini, due raffinati intellettuali prestati alla cura d'anime. Il primo, teologo e professore universitario, la cui fama era arrivata presto sino a Roma. Il secondo, assistente spirituale della Fuci, l'élite universitaria cattolica, e da sempre appassionato di filosofia ed arte. Entrambi amanti dei padri della Chiesa, Sant'Agostino in testa. Partono da una riscoperta viva della Tradizione per approcciare in modo nuovo la modernità. Il grande rovello è come sanare il divorzio tra fede e ragione, anzi tra fede e vita. Nessuno dei due ha modo di vivere, in gioventù, l'esperienza pastorale del semplice parroco. Ratzinger subito proiettato negli studi e nell'insegnamento. Montini chiamato a operare con successo nel servizio diplomatico della Santa Sede. Poi, in età matura, d'improvviso, sono precettati tutti e due alla guida di importanti diocesi: Monaco e Milano, prima del grande balzo a Roma, vescovi della Chiesa nata sul sangue dei santi
martiri Pietro e Paolo.
Moltissimi tratti umani ed esistenziali in comune. Una consonanza perfetta nel giudizio storico sul Concilio ecumenico Vaticano II e! sulla sua tormentata applicazione. Il giovane Ratzinger è uno dei teologi del rinnovamento. La grande assise voluta dal beato Papa Giovanni XXIII sembra condensare e realizzare tutti i sogni e le attese di una Chiesa «nuova»: finalmente più vicina agli uomini del proprio tempo, liberata da inutili orpelli, aperta al dialogo ecumenico, Chiesa della misericordia e della testimonianza prima che Chiesa delle condanne e dei «no». Istanze condivise sia dal teologo tedesco sia dal vecchio assistente della Fuci.
Ma poi, già nei primi anni Settanta, arrivano le prime delusioni. Abusi liturgici, messa in questione di verità fondamentali del Credo, crisi delle vocazioni sacerdotali, rifiuto dell'autorità del Papa…
Paolo VI sente tradite molte speranze: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio... Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio» (29 giugno del 1972).
Gli stessi pensieri che in quegli anni s'affacciano nelle riflessioni del professor Ratzinger. Nulla a che vedere, naturalmente, con le rozze contestazioni anti-conciliari dei tradizionalisti lefebvriani.
Ma la difesa del vero Concilio da una interpretazione diffusa che lo legge come radicale rottura con la Tradizione. È anche questa assonanza di giudizi e preoccupazioni che spinge Paolo VI il 24 marzo 1977 a nominare Ratzinger arcivescovo di Monaco e pochi mesi dopo, il 27 giugno, a crearlo cardinale.
Il giorno precedente la cerimonia il vescovo Marcel Lefebvre aveva sfidato il Papa ordinando dei sacerdoti senza il permesso della Sede apostolica.
Nell'omelia Paolo VI gli rivolge un appello accorato alla riconciliazione e all'unità. Nello stesso tempo condanna con parole severe sia gli irrigidimenti integristi sia gli sbracamenti progressisti.
«Ai contestatori che, in nome di una mal compresa libertà creativa, hanno portato tanto danno alla Chiesa con le loro improvvisazioni, banalità, leggerezze – e perfino con qualche deplorevole profanazione – noi chiediamo severamente di attenersi alla norma stabilita: se questa non venisse rispettata, ne potrebbe andare di mezzo l'essenza stessa del dogma per non dire della disciplina ecclesiastica…».
Presentando i quattro nuovi porporati (gli altri sono Gantin, Benelli e Ciappi) Paolo VI dedica queste parole a Ratzinger: «Diamo attestato di questa fedeltà anche a Lei, cardinale Ratzinger, il cui alto magistero teologico in prestigiose cattedre universitarie della sua Germania e in numerose e valide pubblicazioni, ha fatto vedere come la ricerca teologica – nella via maestra della fides quaerens intellectum – non possa e non debba andare mai disgiunta dalla profonda, libera, creatrice adesione al Magistero che autenticamente interpreta e proclama la Parola di Dio».
Benedetto XVI ha reso più volte omaggio, da Papa, al suo grande predecessore: «Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole, appare sempre più grande, direi quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l'Ass! ise conc iliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post-Concilio» (3 agosto 2008).
Sarebbe molto riduttivo, però, vedere il tratto d'unione fra Ratzinger e Montini in una sorta di «pentitismo» cattolico postconciliare. Ha detto bene invece il cardinale bresciano Giovanni Battista Re: più al fondo e sopra ogni altra cosa, a legarli, è la profonda umanità del loro amore a Cristo. Loro, due intellettuali, testimoni e difensori della fede dei semplici. Ricevendo in Vaticano i membri dell'Istituto Paolo VI, il 3 marzo 2007, Papa Ratzinger diceva: «In effetti, il segreto dell'azione pastorale che Paolo VI svolse con instancabile dedizione, adottando talora decisioni difficili e impopolari, sta proprio nel suo amore per Cristo: amore che vibra con espressioni toccanti in tutti i suoi insegnamenti. Il suo animo di Pastore era tutto preso da una tensione missionaria alimentata da sincero desiderio di dialogo con l'umanità.
Il suo invito profetico, più volte riproposto, a rinnovare il mondo travagliato da inquietudini e violenze mediante "la civiltà dell'amore", nasceva da un totale suo affidamento a Gesù, Redentore dell'uomo».

© Copyright Eco di Bergamo, 6 novembre 2009

3 commenti:

sonny ha detto...

Leggo: "Entrambi poco amanti della ribalta, quasi timidi. Discrezione e delicatezza: virtù naturali, eredità di un dna familiare. Merce rara e preziosa ai nostri tempi, grossolani, dove regna l'obbligo dell'apparire e tutti blaterano e strillano, incapaci di ascoltare l'altro e di portare pazienza."

Sottoscrivo con bollo e ceralacca.

mariateresa ha detto...

e io ti seguo.

euge ha detto...

Mi associo :-))))