giovedì 13 novembre 2008
Immagine sacra e liturgia della Parola: Il linguaggio dei gesti e dei segni non teme l'astratto (Osservatore Romano)
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Immagine sacra e liturgia della Parola
Il linguaggio dei gesti e dei segni non teme l'astratto
di Timothy Verdon
Un'idea antica oggi ribadita con enfasi dal magistero riguarda l'arte al servizio della Parola di Dio nel contesto della messa. L'attualità di questo argomento emerge sia nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 2005 a cura di una commissione speciale istituita da Giovanni Paolo ii e presieduta dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, sia nella esortazione apostolica Sacramentum caritatis dello stesso Benedetto XVI, del 2007, dove il Pontefice risponde a 50 proposizioni approvate dal xi Sinodo ordinario dei vescovi svoltosi in Vaticano dal 3 al 23 ottobre 2005 sull'Eucaristia.
Il Compendio, al capitolo dedicato a "La celebrazione sacramentale del mistero pasquale", ricorda che le immagini cristiane "proclamano lo stesso messaggio evangelico che la sacra Scrittura trasmette attraverso la parola, e aiutano a risvegliare e a nutrire la fede dei credenti" - asserto, questo, ulteriormente sottolineato nell'introduzione a firma del Pontefice, dove si afferma semplicemente che "anche l'immagine è predicazione evangelica" e che "gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza". Il Papa nota che questo ricco patrimonio storico deve fare capire "come oggi più che mai, nella civiltà dell'immagine, l'immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico".
La Sacramentum caritatis sviluppa poi queste idee, nella seconda delle sue tre parti, "Eucaristia, mistero da celebrare", al capitolo Ars celebrandi, nel paragrafo intitolato "Arte al servizio della celebrazione", dove - dopo aver esplicitato il carattere artistico dei segni e riti della Chiesa, si afferma che il "legame profondo tra la bellezza e la liturgia deve farci considerare con attenzione tutte le espressioni artistiche poste al servizio della celebrazione", a partire dall'architettura, dai paramenti e dai vasi sacri. Lo stesso paragrafo insiste sul rapporto tra iconografia religiosa e mistagogia sacramentale, e più avanti un altro paragrafo, dedicato esplicitamente alla catechesi mistagogica, sottolinea l'urgente bisogno "in un'epoca fortemente tecnicizzata come l'attuale, in cui si rischia di perdere la capacità percettiva in relazione (...) ai simboli", di "risvegliare ed educare la sensibilità dei fedeli per il linguaggio dei segni e dei gesti che, uniti alla parola, costituiscono il rito". Queste osservazioni suggeriscono le ragioni di fondo della scelta della Conferenza episcopale italiana (Cei) di arricchire di immagini la nuova edizione tipica del lezionario domenicale e festivo pubblicata in tre volumi dalla Libreria Editrice Vaticana sul finire del 2007 e corredata di ben ottantasette riproduzioni d'opere d'arte più il disegno usato in copertina, tutte di noti maestri italiani d'oggi riprodotte a colore a pagina intera su carta laminata opaca. Sul solo piano della veste grafica dell'opera, per non parlare del contributo contenutistico al repertorio d'iconografia sacra, questa eccezionale galleria impreziosisce il lezionario e arricchisce l'esperienza offerta a tutti i ministri del culto e lettori che, nelle domeniche e feste dell'anno cristiano, si troveranno a proclamare la Parola di Dio con, davanti agli occhi, queste affascinanti immagini. La nuova edizione, in funzione a dicembre 2007, sarà obbligatoria dal 28 novembre 2010.
L'idea di abbinare i testi ispirati a immagini artistiche è molto antica: esiste, in un certo senso, da quando la Chiesa ha cominciato a raccogliere in volumi particolari le letture assegnate ai diversi tempi dell'anno. Queste raccolte appaiono nei secoli vi-vii al servizio di comunità già da tempo abituate a vedere nelle loro aule liturgiche immagini relative a eventi e personaggi scritturistici: erano questi infatti i secoli d'oro dell'arte musiva a Roma e a Ravenna. Nel medioevo poi si creeranno veri lezionari illustrati, "evangeliari", "epistolari" e "graduali" con miniature narranti gli specifici testi riportati, nonché opere quali i rotoli dell'Exultet e i grandi antifonari del tardo medioevo. Si può dire che da 1500 anni il popolo cristiano recepisce le letture dell'anno liturgico con l'ausilio dell'arte, e questa fa parte ormai del processo d'ascolto da cui scaturiscono la fede e le opere dei credenti.
Il nuovo lezionario Cei rientra in questa tradizione, ma con un'insistenza sul contemporaneo inaspettata, addirittura provocatoria, che di fatto ha suscitato polemiche. A differenza di altre pubblicazioni della Chiesa in Italia destinate all'uso universale, che tipicamente vengono arricchite con riproduzioni d'arte sacra del passato, qui c'è solo il presente, come se si volesse obbligare a letture attuali dei testi a cui sono avvicinate le immagini. Si tratta di un'impostazione significativa sul piano ecclesiale oltre che estetico, perché mentre i capolavori della storia dell'arte enfatizzano il carattere storico dello stesso cristianesimo come sistema, l'uso di sole immagini contemporanee implica il rifiuto di ogni storicismo a favore di un afflato a-sistemico, imprevedibile, potenzialmente profetico. La gamma di approcci stilistici nelle opere scelte per il lezionario accentua poi tale impressione d'imprevedibilità, evocando il fluire magmatico della creatività allo stato puro, mentre l'utilizzo quasi esclusivo di opere cartacee - schizzi e disegni, acquerelli e stampe - al posto dei soliti affreschi parietali e pale d'altare suggerisce uno "stile" spirituale senza pretese, umile di fronte al Dio che si comunica in una brezza leggera piuttosto che nella tempesta.
Le reazioni ostili registrate un po' ovunque all'arte del nuovo lezionario infatti riguardano queste scelte, quest'impostazione globale dell'aspetto visivo dell'opera. Riflettono cioè un disagio non in primo luogo estetico, ma concettuale, una difficoltà con l'idea di una parola proteica richiedente un ascolto duttile, disponibile alla metanoia. Pur sapendo che le letture proclamate nella liturgia chiamano a un riassetto interiore aperto allo sconvolgimento delle nostre "certezze", pretendiamo dall'arte che accompagna tale percorso una fissità formale: al posto del rischio di una ricerca faticosa vogliamo la sicurezza illusoria ma comoda del già collaudato, scordando che anche Giotto e Michelangelo rappresentavano, al loro tempo, una rottura col passato.
L'opera forse più tradizionale della collezione, un bellissimo acquerello di Stefano di Stasio raffigurante gli apostoli alla discesa dello Spirito Santo - domenica di Pentecoste, messa del giorno, anno A - fa cogliere il paradosso inerente simili pretese. I personaggi sono dipinti con abiti contemporanei e attraverso la finestra vediamo palazzi moderni, ma la definizione prospettica dello spazio, la tenda mossa dal vento e le fiammelle che aleggiano appartengono a un modo di recepire la Scrittura ormai ritenuto arcaico e letteralista. Oggi sappiamo che Atti, 2, 1-11 - il testo stampato a fronte dell'acquerello - parla di vento e di fuoco solo in via allusiva, descrivendo "un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso" e "lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro". Più vicino alla nostra sensibilità infatti è l'Agnello mistico di Mimmo Paladino usato per la copertina dei volumi, che traduce con pochi tratti la visionarietà apocalittica della figura giovannea, o la straordinaria astrazione di Enrico Savelli in tecnica mista e foglio d'oro su cartoncino, accanto al testo di Atti che riassume il discorso kerigmatico con cui Pietro, il giorno di Pentecoste, ricordava la morte di Cristo e che "Dio ora lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte". Savelli divide la sua pagina rettangolare orizzontalmente, imbrattando la parte inferiore di nero al cui cuore vediamo però un riquadro d'oro, quasi un seme prezioso sepolto, da cui nasce una colonna bianca incandescente. Questa forma verticale, allusiva forse al cero pasquale, si alza dal riquadro d'oro sepolto, rompendo l'orizzonte nero di una terra incapace di contenerla per penetrare nel chiarore della parte alta della pagina.
Questo tipo di iconografia allusiva si offre come analogia del processo d'interiorizzazione delle stesse Scritture, il cui senso emerge dal paziente collegarsi tra loro di indizi parziali d'irresistibile fascino. In ogni caso, l'astrazione non può spaventare il cristiano, se Cristo stesso, Verbo umanato, pur nella concretezza del corpo assunto da Maria non esitò a presentarsi in termini lontani da ogni possibilità figurativa, come "via", "verità", "vita" e "luce" degli uomini. Soprattutto nel contesto liturgico, dove l'arte accompagna riti che spingono oltre l'aspetto esterno delle cose, i linguaggi del contemporaneo, tra cui l'astrattismo, sono adatti al mistero vitale che celebriamo.
(©L'Osservatore Romano - 13 novembre 2008)
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