mercoledì 5 novembre 2008
Intervista a Mons. Alain de Raemy, cappellano della Guardia Svizzera Pontificia (Osservatore Romano)
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A colloquio con monsignor Alain de Raemy, cappellano della Guardia Svizzera Pontificia
Un ufficiale in tonaca per la Guardia del Papa
di Nicola Gori
L'ultimo tratto delle mura di Niccolò v all'interno del quartiere svizzero in Vaticano riserva ai visitatori una sorpresa: una piccola chiesa ai più sconosciuta. È la cappella dei Santi Martino e Sebastiano, dal 1568 luogo di culto della Guardia Svizzera Pontificia. Un'opera d'arte e di fede, un punto di incontro e di riferimento dove persone di lingua e di cultura diversa si ritrovano per lodare Dio. A occuparsi del culto è monsignor Alain de Raemy, cappellano degli svizzeri. Egli non si limita a officiare, ma svolge una missione ben più ampia all'interno del Corpo. Infatti, pur essendo inserito a pieno titolo nella gerarchia militare è, allo stesso tempo, un compagno e un amico. È il suo sostegno spirituale ad accompagnare il cammino delle Guardie e a motivare le loro scelte. Abbiamo chiesto a monsignor de Raemy di spiegarci l'origine e l'importanza della chiesa dei Santi Martino e Sebastiano e il ruolo del cappellano nella maturazione umana e spirituale dei giovani militi.
La cappella dei Santi Martino e Sebastiano in Vaticano è sempre stata un luogo di culto riservato agli svizzeri. Può parlarci delle sue origini?
Fu Pio v a volere questa cappella a uso delle Guardie Svizzere giunte al servizio del Papa a Roma nel 1506. La costruzione risale al 1568 sotto la direzione dell'architetto Nanni di Baccio Bigio. Fino ad allora le Guardie Svizzere, tutte provenienti da cantoni di lingua tedesca, si riunivano nella chiesa di Santa Maria della Pietà in Campo Santo Teutonico, dove c'era un altare laterale a loro riservato. Infatti, in quella chiesa si possono vedere ancora gli affreschi raffiguranti un comandante del Corpo. Nonostante Santa Maria in Campo Santo Teutonico non sia più per noi il luogo di riferimento dove riunirci a pregare, quell'altare è rimasto nel cuore delle Guardie, perché si ipotizza che sotto di esso siano state sepolte le 147 vittime sacrificatesi durante il Sacco di Roma. L'attuale cappella dei Santi Martino e Sebastiano, secondo l'intenzione di Pio v, doveva essere dunque un luogo di preghiera strettamente riservato alle Guardie. Nel 1999 l'edificio è stato ampliato e vi è stata aggiunta una tribuna.
Perché la cappella è stata dedicata ai Santi Martino e Sebastiano e non a san Nicola da Flüe, patrono della Svizzera?
La dedicazione della cappella di Pio v a Martino e Sebastiano si deve alla popolarità dei due santi. Il primo, venerato in Europa da molto tempo, era ufficiale dell'esercito romano. Convertitosi ancora durante il suo servizio militare, si ritirò poi a vita ascetica e monastica. Anche san Sebastiano era un ufficiale romano della guardia personale dell'imperatore, poi convertitosi e morto martire. La mancata dedicazione a san Nicola da Flüe (1417-1487) si spiega invece con il fatto che quando venne costruita la cappella non era stato ancora canonizzato. Infatti, fu Pio XII a elevarlo agli onori degli altari, quando gli svizzeri riconobbero che erano stati preservati dalle devastazioni delle guerre mondiali, anche grazie all'intercessione di san Nicola da Flüe, che già in vita era riuscito a salvarli da una guerra civile.
Quando e come viene utilizzata la cappella?
Essa è un luogo di preghiera accessibile facilmente a tutte le guardie che iniziano il servizio quotidiano, in quanto si trova tra il quartiere svizzero e il Portone di bronzo che per essi è un passaggio obbligato. Essendo ubicata sul percorso che le Guardie compiono dalla caserma ai luoghi di servizio, la chiesa rimane aperta giorno e notte perché chi lo desidera possa sostarvi in preghiera. Per quanto riguarda il culto, ogni giorno, eccetto il lunedì, vi celebriamo la messa feriale nel tardo pomeriggio, e due messe domenicali. Anche le suore albertine che si occupano della nostra cucina usano la cappella per recitare tre volte al giorno l'ufficio divino. Oltre che venire utilizzata dalle Guardie, la chiesa ospita anche gruppi di giovani provenienti dalla Svizzera. Accogliamo volentieri i nostri connazionali. Ciò permette di far conoscere il nostro Corpo e di avvicinare altri giovani incentivando il reclutamento.
Cosa rappresenta per una Guardia questa cappella?
La cappella è per noi il simbolo della fede. Le condizioni per diventare Guardia sono precise: fra altro, essere cittadino svizzero - non solo avere il passaporto, ma aver vissuto in Svizzera - ed essere presentato dal parroco, che deve conoscere il giovane richiedente. Chiunque scelga di arruolarsi sa che viene fondamentalmente al servizio del Papa, in un luogo dove la fede fa parte integrante di tutto il servizio. Nonostante la preparazione e le aspettative, al loro arrivo qui, non è detto che le reclute abbiano una fede matura. Questo pone delle sfide al cappellano. Tutti hanno ricevuto l'educazione cattolica fondamentale - battesimo e cresima - però vi sono grandi differenze tra ognuno di loro. In questo senso, la cappella riveste un significato preciso: è un punto di riferimento nuovo che assume importanza nella vita dei giovani svizzeri che lavorano in Vaticano. È anche il luogo naturale dove si incontra Dio e si approfondisce la vocazione, sia essa al matrimonio o al sacerdozio. A questo proposito, devo dire che ogni anno abbiamo in media uno o due giovani che, terminato il servizio nella Guardia, entrano in seminario o in una comunità religiosa. Si può dire che per la Svizzera, la Guardia è il luogo dove nascono o si sviluppano in percentuale, più vocazioni. Nella cappella si possono celebrare anche - con il permesso del parroco di Sant'Anna, nostra parrocchia di riferimento - battesimi e matrimoni di membri della Guardia. Purtroppo, esistono anche delle difficoltà nel rendere la cappella sempre più uno spazio comunitario di preghiera. In primo luogo, perché il ricambio dei nostri ranghi è continuo; tre volte l'anno ci sono nuove reclute e la composizione del Corpo si evolve di continuo. Poi gli orari di servizio sono frammentati e le Guardie non possono ritrovarsi come vorrebbero alla stessa ora.
È positivo secondo lei un ricambio così rapido?
Sì, lo è per due motivi: il ricambio frequente permette da una parte a più giovani la possibilità di vivere questo servizio alla Chiesa, di fare questa esperienza in Vaticano. Un giovane, infatti, può scegliere di venire per due anni e poi riprendere la sua vita professionale o i suoi studi. D'altra parte, il ricambio evita che nel servizio si produca una sorte di routine. Il fatto che ci siano sempre nuove Guardie, per le quali tutto è novità, favorisce un maggior impegno e una maggiore attenzione. Certamente, c'è anche un aspetto negativo, perché ai nuovi arrivati manca l'esperienza. Inoltre, c'è da considerare che i formatori ogni volta devono ricominciare daccapo a istruire le reclute.
Quali sono i compiti del cappellano in un corpo militare così particolare come è quello della Guardia Svizzera Pontificia?
Il cappellano ha un doppio ruolo all'interno del Corpo: è come un parroco che accompagna nel cammino di fede le persone che lavorano qui, come fa ogni sacerdote. In secondo luogo, è integrato nella gerarchia militare, con il grado equiparato di tenente colonnello. Questo dimostra bene come nella Guardia Svizzera si attribuisca un'importanza decisiva alla fede. Il cappellano prende parte quindi a tutte le riunioni degli ufficiali e ha voce in capitolo in tutte le scelte che riguardano il Corpo. È un compito non facile, perché da una parte è partecipe della guida militare del Corpo e dall'altra deve sempre preservare la discrezione voluta dall'accompagnamento spirituale che offre. Si deve fare attenzione a non mescolare i due ambiti. Per far comprendere il mio ruolo, dico sempre che sono un ufficiale che rappresenta l'aspetto della fede. Ma se gli altri ufficiali sono tenuti a valutare e a giudicare meticolosamente i loro sottoposti dal punto di vista militare, il cappellano non è il giudice della fede. Per questo, i giovani non hanno paura di riconoscere con me le loro debolezze e mancanze, perché sanno che il mio compito è di incoraggiarli e di aiutarli a maturare, non di giudicarli.
E qual è il ruolo del cappellano nel momento del reclutamento delle nuove Guardie?
In Svizzera vi sono due persone incaricate di reclutare i giovani: una si trova nella zona di lingua tedesca, l'altra in quella francese. Questi incaricati raccolgono la documentazione necessaria, promuovono dei colloqui con i candidati e preparano un dossier su ogni recluta che poi inviano qui. Il Comandante li trasmette a noi ufficiali per chiederne il parere. Prima dell'arrivo a Roma dei candidati, si svolge in Svizzera un incontro di una giornata al quale partecipano il comandante e il cappellano. Si tratta di un colloquio in comune, non individuale, che ha lo scopo di informare e di spiegare più nel dettaglio le condizioni del futuro lavoro che attende le reclute. Durante il colloquio evidenzio come occorra una forte motivazione per scegliere di voler proteggere il Successore di Pietro, che è poi la ragione principale per cui ci si arruola nella Guardia Svizzera. Allo stesso tempo, comprendo anche quanti vengono per altri motivi, magari perché hanno conosciuto qualcuno che ha raccontato loro di come si è trovato bene durante questa esperienza. C'è da considerare che per uno svizzero mai uscito dal proprio Paese, venire a Roma, al centro della Chiesa, vicino al Papa, è una novità importante. Occorre essere motivati profondamente per poter prestare giuramento davanti a Dio in verità, per essere pronti a dare la vita per il Papa, e per sopportare gli aspetti più difficili della vita come Guardia.
Come sentono e vivono le Guardie il legame spirituale con il Papa?
Questo è quello che chiamo il miracolo di Pietro, perché anche una Guardia che arriva qui con una fede fragile, poco vissuta e non matura, si scopre legata alla persona del Successore di Pietro.
Sia chi ha una fede ben fondata, sia chi ha una fede più debole, sviluppa un legame spirituale profondo con il Papa. Consideriamo anche che le reclute fanno un giuramento solenne al momento dell'ingresso nel Corpo, con il quale promettono di dare la vita per il Pontefice. Per un giovane di 20 anni una promessa del genere è incisiva, anche perché è in genere la prima volta che si impegna totalmente, anima e corpo. Questo fa sì che se qualcuno ha domande o dubbi sul senso e sul significato della fede, il legame con il Papa rimane un elemento di certezza intoccabile e fondamentale. Questo giuramento segna per sempre la loro vita, con tutto ciò che implica.
Lei è responsabile anche della biblioteca del Corpo?
Quale responsabile delle attività culturali, anche la piccola biblioteca della caserma, che conserva molti volumi in varie lingue, rientra sotto il mio dicastero. È uno strumento utile, perché durante le ore di servizio notturno, le Guardie hanno la possibilità di leggere, forse più che mai in tutta la loro vita, essendo loro vietati cellulare, computer e altri oggetti elettronici. Vi sono raccolti volumi provenienti sia da acquisti, sia da donazioni di un benefattore che ogni anno ci offre fondi per comprare libri. Inoltre, la biblioteca si arricchisce anche con i volumi lasciati dalle Guardie che terminano il loro servizio.
(©L'Osservatore Romano - 5 novembre 2008)
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