venerdì 10 aprile 2009

Nella Via Crucis le voci e i volti dei perseguitati (Muolo)


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Nella Via Crucis le voci e i volti dei perseguitati

Stasera al Colosseo la preghiera che ripercorre la Passione con le meditazioni del vescovo indiano Menamparampil

DA ROMA MIMMO MUOLO

Ci sono tutte le sofferenze del mondo nella Via Crucis di questa sera al Colosseo.
Foto­grafate in maniera davvero impres­sionante da monsignor Thomas Me­namparampil, arcivescovo di Guwahati in India, che nelle medita­zioni scritte per l’occasione riecheg­gia anche la tragica esperienza della Chiesa indiana negli ultimi mesi. «Ge­sù continua a soffrire nei suoi disce­poli perseguitati». «Gesù continua ad essere ridicolizzato».
«Cristo è in a­gonia tra di noi e nei nostri tempi». Sì, perché il Cammino della croce, nelle sue 14 stazioni, diventa icona ed em­blema delle mille fragilità umane: sia quelle inflitte dai carnefici, sia quelle patite dalle vittime. Guerre, violenze, corruzione, sfruttamento delle don­ne e dei bambini, conflitti etnici e re­ligiosi, problemi ecologici. Nulla sfug­ge allo sguardo del presule indiano, che meditazione dopo meditazione si fa compagno di strada dei tanti che anche oggi portano la croce sui mar­ciapiedi del mondo.
Tuttavia non è un messaggio dispe­rato, ma anzi di grande speranza, quello che emerge dai testi di monsi­gnor Menamparampil. «Possa l’espe­rienza del dolore e dell’oscurità inte­riore insegnarci la grande verità che in te nulla è perduto, che perfino i no­stri peccati – una volta riconosciuti nel pentimento – servono a uno sco­po, come legna secca nel freddo del­l’inverno ». L’itinerario del dolore salvifico co­mincia fin dalla prima stazione (Ge­sù in agonia nell’orto degli ulivi). E se proprio «il dolore resta una sfida per noi», l’autore delle meditazioni ricor- da che «poiché la sofferenza è entra­ta nella vita umana attraverso il pec­cato », il piano di Dio «ha previsto che l’umanità fosse salvata dal peccato at­traverso la sofferenza». Un ribalta­mento di prospettive che nella se­conda (tradimento di Giuda) e terza (Gesù davanti al Sinedrio) stazione l’arcivescovo di Guwahati applica al­la violenza. «Essa non si sconfigge con altra violenza, ma con una superiore energia spirituale, che si estende agli altri in forma di amore risanante». Questo vale per ogni tipo di conflitto: «Tra persone, gruppi etnici e religio­si, nazioni, interessi economici e po­litici ». «Una risposta gentile calma la collera».
Il tema della quarta stazione (Gesù rinnegato da Pietro) offre al presule indiano la possibilità di riflettere tra fede professata e vita vissuta. Di qui la sua invocazione: «Rendici capaci di essere saldi, perfetti e aderenti a tut­ti i voleri di Dio». In un certo senso af­fine è il tema della quinta stazione (il giudizio di Pilato), che rivela in con­troluce l’indifferenza quanto mai at­tuale del procuratore romano nei confronti della verità. «Non sceglien­do opzioni moralmente responsabi­li, si danneggiano gli interessi vitali della persona umana e della famiglia umana».
Con la coronazione di spine (sesta sta­zione) monsignor Menamparampil ripensa «alla storia piena di odio e di guerre». «Anche oggi siamo testimo­ni di violenze al di là del credibile: o­micidi, violenze su donne e bambini, sequestri, estorsioni, conflitti etnici, violenza urbana, torture fisiche e mentali, violazioni dei diritti umani». È forse questa una delle meditazioni più toccanti.
«Gesù continua a soffri­re quando i credenti sono persegui­tati, quando la giustizia viene ammi­nistrata in modo distorto nei tribu­nali, quando la corruzione è radica­ta, le strutture ingiuste schiacciano i poveri, le minoranze sono soppresse, i rifugiati e i migranti maltrattati.
Ge­sù viene spogliato delle vesti quando la persona umana è disonorata sullo schermo, quando le donne sono co­strette a umiliarsi, quando i bambini dei quartieri poveri vanno in giro per le strade a raccogliere i rifiuti. Chi so­no i colpevoli? Non puntiamo il dito verso gli altri, poiché anche noi pos­siamo avere avuto la nostra parte in queste forme di disumanità».
Ma non c’è solo la persecuzione e­splicita.
Nella settima stazione (Gesù è fatto oggetto di scherno) si sottoli­nea che oggi «le questioni più impor­tanti sono collocate tra le inezie e le banalità glorificate». Così nell’ottava (la stazione del cireneo) viene messa in luce «la sacralità dell’ordinario e la grandezza di ciò che sembra picco­lo » e si ricorda «il servizio della Chie­sa alle comunità svantaggiate», se­condo l’esempio di Madre Teresa di Calcutta. Nella nona (Gesù incontra le donne di Gerusalemme) la rifles­sione verte sul ruolo femminile. «I de­stini delle società sono strettamente connessi col benessere delle loro don­ne. Dovunque sono tenute in scarsa stima o il loro ruolo resta sminuito, le società non riescono a elevarsi fino a raggiungere le loro autentiche po­tenzialità».
Monsignor Menampa­rampil parla a questo proposito di «noncuranza per il futuro» e inseri­sce nel concetto anche le preoccupa­zioni ecologiche, «quando interferia­mo nei sistemi di vita, quando inde­boliamo il potere nutritivo della na­tura, inquiniamo i corsi d’acqua, l’az­zurro profondo dei mari o le nevi del Settentrione». «Non permettere – chiede a Gesù – che trasciniamo la nostra civiltà sul sentiero del decli­no ». Le ultime cinque stazioni sono un cre­scendo di immedesimazione nel do­lore salvifico di Cristo.
La crocifissio­ne (decima) fa dire al vescovo che an­che se « le sofferenze di Gesù rag­giungono il culmine», in Lui nulla è perduto. L’undicesima (il buon la­drone) è l’occasione per invocare Dio di ricordarsi di ogni uomo e di aiuta­re coloro che «procedono con fatica nella via verso l’eterno destino». La dodicesima (Maria e Giovanni sotto la croce) presenta la Vergine come «un archetipo del perdono nella fede e nella speranza». «Vi sono offese sto­riche – annota l’autore delle medita­zioni – che per secoli feriscono le me­morie delle società. Se non trasfor­miamo la nostra ira collettiva in nuo­ve energie d’amore attraverso il per­dono, periremo congiuntamente. Quando la guarigione avviene attra­verso il perdono, accendiamo una lampada che annuncia future possi­bilità per 'la vita e il benessere' del­l’umanità ». Quindi, davanti alla morte di Gesù (tredicesima stazione), l’arcivescovo indiano oltre a notare che essa «por­ta la redenzione», sottolinea: «Signo­re, per i miei peccati sei stato inchio­dato sulla Croce. Aiutami ad acquisi­re maggiore consapevolezza della gra­vità delle mie colpe e dell’immensità del tuo amore».
E infine, meditando sulla deposizio­ne (quattordicesima stazione), anno­ta: «Le tragedie ci fanno riflettere. U­no tsunami ci dice che la vita va pre­sa seriamente. Hiroshima e Nagasaki restano luoghi di pellegrinaggio. Quando la morte colpisce da vicino, un altro mondo ci si fa accanto. Allo­ra ci liberiamo dalle illusioni e abbia­mo la percezione di una realtà più profonda». Questa realtà è anche il nostro destino. Essere definitiva­mente con lui. Oltre la morte e le sof­ferenze, nella luce della risurrezione.

© Copyright Avvenire, 10 aprile 2009

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