mercoledì 27 maggio 2009
Il Papa: Laici corresponsabili non collaboratori del clero. Ripartire dalla comunione ecclesiale per testimoniare la carità (Radio Vaticana)
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Laici corresponsabili non collaboratori del clero: così il Papa al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma. Ripartire dalla comunione ecclesiale per testimoniare la carità
La Chiesa, Popolo di Dio e Corpo di Cristo, il ruolo dei laici corresponsabili dell’agire pastorale, la concezione della Chiesa secondo il Concilio Vaticano II e la testimonianza della carità che convince il mondo: sono i temi toccati dal Papa ieri sera aprendo l’annuale Convegno ecclesiale della diocesi di Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano. “Appartenenza ecclesiale e corresponsabilità pastorale” il tema del Convegno che si concluderà venerdì prossimo. Oggi il confronto nelle varie prefetture romane. Il servizio di Debora Donnini.
L’abbraccio del Pastore con la sua diocesi nella cattedrale della sua città, Roma.
Ieri il Papa è stato accolto con grande calore dai tanti fedeli, religiosi, sacerdoti, presenti nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Il suo discorso ha aperto il convegno della diocesi di Roma, un Convegno particolare, diverso dagli anni passati, come ha sottolineato il cardinale vicario Agostino Vallini nel suo saluto perché non riflette su un tema specifico, ma introduce la verifica del cammino pastorale percorso a Roma negli ultimi dieci anni per trarne poi orientamenti efficaci per la vita ecclesiale.
“Appartenenza ecclesiale e corresponsabilità pastorale” il tema a cui il Papa risponde con un discorso denso e ricco di spunti. Si parte dal Concilio Vaticano II: la Chiesa come mistero di “comunione di persone” che per azione dello Spirito santo formano il “Popolo di Dio” e il “Corpo di Cristo”. Il concetto “Popolo di Dio” - ha affermato - esprime un senso di continuità perché Dio per entrare nella storia ha eletto un popolo particolare, perché sia il suo popolo: il popolo di Israele. Un’intenzione particolare, dunque, che si apre all’universale. Il concetto di “Corpo di Cristo” esprime infatti l’universalità. È Cristo che abbattendo il muro di separazione di popoli e culture realizza un popolo solo, nella sua Croce e Risurrezione. In Cristo diventiamo realmente Popolo di Dio:
“Quindi il concetto ‘Popolo di Dio’ e ‘Corpo di Cristo’ si completano: in Cristo diventiamo realmente il Popolo di Dio. E ‘Popolo di Dio’ significa quindi ‘tutti’: dal Papa fino all’ultimo bambino battezzato”.
All’indomani del Concilio Vaticano II, spiega il Papa, questa dottrina ecclesiologica ha trovato vasta accoglienza con tanti buoni frutti, ma l’assimilazione nel tessuto della coscienza ecclesiale non è avvenuta sempre e dovunque senza difficoltà e secondo una giusta interpretazione. Il pensiero del Concilio Vaticano II sul Popolo di Dio va correttamente interpretato. Se da una parte c’è stata una tendenza a identificare la Chiesa con la gerarchia, dall’altra c’è stata una visione sociologica che, appellandosi ad un presunto spirito del Concilio Vaticano II, lo ha concepito come punto di rottura, addirittura facendo una contrapposizione fra prima e dopo e travalicando i confini esistenti fa ministero gerarchico e responsabilità dei laici. Un taglio quasi esclusivamente orizzontale, che escludeva il riferimento verticale a Dio:
“Posizione, questa, in aperto contrasto con la parola e con lo spirito del Concilio, il quale non ha voluto una rottura, un’altra Chiesa, ma un vero e profondo rinnovamento, nella continuità dell'unico soggetto Chiesa, che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre identico, unico soggetto del Popolo di Dio in pellegrinaggio”.
Il risveglio delle energie, dunque, non ha sempre prodotto l’incremento desiderato, ma talvolta un tempo di affievolimento, anche di resistenza e contrapposizione fra la dottrina conciliare e diversi concetti formulati in nome del Concilio ma in realtà opposti al suo spirito e alla sua lettera. Quindi, poiché ci si è accorti che le pagine del Concilio sul ruolo dei laici non erano ancora state sufficientemente realizzate nelle coscienze dei cattolici e nella prassi pastorale, il Sinodo del 1987 si è concentrato proprio sul ruolo dei laici. Quindi il Papa punta sul concreto della sua diocesi, quella di Roma: a che punto è, si chiede, la diocesi di Roma, in che misura favorisce la corresponsabilità pastorale di tutti, specialmente dei laici? Nei primi secoli del cristianesimo la comunità cristiana ha annunciato il Vangelo agli abitanti di Roma: bisogna tornare a farlo, è la forte e chiara esortazione del Papa. Troppi battezzati, infatti, hanno smarrito la via della Chiesa e non si sentono parte della comunità ecclesiale. O si rivolgono alle parrocchie per ricevere servizi religiosi solo in alcune circostanze. Tanti non cristiani non conoscono la bellezza della fede. La missione cittadina in preparazione al Giubileo del 2000 ha invece mostrato nei fatti che il mandato ad evangelizzare spetta a tutti i battezzati. Un’esperienza molto importante che ha contribuito a far maturare nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nei movimenti la consapevolezza di appartenere all’unico Popolo di Dio:
“Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli ‘collaboratori’ del clero a riconoscerli realmente ‘corresponsabili’ dell’essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato”.
Cosa fare, dunque, più concretamente, si chiede Benedetto XVI, perché non possiamo rassegnarci all’esistente. Anzitutto ci vuole una formazione più attenta alla visione della Chiesa, bisogna migliorare l’impostazione pastorale e promuovere, nel rispetto delle vocazioni e gradualmente, la corresponsabilità dei membri del Popolo di Dio. Ma questo non diminuisce la responsabilità dei parroci: a voi, ha detto, tocca promuovere la crescita spirituale e apostolica di quanti sono già attivi. Bisogna quindi educare le comunità all’ascolto orante della Parola di Dio, cioè la lectio divina. Ma centrale è la fede che oltre a essere una personale relazione con Dio ha anche un’essenziale componente comunitaria. Questa viene in aiuto ai giovani che sono maggiormente esposti all’individualismo con l’indebolimento di legami interpersonali. Inoltre, è importante curare la liturgia dell’Eucaristia, che non è mero estetismo, ma il modo in cui l’amore di Dio in Cristo ci affascina e ci rapisce. La comunione nasce dall’Eucaristia. Dobbiamo sempre imparare a custodire l’unità della Chiesa, spiega il Papa, da rivalità, da contese e gelosie che possono nascere nelle e tra le comunità ecclesiali. Benedetto XVI si rivolge, quindi, a movimenti e comunità sorti dopo il Concilio, un dono prezioso di cui ringraziare il Signore, e raccomanda di curare i loro itinerari formativi per aiutare i membri a maturare un senso di appartenenza alla comunità ecclesiale. Centro della vita della parrocchia è l’Eucaristia, particolarmente la celebrazione domenicale:
“La crescita spirituale ed apostolica della comunità porta poi a promuoverne l’allargamento attraverso una convinta azione missionaria. Prodigatevi pertanto a ridar vita in ogni parrocchia, come ai tempi della Missione cittadina, ai piccoli gruppi o centri di ascolto di fedeli che annunciano Cristo e la sua Parola, luoghi dove sia possibile sperimentare la fede, esercitare la carità, organizzare la speranza. Questo articolarsi delle grandi parrocchie urbane attraverso il moltiplicarsi di piccole comunità permette un respiro missionario più largo, che tiene conto della densità della popolazione, della sua fisionomia sociale e culturale, spesso notevolmente diversificata”.
Il Papa sottolinea anche l’importanza di utilizzare questo metodo pastorale nei luoghi di lavoro, creando gruppi missionari con una pastorale degli ambienti ben pensata. Bisogna dunque ripartire dall’evangelizzazione. È chiaro in questo il Papa, che afferma: il futuro del Cristianesimo dipende dalla testimonianza di ciascuno di noi, ma anche ricorda che è la testimonianza della carità ad aver sedotto gli uomini fin dagli albori del Cristianesimo:
“Alla domanda come si spieghi il successo del Cristianesimo dei primi secoli, l’ascesa da una presunta setta ebrea alla religione dell’Impero, gli storici rispondono che fu particolarmente l’esperienza della carità dei cristiani che ha convinto il mondo. Vivere la carità è la forma primaria della missionarietà”.
“Siate buoni samaritani”, esorta quindi il Pontefice. E a proteggere la sua Chiesa il Pontefice invoca l’aiuto della Vergine Maria, Salus popoli romani, venerata a Santa Maria Maggiore.
All’arrivo nella Basilica lateranense, il saluto del cardinale vicario Agostino Vallini che ha spiegato al Papa che “la Chiesa di Roma ha sofferto nei mesi passati nel vedere interpretati in modo distorto alcuni suoi pronunciamenti o decisioni pastorali”. La diocesi, ha detto fra gli applausi il cardinale Vallini, le esprime affetto e riconoscenza per il suo Magistero.
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