sabato 16 maggio 2009
Il prof Giovanni Reale commenta il viaggio in Terra Santa: "Un pastore, non un politico" (Liberal)
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Leggiamo questa bella intervista a Giovanni Reale per Liberal.
Cerchiamo di sorvolare sulle domande e le allusione dell'intervistatore.
Devo dire, con rammarico, che Liberal mi ha piuttosto delusa in occasione del viaggio del Papa in Terra Santa.
Il continuo confronto fra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ha tradito una certa insofferenza verso quest'ultimo, insofferenza che, francamente, da Liberal non mi aspettavo.
Ricordiamo tutti il brutto titolo di martedi' o mercoledi' con la domanda topica: meglio Wojtyla di Ratzinger?
Forse tale atteggiamento e' dovuto ad una certa qual simpatia per le ragioni di Israele?
Questa ovviamente e' solo la mia opinione.
R.
"Un pastore, non un politico"
di Riccardo Paradisi
[16 maggio 2009]
Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa si conclude con l'immagine-simbolo del Papa che tiene per mano un rabbino e un imam. È il suggello di una visita che pure è stata accompagnata da molte polemiche, da dure critiche mosse al Pontefice da parte israeliana.
Benedetto XVI - secondo questi rilievi - avrebbe mantenuto un'equidistanza sbilanciata verso i palestinesi chiedendo per loro una patria e l'abbattimento dei muri che li confinano e li segregano; pur condannando l'odio e la violenza poi il Papa avrebbe sbagliato a non rivolgersi direttamente a chi minaccia di distruzione lo Stato ebraico, avrebbe dimostrato una partecipazione emotiva minore rispetto a quella di Giovanni Paolo II che in Terra Santa si era recato nel duemila. Ma Benedetto XVI ha anche auspicato una ripresa del dialogo interreligioso, essenziale condizione «per respingere il potere distruttivo dell'odio e del pregiudizio, che uccidono l'anima umana prima ancora del corpo ». Con Giovanni Reale, uno dei maggiori filosofi italiani e un intimo amico di Giovanni Paolo II (per cui ha curato le opere poetiche), liberal ragiona del viaggio appena concluso di Benedetto XVI in Terra Santa.
Professore, una visita difficile quella del Pontefice in Israele e nei territori. Benedetto XVI è stato investito da polemiche e critiche.
Temo che la polemica fosse inevitabile. La tensione nei territori occupati è molto alta, era difficile che non sorgessero incomprensioni. Ma c'è anche un altro aspetto che va preso in considerazione. Non dobbiamo dimenticare infatti che noi stiamo parlando dell'incontro tra culture, storie, religioni diverse. Ciascuno muove e parla secondo i propri parametri di partenza, condizionato dalle proprie categorie, portando uno sguardo parziale.
Al Papa è stata rimproverata un'attenzione umanitaria molto alta verso i palestinesi e minima verso le ragioni politico militari di Israele. Il premier Netanyahu vuole vivere in pace ma non nel terrore.
Vede, Papa Ratzinger ha detto di avere intrapreso questo viaggio come un pellegrinaggio. Un pellegrino in Terra santa più che un Pontefice al vertice di un'entità anche politica. Benedetto XVI si è dunque presentato come un pastore.
Se non si capisce questo beh si sbaglia tutto, nelle valutazioni, nei giudizi. «Sono qui come pellegrino - ha detto il Papa - come pellegrino del luogo in cui Cristo è nato e ha predicato ». Non si devono attribuire a questo viaggio aspetti che non voleva avere.
E su quali aspetti ci si dovrebbe allora concentrare.
Su quelli spirituali, del dialogo interreligioso. Gli aspetti politici seguono conseguentemente. Nell'incontro con i capi religiosi musulmani Benedetto XVI ha detto una cosa importantissima: che la religione, quando è compresa, vissuta nel profondo, non è motivo di divisione ma occasione di dialogo. Ciò che divide, che suscita odio, divisione e guerra è la manipolazione ideologica della religione. È la lettera che uccide, non lo spirito. Chi fa del laicismo la propria categoria di interpretazione o chi usa fanaticamente la religione come strumento politico in realtà non sa che cosa sia la religione. A chi rimprovera i cristiani per i crimini che hanno compiuto nella loro storia la risposta da dare è molto semplice: non siamo stati cristiani. Ecco, predicare la comprensione tra religioni e fedi diverse, è fare spazio al dialogo e alla pace. Senza preferenze per nessuno.
Benedetto XVI, si è detto in Israele, è stato meno coinvolto di Giovanni Paolo II nel condannare l'antisemitismo.
Benedetto XVI ha detto che l'antisemitismo è qualcosa di totalmente inaccettabile e occorre stare attenti perchè questa bestia ideologica continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Mi sembra che non poteva usare parole più forti e più nette. Del resto Benedetto XVI non fa che ripetere che il cristianesimo senza l'ebraismo non è nemmeno pensabile: Cristo ha detto «non uno iota ha tolto dall'antica legge». Che poi gli ebrei non riconoscano la divinità di Cristo, la sua incarnazione è un altro discorso. Ma non toglie nulla alla parentela tra queste due religioni. Resta il fatto, come spesso ho avuto modo di dire a studiosi ebrei miei amici, che dopo Giovanni Battista gli ebrei non hanno più avuto un profeta. Infine il confronto con Giovanni Paolo II. Secondo me ha una spiegazione semplice, ovvia: Wojtyla e Ratzinger sono persone diverse, caratteri differenti.
Torniamo al dialogo tra culture professore.
Sì perché questo è il fulcro centrale del viaggio papale. Nell'incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso Ratzinger riprende un'idea che aveva già espresso Giovanni Paolo II ma che deve la sua paternità allo stesso Ratzinger quando era prefetto per la congregazione per la dottrina della fede durante il pontificato wojtylano. L'idea espressa da Benedetto XVI è che la comunità di credenti procede sempre da una cultura, ma poi, questa stessa cultura di partenza, viene a sua volta plasmata, modificata dalla fede. La persona non è mai chiusa dentro una cultura, ha sempre qualcosa che trascende la sua storia personale: uno spazio di libertà, di trascendenza entro il quale e attraverso il quale il dialogo con l'altro è possibile. Lo spazio di libertà in cui tutto può essere trasformato, dove l'odio può rovesciarsi in comprensione e amore. Il piano originario dal quale anche la politica può attingere idee evolutive rispetto a una situazione cristallizzata nella contrapposizione e nel conflitto.
Una politica dunque che paradossalmente prescinde dalla ragion di Stato.
Esiste la possibilità di una politica cristiana. Persuasiva e non violenta. Che propone senza imporre. Nella fiducia per la libertà umana. Questo è un problema che storicamente riguarda anche la Chiesa. Nel discorso che il Papa ha fatto in occasione della benedizione delle prime pietre delle chiese dei latini e dei greci in Terra Santa ha ripreso un concetto di Chiesa evidenziato da Agostino: la chiesa è la curia di Roma, la sua costruzione giuridica. La chiesa è Cristo, che è la testa e il cuore di un corpo di donne e uomini che credono in lui. La chiesa come Cristus totus, non come organizzazione politica. La tentazione di volere per se il potere è una caduta direbbe Dostoevskij nella terza tentazione di Cristo.
Le donne lei ha detto.
Nella messa allo stadio di Amman il Papa ha parlato del carisma profetico delle donne. Un passaggio significativo per un area del mondo dove non sempre la condizione femminile è rispettata.
Le donne come portatrici di amore, maestre di misericordia, comunicatici di calore e umanità a un mondo che giudica con criteri freddi di sfruttamento e profitto. Soprattutto le donne come portatrici di un carisma profetico, certo. Cristo alla donna ha dato un'importanza sterminata. È la Maddalena che annuncia la resurrezione di Gesù agli apostoli. Una donna che era stata un'adultera e che Cristo ha salvato dalla lapidazione oltre che dal peccato.
Benedetto XVI ha chiesto una patria per i palestinesi.
Ha parlato anche dei muri. È facile costruirli ha detto Benedetto XVI ma è molto difficile farli cadere. È necessario rimuovere i muri che noi costruiamo nei nostri cuori contro il prossimo. I più difficili di tutti da abbattere. I giornali non hanno messo in evidenza questo aspetto del discorso del Papa, perché come sempre e come tutti sono solo concentrati sul messaggio politico. Ma restando a questa superficie si rischia appunto di non capire. La pace, dice anche il Pontefice, è un dono di Dio, anche se per essere raggiunta richiede un grandissimo sforzo umano in sinergia del dono divino. I cristiani credono che questo sforzo trovi una speranza grande di realizzazione attraverso il prodigio dell'incarnazione. Che continua a sfidarci e ad aprire la nostra intelligenza al potere trasformante del suo amore per noi. Kierkegaard diceva che non c'è tugurio o situazione disperata davanti alla quale Cristo non si soffermi e non bussi alla porta. Se lo facciamo entrare tutto può cambiare.
© Copyright Liberal, 16 maggio 2009 consultabile online anche qui.
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2 commenti:
sì, cara, la tua opinione è la mia.
Ma dicimocelo fuori dai denti:chi parla senza questa scimmia politica sulle spalle? Chi non ha retropensieri?
A parte il nostro Benedetto, s'intende.
bellino "dicimocelo".
Voglio usarlo anche in altre occasioni.
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