lunedì 25 maggio 2009
L'inscindibile legame tra obbedienza e libertà. In San Benedetto le radici del Pontificato di Joseph Ratzinger (Osservatore Romano)
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L'inscindibile legame tra obbedienza e libertà
di Mariano Dell'Omo
Benedettino Vicearchivista dell'abbazia di Montecassino
A chi non conosceva il lungo itinerario umano e spirituale del cardinale Joseph Ratzinger, la scelta del nome Benedetto al momento della sua elezione a Papa in quel pomeriggio romano del 19 aprile 2005, prima che egli stesso potesse spiegarne la genesi con la consueta limpidezza della sua parola, poteva apparire singolare se non straordinaria.
In realtà, basta scorrere il volume della sua autobiografia La mia vita. Ricordi (1927-1977) - Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, pagine 122, euro 16,53 - per cogliere come già nel fanciullo Joseph si delineasse ben presto quel paesaggio interiore che lo avrebbe condotto molti anni dopo, una volta eletto Papa, a preferire a tutti gli altri il nome di Benedetto, il santo fondatore di Montecassino e patriarca dei monaci d'Occidente. Lo spazio della liturgia attrasse infatti in modo avvincente l'interesse del fanciullo Ratzinger: "Questo misterioso intreccio di testi e di azioni (...) cresciuto nel corso dei secoli dalla fede della Chiesa. Portava in sé il peso di tutta la storia ed era, insieme, molto di più che un prodotto della storia umana", scrive in quei suoi Ricordi.
E questo mondo gli divenne familiare proprio grazie alla mediazione di un benedettino, Anselm Schott abate di Beuron, che aveva pubblicato il messale in lingua tedesca corredandolo di commenti, sì da avvicinare alla comprensione della messa anche un pubblico semplice e intuitivo come quello dei ragazzi. E il cardinale ricordava come egli ricevette appunto "uno Schott per bambini, in cui erano già riportati i testi più importanti della liturgia; poi lo Schott della domenica, in cui la liturgia della domenica e dei giorni festivi era riportata integralmente, e, infine, il messale quotidiano completo".
E continuava: "Ogni nuovo passo che mi faceva entrare più profondamente nella liturgia era per me un grande avvenimento. I volumetti che di volta in volta io ricevevo erano qualcosa di prezioso, come non potevo sognarne di più belli. Era un'avventura avvincente entrare a poco a poco nel misterioso mondo della liturgia".
È questa l'Opus Dei, l'Opera di Dio, la Sua lode, che occupa un posto privilegiato e primario nella vita del monaco benedettino, sempre memore di quel che san Benedetto afferma nella Regola (capitolo 43, 3): Nihil Operi Dei praeponatur (all'Opera di Dio non si anteponga nulla).
Altamente significativo è il fatto che solo in un altro caso Benedetto adotta lo stesso sintagma nihil praeponere, quando afferma in modo apodittico il primato di Cristo nella vita del monaco (capitolo 4, 21): Nihil amori Christi praeponere (nulla anteporre all'amore di Cristo). La preghiera liturgica, l'Opus Dei è lo spazio stesso nel quale Cristo si fa presente in un triplice modo, secondo il pensiero ben noto di sant'Agostino che tanto pervade quello di san Benedetto: "L'unico salvatore del corpo mistico, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è colui che prega per noi, che prega in noi e che è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro capo; è pregato da noi come nostro Dio" (Expositio in psalmos, 85, 1).
Allora ben si comprende quel che scriveva il cardinale Ratzinger, sull'onda dei suoi giovanili ricordi, circa quella lontana eco benedettina con la quale egli avrebbe via via sempre più sintonizzato la sua esperienza di sacerdote, di vescovo e infine di Papa: "L'inesauribile realtà della liturgia cattolica mi ha accompagnato attraverso tutte le fasi della mia vita; per questo, non posso non parlarne continuamente".
Del resto l'infanzia e l'adolescenza del futuro Pontefice trascorsero in un ambiente particolarmente segnato dall'impronta benedettina, e quindi dalla cultura liturgica che la caratterizza, se solo si richiami alla memoria che Traunstein, il piccolo centro abitato dov'egli viveva, nei pressi della frontiera con l'Austria, è situato a soli trenta chilometri da Salisburgo, la città mozartiana per eccellenza, tanto influenzata dalla storica abbazia benedettina di San Pietro, fondata nel secolo vii da san Ruperto apostolo dei bavaresi.
L'Austria e la Baviera sono profondamente marcate dalla presenza di tanti monasteri di regola benedettina, a tal punto che ancor oggi le congregazioni monastiche austriaca e bavarese, che fanno parte della Confederazione dell'Ordine di San Benedetto, comprendono rispettivamente dodici e undici monasteri, alcuni dei quali, come ad esempio Weltenburg in diocesi di Ratisbona, e Scheyern nell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga, erano ben conosciuti dal sacerdote e professore di teologia, poi cardinale Ratzinger.
Il contesto nel quale con più ampiezza il cardinale, ormai da diversi anni prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, delineò come in un vasto affresco tutta la sua idea del mondo benedettino, del suo contributo alla civiltà umana e spirituale dell'Europa in particolare, è sicuramente il libro-intervista che dalle sue parole si venne formando proprio a Montecassino nei giorni dal 7 all'11 febbraio dell'anno 2000, uscendo poi l'anno successivo col titolo quasi programmatico: Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio (Joseph Ratzinger, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, pagine 432, euro 23,69).
Quel segmento di tempo tanto breve quanto intenso fu vissuto, come scrisse nella prefazione lo stesso cardinale Joseph Ratzinger, in un'atmosfera di pace: "La quiete del monastero, il calore dimostrato dai monaci e dall'abate, l'atmosfera favorevole alla preghiera e la riverente solennità della liturgia ci furono di grande aiuto".
Egli rispose in quell'occasione alle tante domande postegli dal giornalista e scrittore Peter Seewald, lasciando così affiorare in quelle pagine la sua visione monastica, le speranze che egli nutriva circa l'attualità dell'ideale di Benedetto.
In primo luogo ciò che colpiva il futuro Papa era la casuale coincidenza temporale - per lui "estremamente significativa" - nell'anno 529, "tra la chiusura dell'Accademia ateniese, simbolo dell'educazione nell'antichità classica, e l'inaugurazione del monastero di Montecassino, che fu, per così dire, l'accademia della cristianità.
La chiusura dell'Accademia platonica è il simbolo del declino di un mondo. L'impero romano è in decomposizione, a Occidente è già stato smembrato e non esiste più in quanto tale. Con esso un'intera cultura minaccia di affondare nell'oblio, ma Benedetto la custodisce gelosamente e insieme la fa rinascere, compiendo così un'opera che soddisfa in pieno il motto benedettino: succisa virescit - ciò che viene reciso germoglia di nuovo. Alla frattura corrisponde in qualche misura un nuovo inizio".
Quando il cardinale Ratzinger alcuni anni dopo assunse, quale successore di Giovanni Paolo II, il nome di Benedetto, è credibile che pensasse anch'egli a "un nuovo inizio".
Come san Benedetto egli stesso deve aver intuito la possibilità che la Provvidenza gli offriva di dare al suo pontificato un esordio augurale e profetico, da cui potesse, come sta già avvenendo, scaturire una nuova cultura e una nuova opera di rigenerazione cristiana per il mondo intero.
Non a caso egli era da tempo ben consapevole dell'attualità della Regola di san Benedetto, un viatico esistenziale offerto non solo ai monaci ma a tutti gli uomini ben disposti ad accettarsi, a "dimorare presso di sé", a tacere, ad ascoltare, e perciò a trovare la pace. In quei giorni di serena contemplazione e di proficuo lavoro a Montecassino, nel costruire quel libro-intervista egli riconosceva che "la Regola benedettina è l'esempio lampante del fatto che ciò che davvero rispecchia la natura umana non invecchia", e da vero maestro il cardinale Ratzinger si faceva esegeta finissimo di un testo, la Regola, che ha avuto tanti illustri e santi commentatori.
Egli si aggiungeva al novero di quella schiera, illuminando le prime parole del prologo alla Regola: Obsculta, o fili, praecepta magistri (Ascolta, o figlio, gl'insegnamenti del maestro), ed esortando con accento magistrale e tono paterno "a recuperare l'idea che l'ascolto faccia parte della vita - visto che il servizio divino è in gran parte permettere a Dio di entrare nella nostra vita e ascoltarlo. Come disciplina, misura e ordine, così anche ubbidienza e libertà sono inscindibili, e anche la capacità di sopportazione reciproca nel nome della fede non è solo una Regola fondamentale di una comunità monastica ma, assieme a tutti gli altri elementi che abbiamo nominato, è anche ingrediente essenziale di qualsiasi forma di convivenza umana. È una regola radicata nella natura umana e capace di sintetizzare l'essenza umana perché ha guardato e ascoltato al di là dell'umano e ha percepito il divino. L'uomo si umanizza appunto laddove è toccato da Dio".
Come è tutto più chiaro ora, come appare naturale, coerente, espressiva di una diuturna fedeltà al carisma benedettino, la scelta di chiamarsi Benedetto!
Quella sera del 19 aprile di cinque anni orsono, restammo felicemente sorpresi per quel nome, che poi è divenuto sempre più e sempre più sarà l'emblema di un Papa che ama contemplare la bellezza di Dio, che vuole farla percepire a noi tutti, e che ha individuato nel messaggio suadente, fermo e dolce al tempo stesso, del patriarca Benedetto, il mezzo per orientare nuovamente l'umanità sulla via dell'ascolto con l'orecchio del cuore, perché tu uomo di questo splendido e tormentato tempo, egli sembra dirci paternamente, ad eum per oboedientiae laborem redeas, a quo per inoboedientiae desidiam recesseras - perché tu possa per la fatica dell'obbedienza ritornare a Colui dal quale ti eri allontanato per l'inerzia della disobbedienza - (Regola, prologo, 2).
È emblematico che tra le ultime parole ufficiali del cardinale Joseph Ratzinger Decano del Sacro Collegio, mentre le condizioni fisiche del Papa Giovanni Paolo II si aggravavano di ora in ora, vi siano quelle dedicate a Benedetto da Norcia, pronunziate il 1° aprile del 2005, a Subiaco, dov'egli ricevette il "Premio San Benedetto" promosso dalla Fondazione "Vita e famiglia".
Egli si rivolgeva all'Europa nella crisi delle culture, a quel continente europeo che l'apostolo della Germania, il monaco san Bonifacio, aveva contribuito a edificare cristianamente nel lontano secolo vIII.
Rileggendo quel testo non possiamo non vedervi l'annunzio di una svolta, un presagio di quel varco che il Signore della storia misteriosamente stava aprendo all'orizzonte dell'umanità: "Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli".
Nell'imminenza della sua venuta a Cassino e Montecassino il 24 maggio, risplendono di viva luce queste parole di speranza del futuro Papa, il primo a essere eletto nel terzo millennio, all'alba di un nuovo mondo, di quella rinnovata civiltà, che egli auspica sia finalmente la civiltà dell'amore.
(©L'Osservatore Romano - 24 maggio 2009)
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1 commento:
Raffa, ti segnalo questo interessante pezzo da Il Domanicale: Manipolazioni a mezzo stampa di Augusto Zuliani
http://www.ildomenicale.it/
Ciao
Alessia
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