sabato 11 luglio 2009
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Il Papa sindacale
Così Benedetto XVI riconcilia il cattolicesimo con la modernità del mondo del lavoro e non solo
di Lodovico Festa
Se c’è un luogo dove l’enciclica “Caritas in veritate” è stata subito letta con cura, è il “Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro”, formatosi nel febbraio 2009, promosso dalla Cisl, dalla Compagnia delle opere, dalla Confcooperative, dal Movimento cristiano dei lavoratori e dalla Confartigianato. Alleanza “laica” di movimenti per i quali la riflessione sulla dottrina sociale della chiesa è stimolo centrale. Del Forum è portavoce, cioè coordinatore, Natale Forlani, storico dirigente della Cisl, da qualche anno impegnato in Italia lavoro, agenzia promossa dai ministeri del Welfare e dell’Economia per le politiche attive del lavoro. I tempi, l’impetuosa globalizzazione, la crisi del 2008, i costanti flussi migratori chiedevano – spiega Forlani – alla chiesa l’esigenza di una nuova riflessione sui temi economico-sociali.
Un intervento che non poteva poggiare solo sulla prassi, ma anche su un rinnovato sostegno culturale. Da una parte si era di fronte all’esaurirsi di un’ispirazione ideale (e ideologica) che ha segnato il mondo negli ultimi due secoli: l’idea del conflitto antagonistico delle classi (ma anche tra stati imperialisti e paesi ex coloniali) come motore della storia. Ispirazione che ha segnato non solo la storia del comunismo ma più in generale il movimento socialista, nonostante i temperamenti di socialdemocrazia e laburismo. Dall’altra si doveva avere la consapevolezza – come ha ricordato Giovanni Paolo II con l’enciclica “Centesimus annus” (peraltro esplicitamente raccordata alla “Rerum novarum” di Leone XIII che fonda la dottrina sociale della chiesa e alla “Popolorum progressio” di Paolo VI, critica puntuale del colonialismo) – che le ragioni che avevano prodotto il comunismo (Papa Wojtyla ne parlava a pochi mesi dalla caduta del Muro di Berlino) non erano tramontate: l’ingiustizia sociale, lo sradicamento, le offese alla “dignità del lavoro” centrali nella “Rerum Novarum”.
Giovanni Paolo II avvertiva del rischio che le contraddizioni ben reali delle nostre società venissero rimosse dal prevalere di un pensiero unico (definito successivamente “mercatista”) che considerava come i processi economici di globalizzazione risolvessero di per sé ogni problema.
Papa Ratzinger fa un passo in avanti.
Al richiamo all’attenzione unisce un esame delle forme di cooperazione che possono, non solo su scala nazionale ma anche globale, governare i conflitti. La base della lezione di Benedetto XVI è la consapevolezza che il cattolicesimo vada riconciliato con la modernità, non solo grazie alla fede, ai valori ma anche alla razionalità e alla morale naturale, antropologica. Tutta la lezione del Papa, in questo senso, è tesa a comprendere come si sia sviluppata una divaricazione tra modernità e cattolicesimo, e come sia non solo possibile ma necessario, e non solo nell’interesse della chiesa e dei suoi fedeli ma di tutto il mondo, ricomporla.
Da un qualche punto di vista certe esperienze del cattolicesimo italiano, la lezione di alcuni fondatori della nostra economia del Dopoguerra, da Ezio Vanoni, a Pasquale Saraceno, a Enrico Mattei dimostrano come l’ispirazione cristiana sia stata un formidabile sostegno a scelte di sviluppo e innovazione (in una logica per cui l’imprenditorialità – come ricorda l’enciclica “Caritas in veritate” – non è solo del capitalismo privato: il che costituisce un’elaborazione del concetto di sussidiarietà come definito nella enciclica “Quadragesimo anno” di Pio XI).
Altrettanto straordinaria l’esperienza del sindacalismo cislino, da Guido Pastore a Vincenzo Saba, che sposa le frontiere più avanzate del sindacalismo moderno americano, di matrice liberale e non socialdemocratica, fondato sulla centralità della persona non della classe. Anche la Germania vive questo rapporto tra lavoro, modernità e cristianesimo in democrazia. E anche in Belgio. Ricorda Forlani. Mentre è notevole il ruolo che ai sindacati nel nuovo mondo auspicabilmente segnato dall’uscita dalle logiche antagonistico-corporative viene attribuita dalla nuova enciclica, oltre agli orizzonti della “Rerum novarum”. Gli effetti di questa predicazione si sentiranno molto in Asia e Sud America.
C’è chi si chiede se un’economia in cui così decisive sono le rotture di discontinuità per favorire la distruzione creativa indispensabile allo sviluppo capitalistico, sia alla fine assimilabile da una cultura cattolica in cui l’asse con la tradizione è fondamentale, e che quindi in qualche modo “teme” le rotture dolorose, Forlani spiega che la riflessione dell’enciclica non è sugli strumenti tecnici del capitalismo, bensì sul quadro di valori e sul contesto sociale.
E al centro pone la questione della fiducia (su cui molto si è riflettuto dopo la crisi dell’autunno 2008) come base per il funzionamento del mercato: e se c’è un fattore storico, culturale, sociale per eccellenza è la fiducia. Forlani insiste sul carattere valoriale e pragmatico dell’insegnamento di una chiesa che non fornisce dottrine ideologiche e trae conforto dall’insegnamento papale per ribadire lo sforzo del Forum, capace di costruire un sistema sociale flessibile, basato sulla sussidiarietà, in grado di mobilitare quell’enorme risorsa che è la famiglia coi suoi affetti.
© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
© Copyright Il Foglio, 11 luglio 2009 consultabile online anche qui.
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