venerdì 11 settembre 2009
Mons. Gérard Njen: La liturgia ritmo della vita dei popoli africani (Osservatore Romano)
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Intervista a monsignor Gérard Njen, capo ufficio della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
La liturgia ritmo della vita dei popoli africani
di Nicola Gori
La cultura africana, con i suoi riti legati al ciclo della natura e ai ritmi della vita, è un terreno fertile per far attecchire il seme del Vangelo. Non mancano certo i rischi, come quello di esaurire l'esperienza religiosa nella superstizione e nella magia. Proprio per questo, la prossima assemblea continentale del Sinodo dei vescovi può essere un'occasione per riscoprire l'autentica natura del sacerdozio e della liturgia, che non è limitata a una serie di riti esteriori ma è la prosecuzione dell'attività salvifica di Cristo. Ne abbiamo parlato con il camerunese monsignor Gérard Njen, capo ufficio della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Quali sono gli elementi tipici della spiritualità e della cultura africana accolti nella liturgia cattolica?
Partendo dal concetto biblico del "mistero" di cui parla Paolo al capitolo 3 della Lettera agli Efesini, versetti 5 e 6 - e cioè "che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo" - la religione tradizionale africana offre, come fece uno dei re Magi, l'incenso naturale e puro, necessario al combattimento spirituale contro le forze delle tenebre. Lo stesso concetto di Dio nella traduzione dei testi liturgici è pieno di significato: la parola Djòb in lingua "bassa" del Camerun del sud significa dapprima il Sole - djòb liñyè vuol dire il sole sorge - e poi l'Eterno, cioè il più anziano, hilolombi. Di uno che è appena morto, un proverbio locale dice che ha tolto gli occhi dalla luce del Sole per guardare la luce dell'Anziano, cioè dell'Eterno: ambulul djòb li hyanga inyu i nun Djòb li Hilolombi.
Pensiamo a un altro concetto biblico, quello di Dio roccia e salvezza. Colpire la roccia e veder sgorgare l'acqua nel deserto è pieno di significato per la religione tradizionale africana. Bakum ngòg, ngòg i kum isi: colpisci la roccia e la roccia colpirà la terra. Per noi che apparteniamo al popolo di Ngog Lituba - e cioè della roccia sacra dei Bassa, nel Camerun del sud - la roccia, con le sue grotte, le sue caverne e anche la sua sorgente, ha un significato particolare, perché ha protetto i nostri antenati dall'invasione dei musulmani. Inseguita dagli invasori, la popolazione infatti trovò rifugio proprio nelle caverne della roccia di Ngog Lituba, salvandosi così dalla deportazione o dalla morte. Pensi che questa roccia è stata dichiarata patrimonio mondiale dell'umanità dall'Unesco proprio lo scorso agosto.
Questi elementi sono un arricchimento o rischiano di snaturare la liturgia?
Come radici della religione il sociologo e antropologo Henri Hatzfeld riconosce tre elementi basilari: la tradizione, il rituale e i valori. Premesso questo, dopo ben cinquecento anni dalla prima evangelizzazione dell'Angola e dopo più di cento anni per molti altri Paesi del continente, diciamo che ormai anche in Africa la liturgia è un'arte, ars celebrandi: e vale sempre il motto lex credendi, lex orandi e viceversa. Basta ricordare le visite dei Pontefici in Africa per avere un'idea dell'equilibrio che si mantiene tra il gregoriano e la liturgia cosiddetta "africana", in lingue e in espressioni culturali differenti da quella occidentale. A cominciare dagli strumenti musicali utilizzati più frequentemente: kora, balafon, tambour, tam-tam.
Ci sono abusi liturgici ricorrenti nella realtà africana?
La liturgia è come una scienza: esistono regole precise che bisogna conoscere e ben seguire. Spesso non sono applicate per ignoranza. C'è il rischio di rimanere nel folklorico. Bisogna stare attenti anche alla tentazione dell'arbitrarietà per il desiderio di innovare a tutti i costi. Per quanto riguarda i sacramenti, l'amministrazione di alcuni di essi va controllata nei confronti di certe categorie di persone che, per le loro scelte o situazioni, non possono accedervi: divorziati, concubini, poligami, maghi, stregoni, se individuati dalla pubblica autorità.
L'Instrumentum laboris del prossimo Sinodo per l'Africa, al numero 95, mette in guardia dal pericolo che i sacerdoti si dedichino a pratiche occulte. Cosa può fare la Chiesa per prevenire il fenomeno ?
C'è chi esagera o abusa. È vero, ma bisogna considerare che siamo circondati da gruppi e singoli individui dediti alle scienze occulte anche locali, come il vudú, o venuti dall'estero con soldi e proposte allettanti per attirare nuovi adepti. Il prete si sente spesso come intrappolato, anche perché gli stessi fedeli indulgono a queste pratiche. Che fare, allora?
In questo senso, l'Anno sacerdotale è una bella occasione per riscoprire in Africa la figura del sacerdote, soprattutto per sottolineare ciò che egli non è: né veggente, né mago, né stregone, ma discepolo degli apostoli e dei loro successori. I preti africani devono camminare sulle traccia dei loro predecessori, i missionari esemplari e il clero indigeno dei primi tempi. Per fortuna possediamo anche il rituale delle benedizioni, oltre a diverse preghiere o suppliche, la liturgia delle Ore e i commenti dei salmi fatte da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. I sacramentali vanno riattivati, così come l'utilizzo degli oggetti di pietà - medaglie, statue, scapolari, croci - e soprattutto la recita del rosario, delle novene. Purtroppo, una certa mentalità deride queste devozioni, a cominciare dal clero straniero.
I fedeli africani comprendono il significato dei riti liturgici o li vivono come gesti lontani dalla realtà in cui sono immersi?
Non si tratta solo di comprendere tutto nei dettagli - consideriamo che tanti fedeli sono analfabeti - ma di vivere i momenti significativi della loro esistenza. I popoli africani hanno i propri riti per tutte le fasi più importanti della vita: la fecondità, la gravidanza, la nascita, l'iniziazione degli adolescenti per il passaggio all'età di adulto, la celebrazione di un lutto e dei funerali, i riti di riconciliazione tra padre e figli o tra marito e moglie, tra clan, il rito di liberazione, purificazione e guarigione, il rituale di matrimonio consuetudinario tra fidanzati accompagnati dalle loro rispettive famiglie, il rito d'intronizzazione del capo tribù in unione con gli antenati. Molti di questi riti possono essere accostati ai sacramenti cristiani: dal battesimo alla cresima, dal matrimonio all'ordine sacro, fino all'unzione degli infermi. Tutti questi riti restano culturalmente presenti anche dopo la conversione dei fedeli al cristianesimo e hanno un ruolo nel comprendere la celebrazione dei sacramenti della Chiesa cattolica.
Che influenza hanno magia e superstizione nella vita liturgica dell'Africa?
L'Africa vive in effervescenza mistica e spirituale. Molte persone sono alla ricerca di una via di salvezza di fronte agli attacchi della stregoneria onnipresente. Frequentano maghi, veggenti, guaritori. La Chiesa in Africa studia come contrastare la stregoneria, cerca la guarigione che viene da Dio. Come la cerca? Attraverso l'intensità della vita liturgica, dei ritiri spirituali, della messa quotidiana, della confessione frequente, con il coinvolgimento delle famiglie negli atti liturgici che riguardano eventi tristi o gioiosi, nelle feste dei patroni celesti e in altre solennità, conservando il ritmo delle stagioni di raccolta e di mietitura, come delle attività di allevatori, pescatori, cacciatori.
Quale contributo si attende dal Sinodo dei vescovi per promuovere una più forte consapevolezza del valore della liturgia nella vita della Chiesa africana?
La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha iniziato qualche anno fa un ciclo di riunioni continentali in Africa, Asia e America Latina. Sono stati coinvolti i presidenti e i segretari delle Commissioni episcopali nazionali di liturgia delle Conferenze episcopali d'Africa e Madagascar. Con la pubblicazione recente degli atti del congresso per la promozione della liturgia in Africa e nelle Isole, svoltosi a Kumasi, in Ghana, dal 4 al 9 luglio 2006, i padri sinodali avranno in mano una sorta di vademecum delle sfide odierne e di quelle future per la liturgia in Africa.
La vita liturgica diventa alimento di comportamenti di riconciliazione, di pace e di giustizia, come indica il tema del prossimo Sinodo?
L'Africa ha conosciuto guerre e conflitti soprattutto all'interno di certi Paesi: l'apartheid in Sud Africa fino al 1994, la guerra in Rwanda tra hutu contro tutsi nel 1994, le guerre tra nord e sud in Sudan e in Costa d'Avorio. Il caso del Sud Africa è esemplare: con le preghiere delle varie comunità nera e bianca, con l'impegno di personalità religiose come l'arcivescovo anglicano Desmond Mpilo Tutu - premio nobel per la pace nel 1984 - che ha guidato la commissione di riconciliazione e di verità, si è avuta una vera rivoluzione pacifica. Ne rende testimonianza lo stesso Tutu nel suo libro intitolato Niente avvenire senza perdono. Oggi il Sud Africa è una nuova nazione democratica con l'abolizione, già sancita il 1° febbraio 1991, delle leggi razziali del 1950 e l'amnistia generale a tutti i colpevoli che avevano confessato i loro crimini. La liturgia segue la vita di ogni società o nazione. Lo stesso avviene in Costa d'Avorio: oggi, dopo molto sangue sparso, il sacerdote Francis Barbey ha raccontato questa esperienza nel libro Cammino di avvenire: Costa d'Avorio, la pace sia con te. Bisogna sempre partire dalle vere ragioni della crisi e lavorare per il futuro, convinti della necessità di farlo insieme con gli altri. Quindi occorre impegnarsi per la coesistenza pacifica: prima di portare l'offerta sull'altare, bisogna andare a riconciliarsi con il fratello o la sorella che hanno qualcosa contro di noi. Solo così la vita liturgica sarà di sostegno al cambiamento di mentalità.
(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2009)
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