venerdì 30 ottobre 2009

Se l’ecumenismo ridà forza alle radici (Carlo Cardia)


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Se l’ecumenismo ridà forza alle radici

CARLO CARDIA

Con il pontificato di Benedetto XVI il cammino dell’ecumenismo prosegue senza soste, e sta assumendo il carattere aggiuntivo di risposta alle sfide della secolarizzazione e del relativismo degli ultimi decenni.
Nel 2006 lo storico incontro di papa Ratzinger con il patriarca ortodosso Bartolomeo I ha confermato l’intensità dei rapporti tra cattolici e ortodossi, legati da una unità di fede che giunge sino alla comunione sacramentale, ed ha avuto ad oggetto il processo di unificazione del continente europeo, la crisi di valori e di principi che ha investito i suoi ordinamenti.
Nell’incontro del 2006 – così come in importanti occasioni successive, sino a quella dei giorni scorsi a Cipro – cattolici e ortodossi hanno parlato dei propri rapporti, e del servizio spirituale e morale che i cristiani devono rendere al’Europa e all’Occidente, riproponendo il messaggio evangelico nella sua interezza e bellezza complessiva.
L’annuncio della disciplina che favorirà l’accoglienza di comunità anglicane locali (insieme con i suoi pastori) nella piena comunione della Chiesa cattolica è un altro prezioso tassello di un mosaico che si sta ricomponendo, originale nelle sue forme giuridiche, unitario nelle sue basi essenziali.
L’anglicanesimo professa una dottrina più vicina a quella cattolica, rispetto ad altre comunità protestanti.
Non a caso nel suo seno è maturata la conversione di John Henry Newman che nell’Ottocento vide nella Chiesa di Roma il luogo della pienezza di vita cristiana, e si pose alla guida della rinascita cattolica in Inghilterra.
Significativo è anche il documento comune di Seattle del 2004 nel quale anglicani e cattolici hanno convenuto sul ruolo di Maria Vergine nella teologia e nella fede cristiana, e sul significato essenziale della devozione mariana per i cristiani che in tutto il mondo propongono il disegno della salvezza nella sua totalità. Ma la comunità anglicana ha introdotto delle riforme ecclesiali, e accettato costumi in materia di famiglia e sessualità, che hanno reso più difficoltoso il rapporto con cattolici e ortodossi, ed hanno provocato sofferenza e desiderio di allontanamento in fedeli e comunità locali.
Molti anglicani rivalutano oggi il valore ecclesiologico, storico e culturale, dell’unione visibile di tutti i cristiani attorno al successore di Pietro, e chiedono di entrare a far parte della Chiesa di Roma.
Già in passato alcune richieste individuali sono state accettate, e alcuni pastori sono stati accolti (dopo l’ordinazione sacra secondo la disciplina cattolica) come sacerdoti. Oggi siamo di fronte a qualcosa di più importante, a un movimento di carattere comunitario che riflette un serio ripensamento in ambito protestante rispetto alle derive di una religiosità eccessivamente individualistica.
Sta qui la novità dello sviluppo ecumenico più recente. Le innovazioni si realizzano senza che nascano polemiche tra le due comunioni, cattolica e anglicana, come forse sarebbe accaduto qualche anno addietro. Soprattutto il desiderio di piena comunione con Roma si sviluppa tra fedeli e pastori, e risponde a un bisogno di vivere la propria fede in un contesto di certezza di principi, e di capacità di risposta a insicurezze e sbandamenti che la secolarizzazione e il relativismo disseminano un po’ in tutto l’Occidente.
L’ecumenismo non è più un affare interno delle chiese cristiane, non riguarda soltanto le loro relazioni ecclesiali, ma costituisce il nucleo di una risposta complessiva che i cristiani intendono dare all’uomo moderno colpito dall’erosione della fede religiosa per una adesione debole e astratta che la priva della capacità di cambiare e arricchire la vita della persona.
Benedetto XVI ha richiamato ancora nei giorni scorsi le radici cristiane dell’Europa, e ha ricordato che esse rappresentano il substrato comune di una concezione antropologica che si è affermata con il cristianesimo sin dai primi tempi della sua diffusione.
Distaccarsi da queste radici antropologiche, che hanno introdotto la difesa delle vita in tutte le sue fasi, il valore della famiglia come luogo naturale del compimento affettivo dell’essere umano e della cura delle nuove generazioni, vuol dire ferire gli interessi più profondi dell’Europa e dei suoi popoli.
Per questo motivo, il cammino ecumenico incentrato sul riconoscimento dei principi spirituali ed etici essenziali è parte integrante del confronto tra fede e storia dentro la modernità, costituisce una speranza e una garanzia perché l’unità dei cristiani aiuti l’unità delle popolazioni europee, come altre volte è avvenuto nella storia del cristianesimo.

© Copyright Avvenire, 30 ottobre 2009

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