lunedì 10 novembre 2008

Benedetto XVI sulla sconvolgente violenza antisemita e sulla tragedia nel Congo (Zavattaro)


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La sconvolgente violenza antisemita e la tragedia nel Congo

Fabio Zavattaro

Settanta anni fa la notte dei cristalli, la prima pubblica, violenta manifestazione di massa antisemita che la Germania visse in quei giorni del 1938, inizio della “sistematica e violenta persecuzione degli ebrei tedeschi, che si concluse nella Shoah. Ancora oggi – dice Papa Benedetto – provo dolore per quanto accadde in quella tragica circostanza”.
Parole che riportano alla mente la silenziosa preghiera del 28 maggio 2006 davanti alle lapidi e al monumento che a Auschwitz-Birkenau ricorda i milioni di morti nei campi di concentramento.
Le sue parole furono un monito forte al mondo: “sono qui come figlio del popolo tedesco”, e proprio per questo, ricordando le parole del suo predecessore Wojtyla, “devo e posso dire come lui: non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco”.
All’Angelus è ancora il sentire un dovere davanti a Dio rendere omaggio alle vittime di quella follia umana, che Benedetto XVI ricorda la drammatica notte di 70 anni fa. La ricorda come Papa e come tedesco, quando dice: “Furono attaccati e distrutti negozi, uffici, abitazioni e sinagoghe, furono anche uccise numerose persone”, fu l’inizio di quella persecuzione che aveva come folle obiettivo la soluzione finale nei confronti del popolo di Israele. “Ancora oggi – dice il Papa – provo dolore per quanto accadde in quella tragica circostanza, la cui memoria deve servire a far sì che simili orrori non si ripetano mai più e che ci si impegni, a tutti i livelli, contro ogni forma di antisemitismo e di discriminazione”.
Ad Auschwitz, in quel 28 maggio, Papa Benedetto affermava ancora: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto?”.
Inevitabile ricordare quel giorno ascoltando le parole di Benedetto XVI all’Angelus in piazza San Pietro. Un Papa preoccupato soprattutto di ribadire con la forza disarmata delle parole, che non si ripetano mai più simili violenze e orrori; per questo dice che la strada da seguire passa soprattutto attraverso l’educazione delle giovani generazioni “al rispetto e all’accoglienza reciproca”. Di qui, ancora, l’Invito, “a pregare per le vittime di allora” e a unirsi a lui “nel manifestare profonda solidarietà al mondo ebraico”.
Auschwitz è il luogo della memoria, è il luogo della Shoah. Ma “il passato – disse allora – non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere”. Tra le prime non vi è dubbio che vi siano quelle della violenza, degli odi, della vendetta. E sono tanti i luoghi nel mondo dove la vita umana non è rispettata, e violarla è quasi una consuetudine. Come l’Africa delle guerre dimenticate, degli odi tribali. In questa domenica che ricorda la festa della dedicazione della cattedrale di Roma, San Giovanni, e la giornata del ringraziamento per i doni della terra, Papa Benedetto non ha voluto far mancare un appello anche per il nord Kiwu, il Congo. “Sanguinosi scontri armati e sistematiche atrocità hanno provocato e stanno provocando numerose vittime tra i civili innocenti; distruzioni, saccheggi e violenze di ogni tipo hanno costretto altre decine di migliaia di persone ad abbandonare anche quel poco che avevano per sopravvivere”. Nuove violenze, dunque, nuovi profughi in una terra che da sempre, si può dire, conosce violenze, distruzioni, e esodi di massa. Sembra quasi voler dire, il Papa, che la storia non ha insegnato nulla all’uomo di oggi, se ancora si devono contare vittime e profughi; se ancora c’è bisogno di rinnovare gli appelli alla pace in una terra “da troppo tempo martoriata”, e al rispetto della legalità e della dignità di ogni persona.
Una situazione difficile anche dal punto di vista degli aiuti umanitari: sono oltre un milione e mezzo i profughi e questo è un dramma non solo alimentare ma anche sanitario, e di diritti negati. E se c’è un diritto al quale ogni uomo deve poter accedere questo è sicuramente il pane. È in questa chiave che va letto il messaggio per la Giornata del ringraziamento, perché è moralmente inaccettabile che vi siano ancora migliaia di persone che muoiono di fame, nonostante i mezzi a disposizione dell’umanità. Inaccettabile la crescita incontrollata dei prezzi dei prodotti alimentari, che rende ancor più difficile la vita dei poveri. Inaccettabile che vaste aree della terra non siano più coltivabili proprio a causa delle guerre e delle violenze.
Così legare insieme fatti diversi, per ampiezza e tragicità, non deve suonare come una confusione; sono avvenimenti che hanno una radice comune che va ricercata nella incapacità dell’uomo a vedere nell’altro il proprio fratello, anche se di religione, razza o cultura diverse. È li la grande sfida per costruire quella che Giovanni Paolo II chiamava la civiltà dell’amore.

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